Un augurio

Fraternità
Luigi Giussani

Appunti delle parole conclusive di don Giussani al termine dell'assemblea di domenica 25 aprile


Vorrei lasciarvi un augurio. Dopo tutto quel che avete sentito potrà essere incompreso, ma ve lo faccio lo stesso, perché non saprei dirvi altro di meglio. Vi auguro che nella vita, avendo incontrato questa cosa grande, che è una grazia di Dio - come adesso ci sentiamo dire naturalmente e spontaneamente in tutti i posti dove qualcheduno di noi c'è -, per la grazia che ci è stata fatta di questo incontro, c'è una potenzialità in voi, una potenzialità in voi che lo Spirito ha messo, implicitamente o più esplicitamente, secondo la storia di ognuno, una capacità che lo Spirito ha messo in voi di testimoniare Cristo, che è l'unica cosa che il mondo attende, perché dove è Cristo, là i rapporti sono pace, unità e pace, compresi quelli fra sposati (unità e pace deve essere anche il binomio della famiglia; ma per tutti è così). Comunque, qualunque sia la forma di vocazione, vi auguro che in questa grande cosa, per questa grande cosa che il Signore vi ha dato, se essa diventa sempre più personale, cioè sempre più obbediente (perché anche la personalizzazione è un'obbedienza intelligentemente portata avanti), abbiate ad incontrare un padre, abbiate a vivere l'esperienza del padre. Perché la prima appartenenza, fisiologicamente e socialmente parlando, e anche ai propri occhi, è quella del genitore. Dio ci è dato attraverso padre e madre.
Che ognuno di voi abbia veramente a riscoprire la grandezza di questo ruolo, che non è un ruolo, è la condizione in cui l'uomo guarda, vede Iddio e Dio gli affida quello che gli preme; padre e quindi madre, perché è lo stesso, non sono due funzioni spiritualmente diverse; è solo materialmente che le cose cambiano, quando uno ha un limite e l'altro un altro limite. Così, per questo io sono voluto venire qui a salutarvi. Che abbiate a vivere l'esperienza del padre; padre e madre: lo auguro a tutti i capi, a tutti i responsabili delle vostre comunità, ma anche a ognuno di voi, perché ognuno dev'essere padre degli amici che ha lì, dev'essere madre della gente che ha lì; non dandosi un'aria di superiorità, ma con una carità effettiva. Nessuno, infatti, può essere così fortunato e felice come un uomo e una donna che si sentono fatti dal Signore padri e madri. Padri e madri di tutti coloro che incontrano. Vi ricordate ­ come lo descrive il secondo libro della Scuola di comunità -, quando Gesù, andando per i campi con i suoi Apostoli, vide vicino a un paese che si chiamava Naim, una donna che piangeva e singhiozzava dietro la bara del figlio morto? E Lui andò là; non le disse: «Ti risuscito il figlio». Ma: «Donna, non piangere», con una tenerezza, affermando una tenerezza e un amore all'essere umano inconfondibili! E infatti, dopo, le diede anche il figlio vivo. Ma non è questo, perché di miracoli possono farne anche altri, ma questo, questa carità, questo amore all'uomo proprio di Cristo non ha nessun paragone in niente! Andiamo.