Don Giussani. De Bortoli: ci ha costretti a pensare con la nostra testa

Ferruccio De Bortoli


Quali reazioni ha suscitato in me - che ho trascorso un pezzo della mia vita professionale anche a raccontare l'evoluzione del movimento nato da don Giussani - la lettura di questo libro (Alberto Savorana, "Vita di Don Giussani", 2013, ndr)? Vorrei offrire alcune piccole considerazioni, del tutto personali.
Io credo che don Giussani ci abbia spiegato il vero significato della parola «comunità», un significato che forse con il tempo noi abbiamo perduto, e quanto sia grande il dono dello stare insieme. Credo che questo suo messaggio abbia una forza universale irresistibile. Conoscendo molti giovani che hanno condiviso l'esperienza di GS prima, di Comunione e Liberazione poi, ho sempre pensato che l'insegnamento di don Giussani fosse quello di un autentico cercatore di verità evangeliche, sommerse dalle macerie materialistiche del Sessantotto e della società che si è costruita dopo questa frattura avvenuta in maniera così violenta. (…)
Ho sempre pensato che la qualità principale di un educatore si estrinsechi soprattutto in una sorta, mi si lasci passare il termine, di potere soprannaturale; intendo dire che un vero educatore è una sorta di profeta che fa parlare il suo allievo anche quando è in silenzio, anche quando l'allievo non vuole parlare, che lo fa ragionare anche quando non vuole ragionare, che lo guarda dentro, che dialoga con la sua coscienza. Insomma, davanti a un vero educatore l'allievo è un po' nudo, lascia emergere i suoi limiti, denuncia i suoi peccati, espone tutte le sue paure, perché sa che quell'educatore non lo metterà mai in imbarazzo, mai a disagio, sa che in quel momento fa parte di una storia che l'educatore sta scrivendo insieme a lui.
Io credo che queste siano qualità del messaggio di don Giussani valide anche per coloro che sono stati distanti; io stesso, che non ho mancato nella mia vita di rivolgere alcune critiche a CL, devo riconoscere che c'è in don Giussani una sorta di tratto messianico che in qualche modo, come una grazia, ha raggiunto una persona straordinaria, una persona che ha fatto la storia e irradia una luce che illumina anche coloro che non vogliono essere illuminati, cioè parla anche a chi non lo ascolta. Penso che questa sia una delle tante, grandi qualità e una delle eredità culturali e morali di don Giussani.
Quando Pierluigi Battista ha recensito il libro sul Corriere della Sera, ha parlato – e questo mi ha molto colpito - di una «vibrazione emotiva»; avendo io partecipato al Meeting di Rimini come invitato a molti dibattiti, mi sono accorto, come dice giustamente Battista, di quella vibrazione emotiva che in qualche modo caratterizzava i giovani presenti; qualche volta - lo confesso con sincerità - mi dava un po' fastidio, perché la ritenevo sopra le righe e quindi un poco falsa. Non era così: spesso, avvicinandoci a quella realtà, noi osservatori laici siamo stati disturbati da una sorta di pregiudizio. E proprio questo pregiudizio ha caratterizzato lo scontro continuo di don Giussani e di CL con il resto della società e della Chiesa. Un confronto che continua, non credo che sia sopito.
Dunque, io trovo che quella vibrazione emotiva sia stata una testimonianza della grazia che aveva colto quei ragazzi, che in qualche modo si devono essere sentiti come l'allievo dell'educatore di cui sopra: non esclusi, ma parte di una storia. Bella. Una storia destinata a dividere, che ha fatto discutere, che probabilmente ha prodotto anche dei sommovimenti, ma pur sempre vera; e questa è la cosa fondamentale. (…)
C'è una frase che considero estremamente significativa perché espressiva del pensiero di don Giussani: «La gioia più grande della vita dell'uomo è quella di sentire Gesù Cristo vivo e palpitante nelle carni del proprio pensiero e del proprio cuore». Questo è il dono della fede, un dono che non si può acquistare in un supermarket, non è accessibile a tutti, bisogna esserne in qualche modo colpiti attraverso un incontro. Ma subito dopo Giussani dice: «Il resto è veloce illusione o sterco» (p. 51). Se ci pensate, è quasi una visione mistica, persino brutale nella sua semplicità. Da quando l'ho letta ho molto riflettuto su questa frase, perché è stata pronunciata da un sacerdote che non ha avuto paura di mischiarsi con quel «resto» che è «veloce illusione o sterco». Giussani non si è rifugiato da nessuna parte, non ha guardato − e credetemi, accade anche a molti ecclesialistici − la società dall'alto della propria sapienza cristiana. Pensiamo alla prima fondamentale decisione della sua vita, quella di andare a insegnare in un liceo milanese, tra l'altro un liceo che ha segnato anche la storia della contestazione; Giussani ha deciso di immergersi nella folla secolarizzata, senza mai perdere di vista il percorso della fede. È come se la figura di Cristo non lo avesse mai abbandonato, in una continua comunione con le persone che venivano a contatto con lui e che erano affascinate dal modo di parlare diretto, semplice e coinvolgente di questo sacerdote.
