La purificazione e il "tafazzismo"

Alessandro Banfi

Bisognerebbe essere come i maoisti di una volta e riempire le pareti delle Fiera di Rimini della splendida lettera autografa (fatto molto insolito quella della firma personale in questo tipo di messaggi) di Papa Benedetto XVI ai partecipanti al Meeting di Rimini, a mo’ di tazebao. Da un certo punto di vista è infatti in questa lettera che ci sono molti fra i contenuti più profondi e attuali di tutta la manifestazione. C’è però un parola che mi ha colpito molto e che vorrei sottolineare. È contenuta in questa frase: “Riconoscere di essere fatti per l’infinito significa percorrere un cammino di purificazione da quelli che abbiamo chiamato «falsi infiniti», un cammino di conversione del cuore e della mente. Occorre sradicare tutte le false promesse di infinito che seducono l’uomo e lo rendono schiavo. Per ritrovare veramente se stesso e la propria identità, per vivere all’altezza del proprio essere, l’uomo deve tornare a riconoscersi creatura, dipendente da Dio”.
La parola è “purificazione”, “cammino di purificazione”. Una parola che nel pontificato di Raztinger risuona centrale e profetica. Fin dai primi passi, dal discorso storico di Ratisbona, quello sulla ragione, la sfida anche culturale e storica di questo Papa al mondo di oggi è stata centrata sul tema della purificazione. Purificazione della ragione umana, che nella confusione della cultura contemporanea ha smarrito la sua vera natura. Purificazione cui il Papa invitava tutti noi, credenti e no, come a ricominciare davvero un cammino umano.
Ma poi c’è stata anche, drammatica e altrettanto profetica, la fase di riflessione sulla purificazione della fede e della Chiesa. Un altro cammino che ha indicato ai fedeli di tutto il mondo, ribaltando la prospettiva che voleva vedere il Vaticano e la Chiesa cattolica arroccata nella difesa anche delle sue colpe. Basti pensare alle tante dolorose riflessioni sulla pedofilia, sulla “sporcizia nella Chiesa”, con termini inediti se non per alcuni accenni della fase finale del pontificato di Paolo VI (quella della denuncia del “fumo di Satana” nella Chiesa).
Ora al Meeting di Rimini torna questo invito ad un “cammino di purificazione”. Una strada in cui riconoscere come spesso tutti noi finiamo per seguire “falsi infiniti”, finiamo per farci schiavi, di asservirci a qualcosa che non ci rende liberi. In un certo senso questa parola, purificazione, è anche culturalmente, eticamente direi quasi politicamente, la parola centrale con cui fare i conti in questo Meeting. Che idealmente richiama subito la lettera dello scorso primo maggio di Julián Carrón pubblicata da Repubblica.
Attenzione però. Non si tratta di una inutile mortificazione, di una nuova forma di “tafazzismo” cattolico. L’altra parola molto ripetuta anche in questa lettera da Ratzinger, l’altra parola chiave di questo pontificato è infatti la parola gioia. È solo per una dipendenza più grande, per una felicità più piena che val la pena di intraprendere di nuovo, qui e ora, questo cammino.
È solo per la lieta schiavitù a Gesù Cristo che val la pena di rompere le catene dell’asservimento con cui tutti i poteri prima o poi cercano di legare le nostre persone. L’uomo è creatura. È fatto, è nato per dipendere. Ma c’è solo una cosa nella vita che non ti schiavizza davvero: è l’Infinito. Che è diventato carne, non è rimasto un cielo irraggiungibile, è anzi diventato, secondo una fulminante definizione di don Giussani, una “vibrazione della terra”.
Che bello sarebbe fare un Meeting di gioia e di purificazione, un Meeting ratzingeriano. Con la coscienza che non c’è niente da difendere, non c’è un patrimonio del passato da preservare contro il nemico invisibile, ma c’è solo il Signore da cui dipendere. Che fa tutto.

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