Dall’utopia alla presenza

Appunti da una conversazione di Luigi Giussani con un gruppo di universitari. Riccione, ottobre 1976, in L. Giussani, Dall'utopia alla presenza (1975-1978), Bur, Milano 2006, pp. 53-56
Luigi Giussani


Una presenza è originale quando scaturisce dalla coscienza della propria identità e dall’affezione ad essa, e in ciò trova la sua consistenza.
II - Identità è sapere chi siamo e perché esistiamo, con una dignità che ci dà il diritto a sperare dalla nostra presenza “un meglio” per la nostra vita e per la vita del mondo. Ma chi siamo per avere il diritto a questa speranza, senza della quale la nostra vita scade in un borghesismo bieco - il cui criterio supremo è l’assicurazione contro il rischio - o nello scialbore di un’insoddisfazione che presto si trasforma in lamento o in accusa agli altri?
«Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, perché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete immedesimati con Cristo. Non c’è più né giudeo né greco; non c’è più né schiavo né libero; non c’è più né uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,26-28). Non ho mai citato un altro brano più volte di questo (salvo uno: «Chi mi segue avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù»; Mt 19,29).
«Voi che siete stati afferrati, vi siete immedesimati con Cristo»: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (Gv 15,16). È una scelta oggettiva che non ci strappiamo più di dosso, è una penetrazione del nostro essere che non dipende da noi e che non possiamo più cancellare. «Tutti voi che siete stati battezzati, vi siete immedesimati con Cristo»: perciò non esiste più alcuna differenza tra voi, «né giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna. Tutti voi siete uno in Cristo Gesù»: questa è l’identità nostra. La Lettera agli Efesini dice testualmente: «Siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25).
Non esiste niente di culturalmente più rivoluzionario di tale concezione della persona, il cui significato, la cui consistenza è una unità con Cristo, con un Altro, e, attraverso questa, una unità con tutti coloro che Egli afferra, con tutti coloro che il Padre Gli dà nelle mani.
La nostra identità è l’essere immedesimati con Cristo. L’immedesimazione con Cristo è la dimensione costitutiva della nostra persona. Se Cristo definisce la mia personalità, voi, che siete afferrati da Lui, entrate necessariamente nella dimensione della mia personalità. È questa la «creatura nuova» del finale bellissimo della Lettera ai Galati (Gal 6,15), o l’inizio della «creazione nuova» di cui parla san Giacomo (Gc 1,18).
«Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede», dice Giovanni (1Gv 5,4): la fede vince il mondo, cioè dimostra la sua verità su tutte le ideologie e concezioni, su tutti i modi di sentire l’umano, perché è la verità strutturale per cui il mondo è stato fatto. È la verità che si manifesterà e si instaurerà compiutamente alla fine, ma è il fattore che urge la storia ora e catalizza il bene nel mondo, permettendo al mondo di essere più umano.
Sia che mi trovi da solo nella mia stanza, sia che ci troviamo in tre a studiare in università, in venti alla mensa, ecc., dovunque e comunque questa è la nostra identità. Il problema è perciò l’autocoscienza, il contenuto della coscienza di noi stessi: «Vivo, non io, sei Tu che vivi in me» (cfr. Gal 2,20). Questo è il vero uomo nuovo nel mondo - l’uomo nuovo che fu il sogno di Che Guevara e il pretesto mentitore di rivoluzioni culturali con cui il potere ha tentato e tenta di aver in mano il popolo, per soggiogarlo secondo la propria ideologia; e nasce innanzitutto non come coerenza, ma come autocoscienza nuova.
III - La nostra identità si manifesta in un’esperienza nuova dentro di noi e tra di noi: l’esperienza dell’affezione a Cristo e al Mistero della Chiesa, che nella nostra unità trova la sua concretezza più vicina. L’identità è l’esperienza viva dell’affezione a Cristo e alla nostra unità.
La parola “affezione” è la più grande e comprensiva di tutta la nostra espressività. Essa indica molto più un “attaccamento” che nasce dal giudizio di valore - dal riconoscimento di quello che c’è in noi e tra di noi - che una facilità sentimentale, effimera, labile come foglia in balia del vento. E nella fedeltà al giudizio, cioè nella fedeltà alla fede, con l’età, tale attaccamento cresce, diventa più turgido, vibrante e potente. «Quello che poteva essere per me un guadagno, l’ho considerato perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo, e di essere trovato in Lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede» (Fil 3,7-9).
Questa esperienza viva di Cristo e della nostra unità è il luogo della speranza, perciò della scaturigine del gusto della vita e del fiorire possibile della gioia - che non è costretta a dimenticare o a rinnegare nulla per affermarsi; ed è il luogo del recupero di una sete di cambiamento della propria vita, del desiderio che la propria vita sia coerente, muti in forza di quello che essa è al fondo, sia più degna della Realtà che ha “addosso”.