Andreotti Una lunga storia dove «ho imparato da tutti»
StoriePiù di tremila persone hanno ascoltato il grande statista italiano. La
mamma, il clero romano, De Gasperi, Togliatti… il Meeting e Cl. I grandi
incontri che hanno segnato la sua vita
Questo incontro ha avuto per protagonista un politico, anzi - come si dice
- uno
statista. Sette volte presidente del Consiglio, ministro innumerevoli altre.
Eppure la politica non è stato l’elemento dominante. Perché era
come se in quell’ora e mezza di colloquio continuasse a snudarsi l’essenziale
della questione, senza cui non esiste politica, ma nemmeno una vita da uomini.
Insomma, c’era Giulio Andreotti. Nel rispondere alla domanda di un ragazzo
- ripensando a quanto gli è capitato in questi dieci anni, i processi
per mafia, l’accusa vituperosa e infamante di mandante d’omicidio
- Andreotti ha detto: «Non mi hanno fatto male».
Questa frase dischiude un mondo dove alla fine la violenza è impotente
e può di più l’amore, anche se fragile all’apparenza.
Non c’è stato nessuno in quella sala che non abbia afferrato quanto
si fosse al centro della domanda che ha dato sostanza al Meeting: «C’è un
uomo…». Be’ sì, Andreotti è questo, tutti vorremmo
essere così. In fondo torturato (lui eccepirebbe con ironia: c’è ben
altro su questa terra), espropriato del suo tempo, della sua fama e del suo onore,
trascinato in tribunali per tutt’Italia, eppure uno può dire, a
84 anni: «Non mi hanno fatto niente». Naturalmente a leggere queste
considerazioni Andreotti piegherebbe le labbra sottili in un sorriso di scetticismo: «Sono
un povero peccatore». Va be’, ma quella frase l’ha proprio
detta, gli è scappata, insieme ad altre minimizzatrici («Non arrivo
alla gratitudine verso chi mi ha fatto questo, non esageriamo»), ma la
sostanza della sua risposta alla grande domanda del Meeting è questa:
eccomi!
Trascriviamo alcuni momenti di questo dialogo, il cui titolo è stato: “Sono
un cronista romano, ho imparato da tutti”.
«
Ho imparato un po’ da tutti. Di certo ho imparato molto dal Meeting e da
Cl, tanto che quando un paio di volte non sono venuto ho sentito degli scricchiolii.
Ho imparato prima di tutto dalla mia famiglia. Mia madre a trentuno anni è rimasta
vedova di guerra con tre ragazzini. Ci ha abituato a non avere mai pessimismo
e da bambino mi mandava a giocare a Sant’Alessio, all’ospizio dei
ciechi, perché diceva: “Abituati nella vita a guardare sempre a
chi sta peggio e non a guardare solo a chi sta meglio”. E anche che l’invidia
rende tristissimi. Nella mia gioventù devo anche molto a un tipo di clero
romano. Tirava su i ragazzi con due caratteristiche: impegnandoli nell’approfondimento
e nel culto delle catacombe (la Chiesa dei primi secoli con le sue testimonianze
così forti nella vita di Roma) e insegnando il catechismo nella storia
dell’arte».
La Marina Pontificia e la politica
«
Tutto pensavo fuorché di occuparmi di politica. Me ne occupai perché Moro,
che era presidente della Fuci (Federazione Universitaria Cattolica Italiana),
mi affidò la direzione del loro giornale. De Gasperi stava riformando
la Democrazia Cristiana sulla base del vecchio Partito Popolare, e cercò di
fare del proselitismo tra di noi. Ero andato in biblioteca vaticana per studiare
la Marina Pontificia per la mia tesi di laurea. Un impiegato molto austero mi
disse: “Ma lei non ha niente di meglio da studiare?”. Io gli replicai: “Scusi,
ma a lei che gliene importa?”. Io non sapevo chi fosse. Quando qualche
giorno dopo in casa di Spataro trovai questo impiegato della biblioteca, mi disse: “Lascia
perdere la Marina Pontificia, trovati una tesi più facile e vieni a lavorare
con noi”. Così cominciò un’attività di carattere
politico. Quindi io non ho meriti o quasi, perché mi sono trovato in una
specie di navigazione nella quale il corso è stato spesso determinato
da eventi nei quali io non ho avuto il ruolo di costruttore. Detto questo, ho
imparato qualche cosa? Beh, se non avessi imparato vorrebbe dire che sarei un
ciuco completo. Specialmente ho imparato che non si completa mai la propria preparazione.
