L'errore e la strada verso la meta

Filosofia
Carlo Dignola

Il concetto di “errore”. Da Parmenide ai pensatori odierni, passando da sant’Agostino. Ne hanno parlato Esposito, Ponzio e Savini, docenti universitari. Un contributo al titolo del Meeting

«Se il nostro progresso non consiste nel presumere di essere arrivati, ma nel tendere continuamente alla meta, allora l’esperienza dell’errore è enigmaticamente, drammaticamente parte del percorso». Costantino Esposito enuncia così il senso del contributo che il suo “terzetto” di filosofi ha voluto dare alla comprensione del titolo del Meeting. «Perché ci interessa l’errore? - si chiede - Perché non si tratta solo di una inevitabile défaillance, piuttosto di qualcosa che è in un inevitabile rapporto con la Verità», che proprio attraverso gli inciampi della vita si fa strada e si rivela. Due frasi e siamo già al cuore della questione messa a tema dal Meeting: non un invito a lasciar perdere le pareti scoscese della vetta, godendosi il piacere di andare a zonzo per l’esistenza, magari riscaldati dal calore di una compagnia vivace. Il fatto è che la meta del cammino e i sentieri interrotti, la Verità e gli errori, l’Essere e il nostro nulla sono legati.

Amici dell’errore
« L’errore è, in qualche modo, la prova dell’esistenza dell’io - staremmo per dire», dichiara Esposito. Chiamando a testimone sant’Agostino, che nel De civitate Dei già faceva notare: «Si fallor, sum». Se mi sbaglio, vuol dire che esisto: colui che non esiste, nemmeno si potrebbe ingannare.
L’epochè di Agostino potrebbe rivelarsi più chiara, più precisa di quella di Cartesio, che si illudeva (con il suo “Cogito, ergo sum”) che la prima percezione dell’io fosse quella che ci identifica con il pensiero puro, che si dirige nudo alla meta. I cristiani, paradossalmente, sono più amici dell’errore, dei meccanismi che s’inceppano, dei moralismi che tentennano: sono un po’ meno presuntuosi.
I loro avversari, in campo filosofico, sono stati passati in rassegna dal quartetto, attraversando i secoli al volo. Paolo Ponzio ha spiegato il più grande: Parmenide. Per il genio di Elea l’errore è impossibile semplicemente perché non c’è nessun cammino, nessun fine: l’Essere è, immutabile, e tutto va dove deve andare. Come è noto, questa è forse l’obiezione più frontale al cristianesimo.

Scettici e sofisti
Tutto sommato, sono meno pericolosi i sofisti e gli scettici, fra i quali, dopo Gorgia e Sesto Empirico, militano a frotte i “pensatori” di oggi, e soprattutto l’“uomo della strada”, quello che ritroviamo in cattedra al Maurizio Costanzo Show: non esiste più nessuna certezza, «scompare ogni criterio per giudicare la verità delle cose», e dunque ciascuno si faccia gli affaracci suoi.
Destra e sinistra si toccano, fa notare Esposito. E introduce due “centristi” leggendari: Platone e Aristotele. La sua squadra tifa smaccatamente per il primo, perché ascolta le sue parole con le orecchie di Agostino. Esposito apre il Fedone, ma non gli basta: passa al Contra academicos per spiegare quanto l’errore sia materia d’affetti, d’inclinazioni e non di pura logica; sbagliamo con la volontà, con tutta quanta la passione di cui siamo capaci, cioè pecchiamo, come dice il Catechismo. Certo è che «l’errore evidenzia qualcosa: che la Verità si può trovare» conclude. Anche Einstein, probabilmente, sarebbe d’accordo. Gianni Vattimo no.