Banche Chi dà credito alla piccola impresa?

Libertà
Angelo Picariello

Passera, Profumo, Mazzotta, Iozzo, Azzi, Emanuele, Mussari. Gli uomini del sistema bancario italiano a confronto sui rapporti con le aziende. Con un occhio agli accordi europei del 2006

«Chi dà credito alla piccola impresa?», ma la domanda può essere anche rivoltata: a chi devono dar credito le piccole aziende, le famiglie? Alle grandi banche impegnate a potenziare la loro offerta alla clientela, o alle “banche del popolo”, casse rurali e regionali, che si propongono come continuatrici dell’antica tradizione mutualistica italiana? Il Meeting ha dato voce alle une e alle altre. I massimi dirigenti dei colossi bancari italiani hanno parlato, martedì, di “Basilea 2”, l’accordo che entrerà in vigore nel 2006, che fissa nuovi e più oggettivi criteri per l’accesso e la concessione del credito e che «potrà costituire - per il direttore della Compagnia delle Opere Sandro Bicocchi - una grande occasione per ridefinire la relazione fra banca e impresa». Un rapporto che continua a ruotare su una grande contraddizione: i “grandi” che a volte riescono a farsi finanziare anche quel che non si dovrebbe, e i “piccoli” che non trovano aiuti per crescere, spesso non riuscendo nemmeno a farsi ascoltare. «Sarà una grande occasione, “Basilea 2” - concorda Corrado Passera, amministratore delegato di Banca Intesa -, soprattutto per la piccola impresa». «Non ci sono dati che evidenzino restrizioni nella concessione del credito alle piccole aziende - assicura Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit - ma quando un’impresa rischia di entrare in sofferenza nel giro di due anni, il credito non lo otterrà mai, da nessuno. Semmai si tratta di aiutarla ad uscire da quella situazione». Cruciale così diventa il problema della trasparenza che pone Roberto Mazzotta: «Le aziende devono mettersi in condizione di farsi valutare», dice. Ma è lo stesso Presidente della Banca Popolare di Milano ad ammettere che anche le banche devono attrezzarsi meglio sulla capacità di valutare situazione di bilancio e potenzialità del cliente. Alfonso Iozzo, al riguardo, giudica positivo il processo che ha portato alla fusione San Paolo-Imi, gruppo di cui è amministratore delegato: «Un riuscito incontro fra cultura bancaria e cultura della progettazione, di cui Imi è portatore», rivendica. E se Profumo assicura, parlando per sé, che può esistere anche «un banchiere che desidera giorni felici», Passera giudica una “grande risorsa” del Paese le piccole e medie imprese, sebbene «con le sole piccole aziende un sistema non cresce». E sono tutti d’accordo con Iozzo quando sostiene che una grande banca può esser vicina al piccolo cliente non meno delle banche regionali.
Il giorno prima era stato Alessandro Azzi, presidente di Federcasse, a difendere le ragioni delle Banche di credito cooperativo, citando alcuni numeri: 630mila soci, 4 milioni di clienti, «una realtà a misura delle piccole imprese e delle famiglie, di cui i grandi istituti alle prese con le concentrazioni sembrano dimenticarsi», è la sua tesi. All’incontro sulle “banche del popolo” si è parlato della banca che non dimentica lo scopo per cui è nata: sottrarre famiglie e piccole aziende dalla spirale dell’usura. Non solo piccoli istituti. Anche i grandi intendono conservare la loro antica identità, attraverso le Fondazioni, protagoniste di storie di sussidiarietà applicata, nei campi della ricerca come dell’assistenza. Ma su questo la contesa con la politica - circa il rapporto che dovranno avere con gli enti locali - è aspra: «Allo Stato non tornano i conti e vorrebbero ripianarli con i nostri patrimoni», dice senza mezzi termini Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Roma. Prevede una «battaglia ancora lunga» e il presidente della Fondazione Monte Paschi di Siena, Giuseppe Mussari, riconosce che senza l’aiuto del Terzo settore e della Compagnia delle Opere essa «sarebbe stata già persa». Banche del popolo, o dei finanzieri? La sfida resta aperta.