Forse noi abbiamo commesso l'errore – è una questione storica ancora aperta – di considerarlo semplicemente alla stregua di un integralista, un integralista di grande qualità, straordinariamente capace di diffondere il proprio verbo, ma pur sempre il rappresentante di una parte, liquidata come integralista applicando categorie che appartengono alla politica, ma che non devono necessariamente riguardare anche la Chiesa. Noi siamo molto bravi nel fare queste semplificazioni e così facendo qualche volta non mettiamo il lettore nella condizione di capire le diversità, le profondità e le connessioni che ci sono tra modi di pensare diversi, anche all'interno della Chiesa.
La realtà è che per molti anni su Giussani e CL ha prevalso una sorta di pregiudizio politico radicato, e secondo me ingiustificato, perché forse − lo dico in modo provocatorio − in quegli anni faceva comodo avere una Chiesa debole e remissiva, che fosse disponibile al compromesso facile, che sarebbe andato bene a tutti! Avrebbe fatto comodo anche a partiti che avevano nel loro simbolo la parola «cristiana».
Al contrario, quella di Giussani è una fede fiera, orgogliosa, scomoda, che non accetta di distogliere lo sguardo dalle miserie e dalle ambiguità della vita quotidiana; può sembrare forse altera, distaccata, ma esprime tutta la gioia dell'incontro, la gioia della fede e della comunione con gli altri. Diceva, infatti, che «Cristo ha risposto alla domanda umana. Perciò hanno un destino comune chi accetta la fede e la vive e chi, non avendo la fede, si annega dentro la domanda, si dispera nella domanda, soffre nella domanda» (p. 47).
Se quei legami che don Giussani ha reso così fecondi sono durati sessant'anni, vuol dire che erano autentici; gli altri legami, quelli delle ideologie – che io, da studente, ritenevo una costante della storia –, sono scomparsi con il Novecento. I legami di cui don Giussani è stato interprete sono stati più forti delle ideologie che lo hanno combattuto. E questa è una constatazione incontrovertibile. Per questo credo che il seme di don Giussani continui a germogliare.
Don Giussani ha saputo prevedere la deriva del materialismo, non era ossessionato dall'inseguimento della modernità e dunque ebbe, forse agli occhi di molti, il torto di non farsi sedurre da alcuna moda e nemmeno dall'ansia di non essere inquadrato in un qualche schieramento. È questa la scandalosa diversità di don Giussani, lo si vede dalle sue preferenze, dal fatto che amasse per esempio scrittori molto diversi l'uno dall'altro; ricordo l'amore di don Giussani per Pasolini, ricordo − perché gliene parlai a lungo – l'incontro con Giovanni Testori e che cosa avvenne negli ultimi anni della vita tormentata di Testori grazie al rapporto così forte e fecondo che aveva con don Giussani.
Insomma, si può essere vicini o distanti dal movimento creato da don Giussani, ma non si può negare che un faro si è acceso in una società di passioni tristi come era quella italiana della seconda metà del Novecento. E questo faro è ancora acceso, nonostante tutto sia cambiato intorno a noi. Questa sorta di eternità del messaggio cristiano come lo ha incarnato don Giussani è qualcosa che deve dare speranza a tutti, anche a coloro che non hanno la fede, perché comunque quella luce l'hanno vista e la vedono. Davvero questo libro è un libro di storia ed è un atto d'amore, la prosecuzione di un rapporto anche personale che Alberto condivide con noi. (…)
Vorrei concludere con due brevi considerazioni su quella che mi appare come la grande eredità non solo morale, ma anche culturale di don Giussani. Credo che nella sua vita abbia combattuto il divorzio tra la fede e la vita: lo ha combattuto ogni giorno, ogni secondo, soprattutto nella sua attività di insegnante, e lo ha fatto quando questo divorzio appariva del tutto ineluttabile, in anni di ideologie, di violenze gratuite. Ricordava, infatti, che la sua passione educativa nasceva dal desiderio di «mostrare la pertinenza della fede alle esigenze della vita.
Per la mia formazione in famiglia e in seminario prima, per la mia meditazione dopo, mi ero profondamente persuaso che una fede che non potesse essere reperta e trovata nell'esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe stata una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva e dice l'opposto» (p. 163). (…)
Don Giussani ci ha costretti a pensare con la nostra testa, ma con la nostra testa reclinata sulla spalla dell'amico o maestro che ci sta vicino; se non ci fosse la spalla di chi ci sta vicino, probabilmente la nostra testa dondolerebbe inutilmente. Da questo punto di vista, è illuminante leggere che cosa disse agli studenti del Berchet il primo giorno di scuola, nell'ottobre 1954: «Non sono qui perché voi riteniate come vostre le idee che vi do io, ma per insegnarvi un metodo vero per giudicare le cose che io vi dirò. E le cose che io vi dirò sono un'esperienza che è l'esito di un lungo passato: duemila anni» (ivi). (…)

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L'articolo è una sintesi della testimonianza dell'autore contenuta ne "Un'attrattiva che muove. La proposta inesauribile della vita di don Giussani", a cura di Alberto Savorana, Bur, 2015, da oggi in libreria. Con interventi di: Bertagna, De Bortoli, De Rita, Groppi, Magatti, Mauro, Mazzarella, Mieli, Modiano, Ouellet, Pisapia, Polito, Riotta, Sansonetti, Sapelli, Violante, Weiler.



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