La mia conversione al cristianesimo vedendo Wojtyla in tv

Pietro Vernizzi - Intervista a Miranda Mulgeci

Al cristianesimo dopo avere visto alla tv italiana una messa celebrata dall’allora papa Giovanni Paolo II. È la storia di Miranda Mulgeci, 30enne albanese, che la notte del sabato santo ha ricevuto battesimo, cresima e prima comunione da Benedetto XVI insieme ad altre cinque persone. Miranda racconta la storia del suo percorso all’incontro con Gesù attraverso Papa Wojtyla, che sarà beatificato domenica prossima.

Quando le è venuto per la prima volta il desidero di convertirsi al cristianesimo?
Tutto è iniziato quando avevo 12 anni. All’epoca la tv italiana aveva appena iniziato a trasmettere anche in Albania, uscita da poco dal comunismo, e io passavo molto tempo davanti ai canali italiani. Una domenica, per caso, mi sono sintonizzata su Raiuno, e in onda c’era una messa dal Vaticano con Giovanni Paolo II. All’epoca ho capito solo tre parole: «Dio, Gesù e amore». Attraverso lo schermo mi arrivava l’immagine di Gesù riprodotta su una scultura e una musica bellissima che mi è rimasta impressa ancora oggi.

E che cosa ha pensato in quel momento?
A dire il vero non ho pensato a nulla, ero troppo piccola per capire. Però sono rimasta incuriosita, e da quella curiosità è nato tutto. È come se Gesù mi avesse detto «Seguimi», e grazie a quel desiderio man mano che crescevo capivo sempre di più.

C’era qualcosa che l’ha colpita in quelle parole del Papa?
Sì. Quando Giovanni Paolo II disse quelle tre parole, «Gesù, Dio e amore», io mi ricordo bene anche il suo sguardo, e la parola che mi colpì di più era amore. Perché Dio lo capivo, Gesù un po’ lo conoscevo, ma la parola amore in quel momento ha assunto subito un valore aggiunto.

Il fatto di essere di tradizione musulmana ha ostacolato il suo cammino?
Io provengo da una famiglia di tradizione musulmana, ma la mia famiglia non è praticante, perché il regime comunista non permetteva di praticare nessun tipo di religione. Da quel momento, però, ho cercato in tutti i modi possibili, e in tutte le occasioni che si presentavano, di trovare informazioni che riguardavano Gesù e la Bibbia. Nel frattempo ho trovato alcuni gruppi cristiani che studiavano insieme la Bibbia e ho incominciato a frequentarli, continuando anche durante l’università.

Che esperienza ha fatto in quegli anni?
All’epoca non frequentavo le chiese: il regime comunista, anche dopo la sua caduta, aveva lasciato una mentalità diffusa per cui, al di là delle diverse religioni, chiunque aveva fede era una persona ignorante. Soprattutto nella facoltà di filosofia, cui mi ero iscritta, non era facile parlare delle mie convinzioni.

Finita l’università che lavoro ha scelto di fare?
Ho svolto diversi lavori, finché nel 2006 mi è stato proposto di fare un colloquio nella sede albanese della ong italiana Avsi. Appena entrata all’interno degli uffici ho trovato dei manifesti sulla Pasqua e mi sono detta: «Come è possibile?» E così ho iniziato a lavorare per Avsi in Albania, dove tuttora dirigo il centro di formazione “Kardinal Mikel Koliqi”, costruito con i fondi del ministero degli Affari esteri italiano.

E così ha incontrato Alberto Piatti, il fondatore di Avsi, che è stato il suo padrino di battesimo.
Nel 2006 Piatti è venuto in Albania per una missione e mi ha regalato una copia de Il senso religioso di don Luigi Giussani. Era la prima volta nella mia vita che qualcuno mi regalava un libro cristiano, prima di allora l’unico che mi ero potuto comprare era una Bibbia piccolissima che tenevo nella borsetta.

Lei è stata anche in Italia?
Nel 2008 mi sono iscritta a un master di un anno all’Università Cattolica di Milano, e in quel periodo ho frequentato il catechismo da don Marco Barbetta, parroco di San Pio X. Ma soprattutto, ho iniziato a seguire alcuni gruppi di ragazzi cristiani, perché il catechismo lo conoscevo già bene, ma quello che contava era capire meglio come vivono i cristiani.

In che senso?
Quell’amore di cui parlava Wojtyla quando avevo 12 anni, l’ho ritrovato nelle persone, nel loro modo di fare le cose e nei loro volti.

Cosa ricorda che l’ha colpita di più?
Io sono rimasta colpita da quell’incontro che ho fatto a 12 anni. Se non avessi fatto quell’incontro, forse oggi sarei una credente di qualche altra religione. Ma quell’incontro fatto da bambina mi ha cambiato la vita.

Che ricordo ha della religione del suo Paese?
Mi fa venire in mente soprattutto la mia nonna, che negli anni del comunismo pregava sempre di nascosto, perché il regime non voleva che lo si facesse. Io la ascoltavo, e sapevo che c’era qualcosa di grande cui rivolgeva le sue preghiere. Ma poi, una volta finito, la vita riprendeva come se non fosse accaduto nulla.

Molte persone non si possono convertire. Ha paura per la sua scelta?
Ritengo che non ci sia niente di rischioso, o almeno spero, anche perché io non sono contro nessuno. Ho fatto il mio cammino, e la mia è una scelta libera, voglio quindi solo continuare a viverla in modo libero. E rispetto con cuore tutte le persone che credono in un Dio di ogni appartenenza religiosa.

Com’è la convivenza tra religioni in Albania?
La situazione è molto tranquilla e musulmani, cattolici e ortodossi vivono molto bene insieme, come in nessun altro Paese al mondo. I musulmani si sposano con i cattolici e viceversa, e anche le amicizie tra persone di diverse religioni sono una cosa normale. Del resto l’Albania è stata atea per 50 anni e spesso le persone fanno fatica a capire a quale religione appartengono. Quasi tutte le persone, però, credono in Dio, anche se a volte non sanno molto bene di quale Dio si tratti.

Da www.ilsussidiario.net (26 aprile 2011)