Economia della conoscenza e capitale umano

High-Tech
Piergiorgio Chiarini

Cosa si sta facendo in Italia sul fronte dell’economia della conoscenza? Ne hanno parlato: Giampio Bracchi, della Fondazione Politecnico, Vittorio Rossi, di Siemens, e Roberto Schisano, di Getronics

«L’economia della conoscenza è il futuro, per questo noi dobbiamo puntare sul capitale umano». La frase è del premier inglese Tony Blair. Descrive lo spirito delle riforme messe in atto dal governo di Londra, a cominciare da quella dell’università. E in Italia cosa si sta facendo sul fronte dell’economia della conoscenza? Su questi temi il Meeting ha messo a confronto Giampio Bracchi, presidente della Fondazione Politecnico, e due manager alla testa di importanti gruppi dell’high-tech, Vittorio Rossi, amministratore delegato di Siemens, e Roberto Schisano, presidente di Getronics. Nel marzo del 2000, con la dichiarazione di Lisbona, il Consiglio europeo si era impegnato a incrementare gli stanziamenti per ricerca e sviluppo portandoli al 3% del Pil. L’Italia è penultima, ferma all’1,07%. «La ricerca industriale - sottolinea Bracchi - nel nostro Paese è debole perché esistono poche grandi imprese industriali. Ne abbiamo tante nel settore dei servizi, gruppi che spesso operano in regime di semimonopolio, ma la grande impresa industriale è troppo limitata».

Poche imprese innovative
Se poche sono le imprese innovative che nascono in Italia, qualche problema ci deve essere. È fiacco il traino della grande industria, ma anche l’università non sta molto meglio, blindata dietro l’intoccabilità del valore legale del titolo di studio e senza autonomia, se non quella di decidere «il colore delle sedie e dei banchi». Bracchi non risparmia critiche alla politica di incentivi a pioggia che disperde i fondi «senza premiare chi fa di più». In questo quadro «il problema non è solo quello di avere più risorse, ma prima di tutto si tratta di cambiare i meccanismi, perché altrimenti è come versare acqua in un recipiente bucato».

Questione di vita o di morte
Intanto per le imprese high-tech l’economia della conoscenza è questione di vita o di morte. «Senza una buona gestione della conoscenza umana - dice Rossi - un’azienda europea o italiana non ha nessuna chance di sopravvivere non solo nel futuro, ma nel presente». Questo vuol dire per esempio investire sui brevetti. Sono troppo poche le aziende anche grandi che «hanno la cultura del brevetto, di bloccare la conoscenza, i diritti su quello che faccio per assicurarmi il futuro». Rossi non guarda comunque con pessimismo alla situazione italiana: «L’Italia può avere delle eccellenze rispetto ad altri Paesi in campi come quello delle biotecnologie, delle nanotecnologie, delle telecomunicazioni e dell’informatica. È un patrimonio di esperienze che va pianificato». Non si può continuare ad andare in ordine sparso. Per Schisano «non è un problema di potenziale, di knowledge, in questo Paese non mancano certo i cervelli e la capacità di ingegno». Per rendersene conto bastava vedere la mostra “E l’Italia uscì dalla crisi”, allestita al Meeting dalla CdO con dodici piccole imprese knowledge based all’avanguardia dell’innovazione in settori di punta. E non è neppure un problema di risorse. «È vero, siamo un Paese con risorse limitate - continua Schisano -, ma queste non sono mai infinite per nessuno. Conta piuttosto saper fare delle scelte, stabilire le priorità».