Amore Per sempre. L'Essere è positività
TemaAlberoni,
D’Alatri, Cesana alle prese con Gabriel Marcel: «Amore è dire
all’altro: tu non morrai». La percezione della vita come positiva
e l’avvenimento cristiano come possibilità di durata
Da una parte c’è quello che dice l’esperienza: l’amore
e la bellezza muovono l’uomo e il mondo, sono «un fattore di grandi
imprese, sia in bene che in male». Dall’altra, c’è un
secondo dato, reale e drammatico come e più del primo: la morte, il nulla
che di quelle imprese resta. «E allora, che cosa vale? Il nulla o ciò che è stato
mosso dalla bellezza? Quando ci si innamora viene da dire all’altro: “Tu
non morrai”. Si può dire questo?». Benvenuti nel cuore di
uno degli incontri più seguiti del Meeting, introdotto da Giancarlo Cesana
con una domanda che partiva da Elena e dall’Iliade per planare davanti
a due interlocutori: Francesco Alberoni, sociologo di fama, consigliere d’amministrazione
della Rai e firma di spicco del Corriere, e Alessandro D’Alatri, regista
di cinema e spot e autore di quel Casomai che per molti è stato tra i
film dell’anno.
Alberoni è partito proprio dall’esperienza. Anzi, da una «fenomenologia
dei sentimenti», come la chiama lui; dal vedere e descrivere quello che
accade quando ci si innamora. Raccontato con un linguaggio che echeggia Guardini
(«quando due persone sono profondamente innamorate, anche gli atti più comuni
della vita quotidiana si trasfigurano»), che parla di «sacro» e «grazia» («solo
il linguaggio religioso consente di dar conto di questa esperienza»). E
che, a un certo punto, arriva al cuore della questione: alla positività profonda
del reale, che l’innamoramento ti fa percepire così a fondo da assaporare
un po’ di eterno. «Tutte le cose esistenti hanno un significato,
un senso positivo. Il mondo è, nella sua essenza, buono. Vero. Eppure,
la ferita resta aperta. Sotto forma di paura, magari di «perdere la persona
amata». O di domanda: ma come può durare, l’amore? Per Alberoni è una
chiave per interrogarsi anche su altro: i movimenti, le istituzioni, la politica...
Se non restano in qualche modo allo «stato nascente» dell’innamoramento,
decadono. Ma l’eterno? Il «non morrai»? «Soltanto Dio,
soltanto Gesù Cristo può dire: “Chiunque vive e crede in
me, non morrà in eterno” (Gv 11,26)».
Bella questione, quella del «per sempre». In fondo, è anche
il vero tema di Casomai, il film di D’Alatri su crisi, valore e battaglie
di un matrimonio complicato. Per il regista romano è stato l’occasione
per grattare sotto molti luoghi comuni e smascherare un dato: «L’amore
come amore di coppia oggi è diventato scomodo, démodé».
Svilito, ridicolizzato. O addirittura buttato via, come quelle cose che finiscono
nella spazzatura anzitempo perché pensi non servano più «e
invece poi ti ritrovi a cercarle rovistando nel secchio». Ma D’Alatri
si è spinto anche più in là: è arrivato a parlare
di «testimoni», di gente che «porta una testimonianza concreta
attraverso le cose che fa, come vive. La cosa più importante, oggi, è riconoscerli».
Questo dà speranza.
Tagli diversi, insomma. Ma capaci entrambi di andare «a quel sentimento
positivo della vita che in fondo è la radice della nostra esperienza»,
dice Cesana, «perché c’è una percezione originaria
della vita che è positiva. Fin da quando il bambino apre gli occhi percepisce
che la realtà è fatta per lui. Bene, nell’amore questa corrispondenza
addirittura ti cerca, ti vuole: è come se le montagne ti dicessero: “Io
sono fatto per te, io voglio essere per te”. E infatti nell’amore
la corrispondenza viene scoperta proprio come significato». Oltre all’altra
scoperta, quella che «da soli non si vive: quindi si vive per un Altro,
si vive per Altro». Ma anche qui: e il tempo? La durata? Come è possibile
che tutto ciò permanga? «E che cosa vale, appunto, nella vita: questa
esperienza di corrispondenza o il teschio di Elena?». Da qui sgorga il
problema della fedeltà: «Non si può vivere positivamente
se non si è fedeli all’amore incontrato. Penso a quando si parla
di indissolubilità del matrimonio, che non è semplicemente un principio
morale: è un principio di conoscenza. Perché la fedeltà è una
parte fondamentale dell’amore (come diceva Miguel Mañara: “Amare
a volte è duro come mordere un sasso”). Ma è per difendere
l’essere, per difendere la positività della vita. Appunto, è un
problema di ragione». Come di fronte al grande Fatto, accaduto proprio
per difendere l’essere e affermare questa positività fino alla radice: «Il
Fatto di Cristo. Cristo è risorto: certo, è morto. Ma è risorto.
Vuol dire che tutto quello che abbiamo non è per essere sepolti, ma è per
vivere». E allora si torna di nuovo al dramma della domanda di partenza,
ma questa volta con un’ipotesi di risposta: «Io non morrò e
tu non morrai perché siamo stati amati. L’aspetto definitivo della
vita è questo: qualunque cosa succeda, la vita è fatta per questo.
La speranza è una certezza affidata al Mistero. Cioè, io sono certo
di quello che vivo, anche se non so come andrà a finire: ma questo è quello
che mi fa vivere». Per sempre.