Lepori. C'è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici

Tema
Mauro Giuseppe Lepori

L’abate di Hauterive, autore del titolo del Meeting. La testimonianza dell’avvenuto compimento della promessa. Dio mendicante del desiderio di felicità del cuore dell’uomo. Solo il testimone di Cristo riesce ad andare fino in fondo a questo desiderio

“C’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?” (cfr. salmo 33,13). L’idea del tema di questa edizione del Meeting è stata provocata dal tema di due anni fa: “Tutta la vita chiede l’eternità”. È risuonata in me - direi - come l’espressione di un’ansia, di una preoccupazione, di un affanno di fronte all’uomo d’oggi. “Tutta la vita chiede l’eternità”: la vita umana è grande, è un mistero immenso, è chiamata a una pienezza senza fine. Ma quando si osserva l’uomo, l’uomo così come lo si incontra per strada, sul treno, sul luogo di lavoro, a scuola, in vacanza, nelle famiglie; quando si osservano i giovani, quando si osserva il volto della gente... uno si chiede: ma «c’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?!». Dov’è, chi è l’uomo che oggi vuole vivere con pienezza, che desidera la felicità, la felicità vera, quella che non ha fine? Forse che la cultura moderna sia riuscita a plasmare e a diffondere un tipo d’uomo che non vive la propria vita, un uomo soddisfatto della delusione, contento della tristezza; un uomo che nessuna gioia può più sorprendere, che nessuna gioia, posseduta o attesa, mobilita? Forse che non si desidera più la felicità? (…)

La pienezza della vita
È importante anzitutto notare che san Benedetto pone il nostro versetto del Salmo 33 sulle labbra di Dio. È il Signore che si aggira fra la moltitudine degli uomini chiedendo: «C’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?». All’origine di tutto non c’è quindi il desiderio di vita e di felicità del nostro cuore, ma Dio che desidera la pienezza della nostra vita. Dio si fa mendicante del desiderio di felicità del cuore dell’uomo. Dio si aggira in mezzo alla folla e grida, come un venditore ambulante, il suo desiderio di trovare un uomo che voglia la pienezza della vita e voglia essere felice, un uomo che voglia vivere nella gioia. Quest’uomo, Dio lo cerca come “suo operaio”, come uno per il quale ha già stabilito un compito. Eppure la condizione richiesta per rispondere alla sua chiamata, la condizione per vivere la vocazione umana e ogni particolare vocazione, la condizione per essere utili a Dio, non sono attitudini, capacità o qualità, ma semplicemente il desiderio della vita e della felicità, il desiderio della pienezza della vita. La nostra fondamentale vocazione è la chiamata di un Dio che si fa mendicante del nostro desiderio di felicità. (…)
“ Io”: sembra la cosa più semplice da dire e da affermare. E sembra così semplice, così scontato che l’uomo dica “io” a chi gli chiede se vuole la vita e la felicità. Eppure, è proprio in quell’“io”, in quel semplice dire “io” che tutto si inceppa, ed è come se Dio si ritrovasse a gridare il suo «eccomi, sono qui per darti la vita e la felicità!» in un deserto senza anime, senza volti, senza desiderio. Dal peccato originale in poi, l’uomo fa fatica a dire “io”, perché non si può dire “io” senza porsi di fronte a un “Tu”, senza dipendere ontologicamente da un “Tu”. Quando Dio dice all’uomo: «Eccomi, sono qui!», gli annuncia se stesso come il “Tu” di fronte al quale l’uomo può dire “io”. La felicità che Dio promette e offre, non è un sentimento: è una pienezza di vita, la pienezza del nostro essere uomini, del nostro “io” umano. (…)

