Un incontro "casuale". Una presenza che cambia

Meeting
Carlo Dignola

Julián Carrón e Bruno Tolentino, uno dei maggiori poeti brasiliani, alla presentazione dell’ultima “Quasi Tischreden”. Il racconto del primo inconsapevole “incontro” con don Giussani all’aeroporto di Salvador de Bahia. Quando Sartre lo fece spostare per «pulire l’aria». «Un libro come questo prova assolutamente che il cristianesimo è un comunicarsi della totalità dell’Essere, e questa totalità non può starci che in una persona viva»

È come se ci fossero state due tische, due tavole apparecchiate in questi anni. Una a Milano, attorno alla quale tutte le settimane, dal 1990, don Giussani incontrava a cena delle ragazze del Gruppo Adulto - come ha raccontato durante l’incontro che ha concluso il Meeting Mario Molteni, che è tra quelli che queste conversazioni «libere, dove le domande sono decisive» le hanno fatte diventare dei libri un po’ particolari (la collana “Quasi Tischreden” della Bur, appunto). Ma c’era anche un’altra tavola dall’altra parte del mondo, di cui non sapevamo nulla, eppure qualcuno ci si è seduto e ha anche cenato, perché aveva appetito e perché ha trovato qualcosa di buono da mangiare.
Viene da pensarlo, guardando la faccia ossuta e sorridente di Bruno Tolentino, uno dei maggiori poeti sudamericani viventi. Uomo estremamente colto, cresciuto in una famiglia della ricca borghesia brasiliana, lasciò il suo Paese dopo il colpo di Stato dei generali del ’64 e ha vissuto prima un po’ in Italia, ospite di Giuseppe Ungaretti, poi in Belgio e quindi a Oxford, dove ha insegnato per quindici anni in una delle università più prestigiose del mondo. Ma prima, prima di tutto questo, uno strano giorno di quasi cinquant’anni fa - Tolentino lo ricorda molto nitidamente: è un tipo preciso - gli era successo un piccolo fatto, all’aeroporto di Salvador de Bahia.

Ad accogliere il pensatore francese
Quanto possano essere strani, casuali eppure inevacuabili certi incontri stupisce. Era il 1960. Tolentino aveva vent’anni, era un giovanissimo scrittore emergente: aveva già vinto il Premio Revelaçao con il suo primo libro, Annullamento e altre osservazioni - già il titolo dice molto, del clima di quegli anni, ma anche della curiosità un po’ testarda del ragazzo. Il rettore della sua università gli aveva chiesto un favore: se lui, che conosceva il francese, poteva andare ad accogliere all’aeroporto Jean-Paul Sartre, che veniva in Brasile a presentare il suo famoso libro L’Essere e il Nulla. Bruno, a dire il vero, era attestato sulla “seconda linea”, data l’età probabilmente: doveva fare da interprete non al filosofo esistenzialista, ma a Simone de Beauvoir che lo accompagnava.
Era lì sulla pista, che aspettava la star del pensiero, e gli venne incontro invece qualcun altro: «Ricordo che scesero per primi due preti». Uno di loro era Luigi Giussani. Glielo ha rivelato lui stesso, ora che dopo tanti decenni si sono rivisti. Durante il viaggio l’aereo aveva fatto uno scalo tecnico a Città del Messico («Era uno di quei vecchi apparecchi che bisognava rifornire di benzina ogni tanto») ed era salito Sartre. Il filosofo si era trovato il sedile prenotato proprio accanto a quel prete, ed era andato subito dalla hostess pretendendo che Giussani fosse immediatamente cambiato di posto, per «pulire un po’ l’aria»: il grande pensatore laico, marxista non voleva sedere vicino a quel tipo vestito tutto di nero che anche solo nell’abito rappresentava tutto ciò che lui con la sua filosofia e soprattutto con la sua vita intera - Simone de Beauvoir avrebbe potuto ben testimoniarlo - aveva sempre avversato.

Due persone “inutili”
Insomma, «Giussani lo hanno cacciato un po’ più in là» dice Tolentino.
Lui proseguiva per Rio de Janeiro; era sceso a Salvador de Bahia per sgranchirsi un po’ le gambe mentre riempivano i serbatoi. Era la prima volta che metteva piede in Brasile, ed era assolutamente sconosciuto, «come me del resto allora - dice il poeta-. Eravamo due persone assolutamente inutili in quel momento».
Era un incontro, quello? Destinato a incidere sulla storia del Brasile? Chiunque avrebbe detto di no. C’era Sartre su quella passerella, mon Dieu! Giussani mentre infilava il piede lungo la scaletta dell’aereo, «con il triste volto di chi pensa», stava ragionando fra sé e sé: «Io vengo in Brasile per cercare di fare una cosa che mi sembra importante, indispensabile, urgente, e nello stesso momento nello stesso luogo arriva quest’uomo, questa celebrità, a fare esattamente l’opposto». Sartre era all’apice della sua fama «e della sua influenza nel mondo»: tre anni dopo gli avrebbero assegnato il Nobel per la letteratura e addirittura «pieno di sé com’era», si sarebbe permesso di rifiutarlo - ricorda Tolentino -, «perché lui era aldilà del bene e del male anche dei premi».