E che non solo bisogna abituarsi a parlare, ma anche avere l’attitudine
e l’interesse ad ascoltare».
Lei ha mai avuto un dubbio di fede? Ha mai attraversato la notte della fede? «Devo
dire di no. Questo è un dono di Dio. Quando leggo in alcune pagine di
madre Teresa e di padre Pio, le lunghe notti del loro animo, sento un’ammirazione
profonda, ma anche una gratitudine a Dio per non averle vissute. Ho avuto momenti
in cui mi pareva di essere alla deriva, però li ho subito superati. Insomma,
certamente noi abbiamo la fede romana forse perché siamo abituati ad avere
a Roma il Papa. Io abito in corso Vittorio sul fiume, e dalla mia stanza da letto
vedo le finestre del Papa da un lato e Castel Sant’Angelo dall’altro.
E so che il Papa alle 11 esatte dorme, perché si spegne la luce in Vaticano:
questi finiscono con l’essere dei sostanziali privilegi. Penso che essere
stati formati a vedere la memoria dei primi cristiani, a vedere come questo albero è nato
su enormi sacrifici, porta delle grandissime responsabilità, ma anche
delle certezze. Come questo nel conto finale servirà, non so: ognuno di
noi deve fare più affidamento sulla misericordia di Dio che non su un
esame del libretto di lavoro».
De Gasperi, Togliatti e Berlusconi
«
De Gasperi è stato una figura eccezionale. Vorrei riassumere tre suoi
insegnamenti. Primo: “Dovete onorare la vostre scelte politiche con la
vostra vita personale. Gli uomini devono vedere come voi agite, la vostra coerenza,
integrità e autenticità”. Secondo: veniva spesso a parlare
ai giovani e diceva: “Quando avrete responsabilità di carattere
politico, promettete sempre un po’ meno di quello che siete sicuri di poter
mantenere”. Faceva questo esempio: “Ai mercati settimanali, se uno
va una volta può anche portare un prodotto discutibile, tanto non gli
importa niente, ma se deve andarci tutte le settimane, deve stare attentissimo”.
E il terzo insegnamento, che allora era nuovo, era l’importanza della politica
estera. Noi abbiamo avuto anni difficili impostando una politica imperniata sull’Unione
Europea e sul Patto Atlantico: questo urtava contro lo schieramento della sinistra
orientato nel senso opposto. Ma non avemmo impazienze, convinti che fosse la
strada giusta. Lo schieramento dell’Italia deve tener conto della politica
estera. Questo insegnamento tuttora è valido».
«
Ho imparato poi la linea così detta non violenta che Togliatti impose
ai comunisti - e dico impose -, perché in alcune zone c’era invece
la linea opposta, la linea di Secchia, per la quale ci furono, dopo la Liberazione,
una serie di sacerdoti uccisi. Qualcuno dei suoi, proprio nei giorni successivi
alle elezioni del 1948, mi disse: “Togliatti nel suo intimo non è mica
molto dispiaciuto che loro non abbiano vinto. Perché se avessero vinto…”.
Sarà in paradiso adesso Togliatti? Non lo so. Comunque speriamo di avere
molto tempo prima di andare a vedere se c’è o no, e speriamo di
andarci noi, soprattutto».
Imparare anche da Berlusconi? «Devo dire di sì. Intanto direi la
fierezza di carattere. Sotto alcuni aspetti Berlusconi è un uomo ammirevole,
ma non mi piace quando dice: voi politici. È politico lei pure! Mi auguro
veramente che capisca che la politica è fatta anche di necessità di
dialogo, di necessità di cercare di convincere e ritenere che tutti possano
dare qualche illuminazione. Quindi anche con l’opposizione bisogna avere
un dialogo, perché, se manca nelle rappresentanze, enti locali o Parlamento,
finisce per crearsi una situazione d’incomunicabilità nel popolo
che favorisce poi il proselitismo di quelli che sono dei sostanziali eversori».
Infine i saluti: «Spero veramente di esserci l’anno prossimo. Se
non ci sarò, dite una piccola preghiera per me».