L’uomo contemporaneo
Una scena evangelica mi sembra descrivere il frangente nel quale ci troviamo e il punto di fuga verso un orizzonte di speranza. È la scena dell’incontro di Gesù con un giovane benestante che dapprima sembra assetato di pienezza («Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?»), ma che se ne va triste quando Gesù, fissandolo con amore, gli propone di abbandonare tutte le sue ricchezze per seguirlo (Mc 10,17-22). Questo giovane è proprio l’immagine dell’uomo contemporaneo che si lascia per un po’ commuovere da un anelito verso la pienezza, ma che di fronte a una proposta reale di vita si affloscia, come se dicesse a se stesso: «Tanto, la morte è il mio destino!». (…)
Gesù sembra dapprima voler sottolineare la disperazione di quel rifiuto dicendo: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!» (Mc 10,23). I discepoli si sentono allora come giudicati dall’allontanarsi del giovane e pongono sbigottiti a Gesù una domanda disperata: «E chi mai si può salvare?» (Mc 10,26). Ma Gesù, come se si riprendesse anche Lui da un istintivo scoraggiamento, afferma, sicuro e deciso: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio!» (Mc 10,27). (…)
Dio non può nulla contro la libertà dell’uomo che gli volta le spalle; ma nessun rifiuto da parte dell’uomo può impedire alla libertà di Dio di amarlo, sacrificando se stesso. L’amore di Dio sorpassa la libertà dell’uomo, per offrirgli, al di là del rifiuto, l’ambito di un’attesa, di una gratuità, che risuscita la libertà umana corrotta dal peccato, ridandole spazio di responsabilità. (…)
L’avvenimento dell’apertura del cuore di Cristo è così fondamentale per l’uomo, che il Risorto lo riproporrà all’esperienza dei discepoli. Nel Vangelo secondo Giovanni, il primo gesto del Risorto apparendo agli apostoli è quello di mostrare loro le mani e il costato. È come se Gesù risorto volesse che gli apostoli comprendano immediatamente che ormai la vita e la felicità dell’uomo sgorgano dal suo cuore trafitto, dalla sua misericordia. Perché è proprio in quel momento che gli apostoli sono mandati nel mondo come fondamenta vive della Chiesa: «Come il Padre ha mandato me, anch’ io mando voi» (Gv 20,21). (…)

Testimoni di Cristo
Questo è lo scandalo che da 2000 anni brucia la coscienza del mondo intero, perché è come se la vita e la felicità di tutti fossero nelle mani dei più disprezzati fra gli uomini. Ormai non c’è potente, non c’è imperatore, non c’è sapiente di questo mondo, che possa vivere in pienezza senza affidarsi e credere alla testimonianza di coloro che Cristo ha scelto per manifestarsi risorto dai morti, rivelare il cuore aperto, e affidare l’opera di misericordia dello Spirito fino alla fine dei tempi. Per questo da 2000 anni la Chiesa è amata e odiata, accolta e perseguitata. Il mondo odia la Chiesa perché non le perdona di essere lo scrigno aperto e gratuito, ma insostituibile, della pienezza di vita di ogni uomo.(…)
La domanda del Salmo 33, «C’è un uomo che vuole la vita e desidera giorni felici?», per non essere una domanda cinica e crudele, per non essere una domanda senza senso, deve essere espressa dal testimone di Cristo. Sarebbe cinico suscitare il desiderio della vita e della gioia in un mondo di morte e di tristezza, senza proporre una realtà che è vita e gioia dell’uomo; una realtà vista coi nostri occhi, toccata dalle nostre mani, eppure eccedente il limite della nostra esistenza: il Verbo della vita fattosi carne fino alla morte in croce e risorto dai morti. Solo il testimone del Risorto è adeguato a proporre all’uomo la speranza di una vita e di una felicità che sostengano il confronto con le tenebre del destino di morte che incombe sul mondo. (…)
Il martire, il testimone di Cristo, va fino in fondo al desiderio di vita e di felicità che Dio ha messo nel cuore dell’uomo. Il martire è l’uomo che dice “io” con una tale verità e potenza da dirlo anche per gli altri, perché la vita che il martire vuole e accoglie fino a morire a se stesso per essa è Gesù Cristo, vita di tutti, pienezza di vita di ogni uomo.