La riforma del Welfare state. Verso la Welfare Society
LibertàIl
rettore dell’Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, al workshop
sui «percorsi internazionali della libertà di scelta». La
questione del benessere, uno snodo cruciale per le democrazie
Ci si rende conto che un dibattito di carattere politico e sociale come
la riforma
del Welfare State diventa molto più libero tra persone che si occupano
anche di politica, ma che sono ricercatori, analisti appassionati di soluzioni
sociali avanzate, al passo con i tempi. Al Meeting di Rimini l’esempio è venuto
dal workshop “Dal Welfare State alla Welfare Society, percorsi internazionali
della libertà di scelta”. Protagonisti: Chantal Delsol, docente
all’Università di Marne La Vallèe; Giorgio Vittadini; Lorenzo
Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Ha fatto
da moderatore Emmanuele Forlani, segretario generale della Fondazione per la
Sussidiarietà.
Lorenzo Ornaghi inquadra il problema con molta lucidità e quasi con spregiudicatezza
rispetto ai felpati discorsi dei politici: «Esaminare il passaggio dal
Welfare State alla Welfare Society non è considerare il passaggio dallo
Stato del benessere alla società del benessere. Lo Stato del benessere
ci ha storicamente condotti, nella maggior parte dei casi, a quello Stato provvidenza
che, in realtà, è stato molto spesso uno Stato accaparratore di
risorse della società».
Aggiunge Ornaghi: «La questione del benessere è uno snodo cruciale
per le democrazie». Per cui Ornaghi suggerisce un metodo nell’affrontare
la questione: «Qui non si tratta di imporre la questione di una parte.
Non si tratta di porre una questione ideologica che prevalga su un’altra.
Si tratta invece di non essere prigionieri dell’interesse dell’oggi
e nemmeno del “domani mattina”, ma di guardare a una costituzione
materiale che contenga i principi di un nuovo Welfare. E questo a livello europeo».
La ricerca del passaggio, svincolato da bardature ideologiche, libero da contrapposizioni
pregiudiziali è fondamentale. Si rischia, ad esempio, secondo Ornaghi,
di dividersi oggi in statalisti e antistatalisti. E non c’è dubbio
che l’invadenza dello Stato, nel passato che abbiamo conosciuto ed ereditato,
sia stata profondamente sbagliata, deresponsabilizzante. Ma oggi, di fronte a
una ricerca senza ideologia e senza contrapposizioni non servono più distinzioni.
Dice Ornaghi: «Bisogna aver chiaro che il benessere della società,
della nostra e di quella che cerchiamo di costruire, è un’idea di
Welfare che non è più neppure antistatalistica. Sarebbe antistatalistica
se noi la concepissimo con lo Stato che noi abbiamo conosciuto nel Novecento.
Ma non è antistatalistica se noi immaginiamo lo Stato come il luogo necessario
di convergenze degli interessi. Un’idea di Stato più funzionale,
più giusta. Si potrebbe addirittura dire “più amorevole”.
Un’idea insomma da cui partire per un nuovo modello di Stato».
Si chiede alla fine Ornaghi: che cosa fare concretamente di fronte alla sussidiarietà?
Per impedire che resti solo uno slogan? La risposta è questa: «Poco
o nulla se ci muoviamo secondo idee vecchie, secondo logiche vecchie. Perché gli
schieramenti partitici tendono a fagocitare la gran parte delle idee. Allora,
per sfuggire a questa situazione, bisogna far sì che una cultura produca
idee che sovrastino interessi di parte; bisogna riconoscere la rilevanza superiore
di questa idea».
Ornaghi pensa all’educazione dei giovani: «Non bisogna cercare di
incasellarli tra il conservatorismo e il conformismo più bieco. Prepareremmo
una fine ingloriosa della nostra società. Dobbiamo invece aiutare questi
giovani a modificare quello che è modificabile. E per fare questo dobbiamo
ricercare ogni legittimo strumento per ritrovare quella corrispondenza tra idea
e azione. Che è infine lo specifico di una cultura».