“Può un uomo nascere di nuovo quando è vecchio?”
Il 24 aprile il Patriarca di Venezia ha presieduto la messa a Rimini, in occasione degli Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione. Ecco il testo della sua omelia1. «Dio, nell’acqua del Battesimo hai rigenerato coloro che credono in te». Così ci ha fatto pregare l’Orazione di Colletta. All’interno di questi Esercizi spirituali cui prendono parte, in vari modi, membri della Fraternità di Comunione e Liberazione di numerosi Paesi del mondo, l’azione eucaristica che stiamo celebrando rende presente l’unico ed irripetibile evento salvifico di Gesù Cristo. Siccome la rigenerazione che salva può avvenire solo nel presente, allora l’amata persona di Cristo, presente qui ed ora, sta rigenerando, sta salvando proprio me, proprio te qui ed ora. Sono io, sei tu il rigenerato, «l’uomo nuovo di cui Cristo parlava a Nicodemo, l’uomo che nasce dall’alto: dall’alto, cioè dall’Altro!» dice Don Giussani. E continua: «Si tratta realmente di una “concezione” di sé, di una concezione generata dal riconoscimento e dall’accettazione dell’Altro come l’attrattiva che mi costituisce» (cfr. Certi di alcune grandi cose, p. 218).
Don Giussani fa leva sul doppio significato della parola concezione: nel Battesimo ogni uomo è concepito di nuovo come figlio nel Figlio e da qui ha origine per lui una nuova concezione di sé. E Benedetto XVI così la descrive, in modo lapidario: «“Io, ma non più io”: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro al tempo, la formula della novità cristiana chiamata a trasformare il mondo» (Omelia al Convegno ecclesiale di Verona, 19 ottobre 2006).
Anche dopo tanti anni di cammino cristiano è impossibile non percepire l’urto, starei per dire lo sconquasso che queste affermazioni di radice paolina provocano in noi, se non altro per l’oceano di distrazione in cui normalmente siamo immersi, forse anche qui, in questo momento.
L’uomo è concepito come cristiano nel Battesimo. Ma, soprattutto se l’ha ricevuto da bambino, il Battesimo fiorisce in una nuova concezione di vita quando avviene il suo incontro personale con Cristo nella Chiesa.
Questo incontro è dovuto alla grazia del carisma che rende persuasiva la grazia del Battesimo e dell’istituzione ecclesiale. Lo ha precisato il Venerabile Giovanni Paolo II: la grazia sacramentale (istituzione) «trova la sua forma espressiva, la sua modalità operativa, la sua concreta incidenza storica mediante i diversi carismi che caratterizzano un temperamento ed una storia personale» (Discorso ai sacerdoti partecipanti a un corso di Esercizi spirituali promosso da Comunione e Liberazione, 12 settembre 1985).
Ogni cristiano dovrebbe compiere l’esercizio di rinvenire con precisione nella propria vita il quando ed il come di questo incontro personale e riandarvi continuamente per restarvi fedele.
Tutti noi sappiamo che ogni grazia - ciò vale per il sacramento e vale per il carisma - non può essere posseduta come si possiede un oggetto. Perciò ognuno di noi, se appena è autentico, può riconoscersi in Nicodemo, combattuto tra lealtà e scetticismo. Pensiamo a quando si riaffaccia maligna la nostra misura nell’uso della ragione - «Come può nascere un uomo quando è vecchio?» (Gv 3,4); o quando la libertà si impunta - ottusa, o addirittura capricciosa - «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?» (Gv 6,60) -. Allora la realtà ci sfugge come la luce se volessimo trattenerla nelle nostre mani impotenti.
2. Chi ci libererà da questa ultima tristezza di vita? Solo il “testimone fedele” (Ap 3, 14). Così l’Apocalisse definisce Gesù. Lui e quanti Lo seguono, come si segue una presenza che diventa il centro affettivo di tutta l’esistenza. Il carisma vive nell’incontro storico con il testimone in cui splende la novità del Risorto. È data così all’uomo la possibilità di ri-nascere come avvenne fisicamente, in forza del testimone Pietro, per Tabità (Gazzella) risuscitata (cfr. Prima Lettura).
La testimonianza è il metodo di conoscenza più adeguato della verità perché è il modo con cui essa si comunica. E una verità è veramente conosciuta solo quando è comunicata.
La ri-nascita battesimale consente l’incontro di tutto l’io con tutta la realtà perché apre ed accompagna la libertà a quella relazione buona per eccellenza che è la comunione con Cristo e, in Lui, con i fratelli. Il cristianesimo è realmente la nuova parentela, più forte di quella della carne e del sangue.
