Il dialogo possibile. Questione di identità

Giornalisti
Roberto Fontolan

Il terrorismo fondamentalista ha messo a nudo la mancanza di una coscienza di popolo dell’Occidente. “Identità”, una parola forse abusata. Bisogno di distinguersi. Oppure, dal lato opposto, una “colla” per restare legati agli altri. Tra capacità di farsi conoscere realmente e mezzi d’informazione. Un dialogo intenso, che ha alle spalle una “strana amicizia”, e non ancora finito tra giornalisti: Gad Lerner, Dino Boffo, Ferruccio De Bortoli

In un pomeriggio di mezza estate si trovano alcuni giornalisti. Hanno carte di identità diverse, anche molto diverse. E parlano, parlano di se stessi e di ciò che vedono attorno a loro, della società italiana e “di dove va il mondo”. Ne nasce un dialogo fluviale, pieno di affermazioni e domande e rimandi. La discussione prende le mosse da faccende che all’inizio, appunto, sembrano davvero di poco rilievo pubblico. Ma così si fa tra amici: Alberto Savorana introduce l’incontro “Identità e differenza: una esperienza di dialogo” chiedendo a Gad Lerner (ultimo e prossimo domicilio lavorativo la trasmissione tv L’infedele) di parlare della «strana amicizia insorta per motivi professionali tra lui e il direttore di Avvenire, Dino Boffo».

Miccia scoppiettante
È la miccia di una scoppiettante conversazione. Lerner, infatti, mobilita l’esperienza di questa “strana” amicizia («una cosa vera, complicata e intima») per una critica dell’identità («prêt-à-porter» dice), o meglio dell’eccesso nell’uso della parola e di ciò che la parola propone: «Contro questo estremo bisogno di distinguerci non dovremmo dirci che siamo tutti frutto dello stesso seme, che di identità ce n’è una sola? Vi spaventa?» (cioè: “voi cristiani pensate che un discorso di questo genere possa annacquare quello che siete?”). A fronte della separazione provocata da un abuso identitario, Lerner reclama un «patto per farmi i fatti tuoi, un accordo di ingerenza reciproca». Che sono quasi le stesse parole, rivela Savorana, con le quali don Giussani sottolineò la «necessità di una interferenza reciproca come valore dell’amicizia».
Sulla parte “privata” interviene Boffo: «Sono sorpreso che l’assolutamente ordinario, come un semplice rapporto che ha seguito le leggi della vita, possa rivestire carattere di eccezionalità». Poi sull’identità è meno drastico: «Il rapporto è l’esplicazione dell’identità di ciascuno di noi» e l’identità per Boffo non è una «torre d’avorio» ma una «colla per restare incollati agli altri». Boffo è stato con Lerner alla sinagoga di Milano e lì ha capito qualcosa di più di lui, della sua identità «custodita gelosamente».

Ingerenza umanitaria
C’è un altro giornalista-amico in quel pomeriggio riminese ed è Ferruccio De Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, oggi amministratore delegato della Rcs Libri. Conia l’espressione «ingerenza umanitaria nei rapporti personali» ed è subito convincente. Anche perché la sua visione di identità porta a ragionare di comunicazione: crediamo di sapere tutto, viviamo il mondo in diretta, siamo sommersi dalle informazioni, ma domandiamoci «se non abbiamo perduto noi occidentali, cattolici ebrei laici, tutti, la capacità di farci conoscere dagli altri; il paradosso è che nell’età dell’informazione abbiamo perso la capacità di spiegarci agli altri popoli o alle altre religioni che prepotentemente premono sulla scena del mondo globale».

Interlocutore debole
Savorana propone di riflettere su questo: «L’urto portato dal terrorismo fondamentalista dopo l’11 settembre, in qualche modo, si fa forte del fatto che le nostre società hanno in qualche modo smarrito coscienza di ciò che sono e dunque non sono un interlocutore forte di quest’altra realtà che invece sente di portare una sfida radicale al mondo globalizzato». Lerner continua sulla stessa strada e delinea la figura, l’identità folle e provocatoria del kamikaze: «Perfino nella sfida criminale nichilista dei cosiddetti “martiri assassini” c’è anche questo messaggio che ci viene riferito: noi siamo pronti a morire per ciò in cui crediamo, in questa maniera orrenda, usando il nostro corpo come un esplosivo, e voi in che cosa credete?».
« Amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita» riprenderà poi Savorana, citando il comunicato di rivendicazione della strage di Madrid; dunque, «cosa sostiene, come ragione, la speranza del futuro?».

Manipolazioni e forzature
Bisogna fare un piccolo passo indietro nella conversazione, dove si era ragionato della «guerra civile ideologica italiana», delle manipolazioni della stampa, delle forzature interessate e asservite sempre, sempre, ai tornaconti di questo o quel potere. Per Boffo, ad esempio, «tutte le volte che si muovono i cattolici nel nostro Paese c’è il pregiudizio che sia per una questione di potere, è per ricostituire un assetto». La nevrosi anticattolica è «ridicola» per Lerner, e per De Bortoli la verità è che politica e media non raccontano la grande voglia di confronto, «di decidere quello che è il bene comune».
Occorre costruire, suggerisce De Bortoli, una casa comune che abbia muri maestri condivisi e stanze con intonaci-identità diverse e rispettose. E non dobbiamo aver paura delle differenze, non dobbiamo cadere nella trappola dei kamikaze, dice Lerner, perché «anche i giovani musulmani amano la vita come i giovani cristiani e i giovani ebrei». La felicità per cui ci battiamo, commenta Boffo, non crea muri, non è degli invasati: «Umilissimamente io so in Chi ho posto la mia fiducia, la mia speranza».
Ecco, un pomeriggio che si conclude senza una conclusione, gli amici continuano a parlare, come davanti alla porta di casa. È la casa del Meeting “conclude” Savorana.