Chiamati a riconoscere e a compiere qualcosa di grande
MilitanzaProponiamo gli
appunti
degli interventi di Bona Castellotti e Cesana durante
l’incontro coi 2600 volontari che hanno permesso la realizzazione del Meeting.
Rimini, 23 agosto
Marco Bona Castellotti
«
Il fine ultimo dell’uomo fu da sempre un fine soprannaturale e da sempre
fu destinato [l’uomo] a pervenire al suo adeguato sviluppo in questa dimensione
che si trova al di là della sua natura» (von Balthasar). Ora, questa
dimensione soprannaturale, il pensiero del 900 e quello attuale o la negano,
molto spesso per indifferenza, riportando tutto a una dimensione immanente, o
confondono il soprannaturale con qualcosa di astratto, d’impalpabile e
al quale si accede con una forma di spiritualismo. Invece per il cristiano il
soprannaturale ha qualcosa di estremamente concreto e inerente la natura dell’uomo.
L’uomo, grazie a quella parte di sé che può accedere a una
dimensione, “che va al di là della sua natura”, è chiamato
a riconoscere e a compiere qualcosa di grande. Come si pone in questa dimensione
di grandezza qualcosa di apparentemente piccolo e umile come è, per esempio,
un certo tipo di lavoro, come gran parte di quello che si svolge al Meeting:
piantare chiodi, pulire per terra, lavorare in cucina, sbucciare le patate?… Che
cosa c’entra questa umiltà con la grandezza di cui siamo assetati
e di cui saremmo capaci? Perché la tradizione cristiana che passa attraverso
la storia monastica e arriva fino a oggi - perché anche nel pensiero di
don Giussani il lavoro viene trattato con simile rispetto - ritiene che queste
cose umili possano essere grandi? So io soddisfare il mio umano desiderio di
grandezza compiendo cose umili? La risposta, che è sì, è inerente
al valore supremo del cristianesimo che è quello della povertà.
Nella povertà per i cristiani la grandezza di un’opera umile viene
assicurata e determinata da due fondamentali fattori: il primo è che la
mia persona, il mio io, si realizza nella sua piena unità, di mente perché è cosciente
di quello che fa, e di cuore perché prova una grande gioia nel farlo.
La seconda condizione è che fare qualcosa di umile diventa tanto più bello
a offrirlo, a farlo per. È questo il valore dell’offerta che si
stringe, si imparenta con il valore della povertà quanto più io
riesco ad avere coscienza di essere servo. Dal servire si sprigiona un senso
di grandezza è come se mi venisse tributato un supplemento di personalità e
in qualche modo il pensiero laico, il pensiero liberale lo ha compreso, ma ha
falsificato questo fascino del poter servire quando ha inventato la figura del
filantropo che fa del bene. Cosa distingue la grandezza del filantropo liberale
dalla grandezza di noi poveri servi di Cristo e degli uomini? Che la grandezza
del filantropo cresce in proporzione allo splendore di quello che sa fare e se
ciò che fa non è grande agli occhi del pubblico, non esiste; la
grandezza del cristiano non ha bisogno di essere coronata né dal successo
né dall’utilità di ciò che è. Il cristianesimo
esalta la persona, anche se la persona è servo inutile. Perché la
povertà del nostro fare e la sua offerta a Dio ci portano a una essenzialità che
ci avvicina di più al vero, alla verità. In tal senso la vicinanza
al vero ci rende grandi. Auguro a tutti voi, e mi ci metto anch’io, di
cercare instancabilmente la verità. Cerchiamo la verità, siamo
sulla strada giusta, ma molto spesso siamo distratti e tradiamo la bellezza della
ricerca della verità. Il cercare la verità pone però delle
condizioni, una delle quali è riconoscere la grandezza della povertà.