Ma la comunione è a tal punto “dall’alto” che in mille modi noi le opponiamo resistenza. Pertanto la provocatoria domanda di Gesù nel Vangelo di oggi: «Volete andarvene anche voi?» poco o tanto è rivolta a tutti noi qui riuniti. La vitalità del carisma, a cinque anni dalla morte di Don Giussani, domanda testimoni tesi ad una umanità riuscita. Il carisma incalza la libertà di ciascuno dei membri di Comunione e Liberazione perché giunga, come quella di Simon Pietro, fino alla verifica della convenienza della sequela: «“Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”» (Gv 6,69).
3. Come può credere e riconoscere Cristo come il Salvatore, cioè rinascere dall’alto, dall’Altro, l’uomo di oggi, l’uomo post-moderno, tentato di cercare la salvezza nelle strabilianti scoperte delle tecnoscienze in campo evolutivo, biologico, neuroscientifico, considerando, non di rado, la fede religiosa al massimo come una soggettiva opportunità consolatoria?
L’unica condizione, anche nell’attuale frangente storico resta l’incontro con testimoni di una umanità redenta, perciò piena e conveniente, quindi ben radicata nella post-modernità.
Vivere da uomini redenti non significa essere impeccabili, ma “amare la vita nuova” perché siamo amati da Colui che ci ama per primo. «Deus prior dilexit nos». Afferma Agostino: «Non amiamo se prima non siamo amati… Cerca per l’uomo il motivo per cui ama Dio e non troverai che questo: perché Dio per primo lo ha amato» (Disc. 34, 1-3; 5-6).
Un simile, credibile testimone si riconosce dall’unità della sua persona. L’unità è il valore su cui si fonda l’esperienza elementare dell’io. Ma l’unità dell’io si sostanzia di relazioni buone. A partire da quelle primarie col papà e con la mamma, fino ad includere tutte le relazioni in cui l’uomo ri-nasce scoprendo ogni volta, anche dopo la caduta o i naufragi, che il disegno buono del Dio fedele non cessa di rispondere alla promessa di compimento destata dall’incontro con Cristo. È il fenomeno dell’autorevolezza, dell’affiorare della santità, che non può stare e non sta mai senza l’autorità costituita. L’autorità costituita è la figura umana attraverso la quale si segue «il disegno dello Spirito di Dio nella storia e nella nostra vita» (L. Giussani, Da quale vita nasce Comunione e Liberazione).
Unità dell’io, unità della Chiesa guidata dal Successore di Pietro e dai successori degli Apostoli. E unità con chi nella compagnia vocazionale, nata dal carisma a cui si partecipa, ha ricevuto la responsabilità oggettiva di guida. L’unità vissuta come abito permanente e virtuoso dice più di tutto il resto la novità dell’uomo redento ed assicura il permanere della Chiesa e di ogni carisma nella Chiesa. È per questo che l’unità non teme mai la correzione, comunque nasca, perché nulla può intaccare il fatto che l’unità, in quanto donata dall’alto, sempre ci precede mobilitandoci.
4. «Che cosa renderò al Signore per tutti i suoi benefici?» abbiamo ripetuto con il Salmo responsoriale. La preferenza, dimostrata dal Signore con il dono della fede e con la partecipazione al carisma di don Giussani, rende più acuta la consapevolezza e struggente la passione che, come ci documenta il Libro degli Atti, condusse i primi sulle strade del mondo. A questo proposito è utile che non ci lasciamo sfuggire quello che solo apparentemente è un dettaglio della Prima Lettura. Descrivendo la vita e la missione di Pietro, dice infatti il Libro degli Atti: «E avvenne che Pietro, mentre andava a far visita a tutti…».
In questo «far visita a tutti» sono espressi l’orizzonte e la natura propria della missione della Chiesa e di ciascuno di noi. Non c’è circostanza né situazione dell’umana esistenza estranea al dono del Risorto. Per questo la missione chiede un’apertura alla realtà a tutto campo e assegna a ciascuno di noi una ben precisa responsabilità. Ci è chiesto di assumere, come uomini nuovamente concepiti nello Spirito, le circostanze vocazionali personali e comunitarie, sempre concrete e storicamente situate, fatte di tempo e spazio, di stato di vita, di affetti, lavoro e riposo, di gioie e dolori, di speranza e di problemi… documentando la convenienza suprema dello spendere la propria esistenza “in Cristo”. La missione si gioca in ogni luogo e in ogni momento e non potrà mai essere immaginata come la riproposizione meccanica di formule o iniziative. La vita ti è data per essere donata. Se non la doni il tempo te la ruba.
Unità e missione sono l’espressione della gratitudine al Signore e a coloro che ci hanno preceduto e accompagnato nella Sua sequela. Anzitutto al carissimo don Giussani .
5. Affidiamo alla Vergine Maria, Mater Ecclesiae, il nostro cammino. Ella è la madre dei redenti. Il Suo “sì” è sorgente del mondo trasfigurato, ambiente di vita degli uomini liberi, liberi perché sempre e di nuovo liberati dall’alto. Amen
(da www.angeloscola.it)