Scherzo del destino?
Questo strano incontro con Sartre, Giussani l’ha sempre raccontato. Lo considera emblematico. Ma perché il poeta brasiliano tira fuori questa storia proprio ora? Solo per sottolineare una curiosa coincidenza, uno di quegli “scherzi” che il destino ogni tanto si diverte a disseminare nella vita degli uomini? No. Tolentino vuole dimostrare una piccola tesi utilizzando questo “argomento iperbolico”. Da quel giorno a Salvador de Bahia sono passati più di quarant’anni, «e in questi qurant’anni è venuto il vento e ha spazzato via la moda del pensiero esistenzialista». Cosa resta oggi di Sartre? Quasi niente. I giovani non leggono più i suoi libri. Invece quel “prete inutile” che era spuntato sulla scaletta, e che neppure ha aperto bocca quel giorno, qualcosa in questi anni ha fatto. Giussani è ancora «una presenza che cambia» la vita di migliaia di persone nel mondo. Eccoci dunque al titolo della settima Tischreden.
Il tema di Una presenza che cambia - lo ha spiegato Mario Molteni - è esattamente questo che il poeta brasiliano ha descritto con l’apologo dell’aeroporto di Salvador de Bahia: «Non chi è Cristo, ma dove oggi lo si possa incontrare». Perché è vero che, come diceva sant’Agostino, «nel reale tutto parla», ma già san Tommaso - ha ricordato Julián Carrón - gli rispondeva che coloro che hanno orecchie per intendere la sua voce sono «un piccolo numero soltanto», e a comprendere qualcosa del mistero che circonda l’esistenza ci arriverebbero solo «dopo molto tempo, e non senza mescolanza di errori».

Confusione e cinismo

« Per essere cristiano occorre essere un genio» dice provocatoriamente Carrón, soprattutto oggi che - come diceva Nietzsche - «non esistono più fatti, ma solo interpretazioni». L’abitudine a trattare i fatti «come se fossero mere opinioni», il confondere sistematicamente gli uni con le altre - come denunciava Hannah Arendt - è il terreno scivoloso su cui tutti noi poggiamo i piedi. Ma senza avere un’idea chiara di questa distinzione, non si può comprendere neppure il cristianesimo.
Il chiasso attorno è assordante, e saremmo tutti preda della confusione e del cinismo se non ci fosse stata data, in primo luogo, una strada. È la Chiesa il tema di Una presenza che cambia, qualcosa che non è né un’utopia su come il mondo dovrebbe essere né una simpatica compagnia di gente che la pensa allo stesso modo. «Possiamo noi, oggi, fare esperienza del cristianesimo?» -, si chiede Carrón. «È questa la questione del libro, perché il cristianesimo è un fatto», non un’opinione, e neppure un certo modo di concepire il nostro côté spirituale o affettivo. «L’unico modo per sconfiggere l’ideologia non è un’altra ideologia» dice Carrón, ma un’esperienza: «Cosa sia Dio, il Mistero a cui tendono tutte le religioni, lo si capisce guardando quell’uomo, Cristo, perché Egli è il mezzo attraverso cui si è rivelato; il metodo usato da Dio per comunicare la verità».
Fin qui don Giussani. Carrón commenta: «Io dico che Cristo non è innanzitutto la Verità, ma è il metodo con cui la Verità si è comunicata». Infatti Gesù la nomina per seconda quando vuole definire se stesso: «Io sono la Via, la Verità e la Vita». Se Zaccheo non avesse potuto incontrarlo «in carne e ossa», quel giorno, non sarebbe sceso dal sicomoro e non avrebbe conosciuto nessuna verità e nessuna vita nuova. Certo, bisogna essere semplici per riconoscere questo metodo eversivo per le nostre abitudini, avere il coraggio di seguire «un unico criterio: il cuore».

Uno stream nuovo
Questa diversità assoluta, che come un’acqua di un’altra temperatura entra quasi invisibile nel corso della storia, appare il giorno che Gesù esce dalla tomba di Gerusalemme: la Resurrezione e la Chiesa hanno la stessa data di nascita. L’una è segno dell’altra: «Che Cristo è risorto lo si vede nel mondo dal fatto che esiste il popolo di Dio» dice Carrón. «Cristo non si può concepire da solo. La Resurrezione coincide con l’inizio di uno stream nuovo, di un flusso di umanità nuova nella storia di cui conosciamo i primi nomi e poi sappiamo anche gli ultimi fino a oggi: i nostri. Il nuovo popolo di Dio, il cristiano, è la dimostrazione, l’evidenza di Cristo risorto».
E attraverso questo popolo nato dalla vittoria di Cristo sulla morte «è possibile oggi fare la stessa esperienza dell’inizio». Il cristianesimo è una cosa nuova, che penetra piano piano dappertutto: «La sua natura è un avvenimento». La forza della tradizione è quella di portare, attraverso i secoli, non il ricordo del passato, neppure quello degli straordinari fatti del mattino di Pasqua a Gerusalemme, ma questa novità assoluta vivente.
Bruno Tolentino conferma proprio ciò che ha detto Carrón. Nel suo ultimo libro «ci sono cose magnifiche, che non trovi neppure nella più grande teologia» dice il poeta brasiliano, ma non è questo il punto. Il cristianesimo «è qualcosa che accade continuamente», un altro livello dell’esperienza che interseca la vita biologica, che non si riduce a essa ma che ha la stessa concretezza.

Nodo carnale

La chiama «tutt’altra religione», Tolentino. Dice che le umane devozioni verso l’Assoluto possono fare a meno di passare per questo nodo carnale, ma il cristianesimo no. Il cristianesimo non è una filosofia, come quella di Sartre, non è una strana “magia”, e neppure un’associazione di seguaci di Gesù: «È un modo di manifestarsi di Dio», che fa stare insieme gente che altrimenti non si sopporterebbe a lungo.
Eppure qualcosa è accaduto. Anzi, accade. Lo ha detto Giussani stesso, collegandosi alla fine di questo incontro con l’Auditorium del Meeting, invitando tutti ad affrontare «i faticosi e quindi pericolosi cambiamenti della storia» riconoscendo «l’esistenza di un paragone intelligente con il disegno che accade come un atto più acuto e potente di quello che è già accaduto».