Giancarlo Cesana
Il problema di Dio nasce proprio dall’esigenza di felicità, perché per
poter essere felice ho bisogno di scoprire chi mi ha fatto, devo conoscerlo e
capire di che cosa sono costituito, il che ha una conseguenza: per essere felici
bisogna seguire chi ha le chiavi della felicità; non si può essere
felici facendo quello che pare e piace. Frequentemente cerchiamo con insistenza
una cosa che ci sembra giusta e alla fine scopriamo che la risposta giusta non è quella
che cercavamo noi, ma un’altra, come può succedere a uno che sposa
una donna che non prevedeva. La risposta alla nostra vita non è qualcosa
che è nelle nostre mani, ma è qualcosa che è nelle mani
di un altro, per cui, per trovare la risposta alla nostra vita, bisogna conoscere
quel qualcun altro che sa cos’è la nostra vita. Che cos’è la
verità di cui parla il cristianesimo? La verità - che è all’origine
anche di questo Meeting - non è un’idea, una filosofia, un discorso;
ma è un abbraccio, è uno che ti vuole bene. Dio si è fatto
uomo per poter abbracciare l’uomo e, per fargli capire che gli vuole bene, è diventato
come lui e gli ha dato la vita. Voi siete qui perché avete incontrato
qualcuno che vi ha abbracciato, accolto, voluto bene, vi ha fatto sentire non
dei casi nel mondo, ma delle persone importanti. Vale la pena seguire questa
verità, perché questa verità è un’amicizia, è qualcuno
che ci vuol bene. Noi nella vita la cosa che cerchiamo di più è qualcuno
che ci vuol bene, e anzi: ci muoviamo, prendiamo iniziativa se c’è qualcuno
che ci ha voluto bene, e per questo siamo contenti della vita, di noi stessi,
abbiamo rispetto di noi stessi, della nostra dignità. Da qui una conseguenza:
per essere felici bisogna lavorare, bisogna mettersi in moto su qualcosa che
non abbiamo deciso noi, cioè bisogna far fatica. Non è una cosa
che succede da sé. Noi siamo venuti al Meeting per un’amicizia e
vogliamo che questa amicizia si dilati attraverso un lavoro povero, perché il
lavoro che sostiene la vita, l’amicizia, è un lavoro povero. È la
mamma che lava i piatti; è il papà che sta attento quando parli,
che si occupa dei tuoi compiti; sei tu che dai una mano in casa, perché per
star bene, per essere amici, bisogna fare queste cose. L’amicizia nasce
dall’umiltà del lavoro, dall’umiltà dell’attenzione
degli uni verso gli altri, e noi siamo venuti in ragione di un’amicizia
e per imparare il lavoro che è richiesto dall’amicizia, che è l’attenzione
all’altro. Se ci pensate bene, però, è lo stesso problema
di quando si va a lavorare, o in università o a scuola: bisogna mettersi
all’opera, al lavoro, bisogna cioè impegnare la vita a scuola, al
lavoro, all’università, in casa. Poi si capisce che questo diventa
il vero lavoro della vita, perché cambia noi, cambia il posto dove siamo,
introduce qualcosa di diverso, introduce un bene che prima non c’era. Questo è il
lavoro che noi dobbiamo fare gratis, perché non ci paga nessuno per diventare
amici, per volerci bene, per migliorare la nostra convivenza. Ti pagheranno per
fare le macchine, per fare i bulloni, ma non ti pagano per essere amico del tuo
compagno (anche se l’infelicità della fabbrica sta nel fatto che
non c’è amicizia con il tuo compagno, con il quale si è lì come
da estranei); a volte anzi ti pagano per essere più estraneo. Il Meeting
si chiama Meeting per l’amicizia tra i popoli, perché la gente che
viene trovi l’umanità che cerca, cioè un’umanità che
non sia estranea, ma ti voglia bene. Per questo facciamo i lavori più umili,
poi c’è qualcuno che parla, come me, ma anch’io, come tutti
noi, sono chiamato al sacrificio di seguire, perché anch’io parlando
devo tener d’occhio quello che seguo. Noi abbiamo incontrato nella nostra
vita un’occasione che ci dice di che cosa la nostra vita è fatta
e quindi ci invita, con la domanda pressante che costituisce il titolo del Meeting,
a desiderare la felicità, a prenderla. Ecco, noi siamo qui perché non
vogliamo perdere questa occasione di scoprire un po’ di più qual è la
verità profonda della vita, qual è quella verità che realizza
quello che noi vogliamo più di tutto.