La Sistina e Michelangelo
MostreLa storia del capolavoro del grande artista fiorentino. A Rimini, fino al 16
novembre
«Michelangelo lo è o no? È un uomo che vuole la vita, ha
voluto la vita e desiderato giorni felici? E, desiderandolo, ha lasciato una
traccia di questo nell’opera d’arte?». Con queste parole Claudio
Strinati, soprintendente di Roma, ha aperto il suo intervento di presentazione
della mostra “Michelangelo e la Cappella Sistina. Storia e fortuna di un
capolavoro” che si svolge a Rimini a Castel Sismondo. La domanda riecheggia
nell’animo di chi si accosta alle due mostre che il Meeting ha dedicato
a questo gigante dell’arte di tutti i tempi. Sempre secondo Strinati: «Se
c’è stato uno che ha voluto la vita e ha desiderato giorni felici
questo è Michelangelo», almeno per quanto ne possiamo dire noi ora.
La Cappella Sistina, voluta da Sisto IV e decorata a partire dall’inizio
degli anni Ottanta del Quattrocento, ha una storia particolare perché è nata
con il preciso intento di ricalcare le dimensioni del tempio di Salomone, ora
come allora, ignote: «Non di meno questa cappella fu costruita in base
a delle misure che tuttora impressionano il genere umano, chi entra nella Cappella
Sistina ha la sensazione di entrare in uno spazio fisico e metafisico, non è un
caso che vi si tengano i conclavi, vale a dire il momento in cui si pensa vi
sia addirittura la presenza fisica dello Spirito Santo». Siamo all’inizio
del Cinquecento: «Già si parlava di un certo Amerigo Vespucci il
quale stava scoprendo nuovi mondi e in Italia penetra questo grande tema: non
siamo da soli, ci sono altre terre ma incognite. In questo frangente Michelangelo
viene chiamato ad affrescare la Cappella Sistina con le Storie della Genesi dal
papa Giulio II. Ma il grande artista interpreta questo nel senso più moderno
e inopinato possibile, come se dovesse rappresentare il grande tema che in quel
momento sta interessando tutta l’umanità civilizzata: l’origine,
i primordi del genere umano. Questo è il motivo per cui Michelangelo fa
tutti nudi: è l’umanità all’origine, quando è ancora
nuda dalla civilizzazione. Tornerà molti anni dopo nella Cappella, tra
gli anni Trenta e Quaranta del Cinquecento, per rappresentare l’opposto:
il Giudizio Universale, cioè la fine. Tanto è vero che la Cappella
Sistina ancora oggi lascia estasiati i pubblici di tutto il mondo, civilizzati
o meno, perché tutti intuiscono ciò che esplicitamente non è detto:
che si tratta di una somma opera d’arte perché vi trova posto l’inizio
e la fine».
Quando Michelangelo dipinge il Giudizio è ormai avanti negli anni, anche
se ancora realizzerà opere straordinarie come il progetto per la basilica
di San Pietro. È questa traiettoria umana che viene descritta nella bella
mostra “Michelangelo. «Gli occhi miei vaghi delle cose belle/e l’alma
insieme della suo salute»”, curata da Marco Rossi e Alessandro Rovetta
in collaborazione con gli studenti dell’Università Cattolica di
Milano. La mostra risulta interessantissima perché il percorso umano e
artistico di Michelangelo viene illustrato attraverso un nutrito nucleo di straordinari
disegni, molti dei quali poco noti. Tra di essi la serie forse più impressionante è quella
delle Crocifissioni disegnate per i propri amici, e prima fra tutti per Vittoria
Colonna. Si tratta di fogli autonomi, sganciati cioè da possibili traduzioni
in pittura o scultura. Di grande presa emotiva è l’evoluzione stilistica
e iconografica documentata da questi disegni, a partire dal primo che raffigura
Cristo vivo sulla croce, e quindi triumphans, rifacendosi a un modello medioevale
poi disatteso dalla tradizione pittorica occidentale, fino all’ultimo foglio
nel quale Giovanni si stringe alla croce e la Madonna abbraccia il legno e le
care membra del Figlio, non potendo sottrarsi all’impeto di amore che lo
ha condotto a un simile destino per la salvezza dell’umanità.