Michelin Il Lavoro, la materia. Vivere l'Ideale in fabbrica

Storie
Emiliano Ronzoni

La testimonianza del Presidente onorario della nota marca di pneumatici. La sua fede cattolica dentro la concretezza della realtà. Il cristianesimo «è una via, non un’ideologia»

Arriva così, discreto e improvviso. Discreto e improvviso se ne andrà dopo due giorni pieni di domande e curiosità. È la prima volta al Meeting per François Michelin, gran patron di uno dei gruppi internazionali più importanti al mondo, e si scoprirà cristiano e cattolico senza reticenze.
È la terza generazione di una dinastia che ha riempito di ricerca, innovazione, lavoro e pneumatici gran parte del mondo. Oggi Michelin vuol dire circa 130mila persone, una presenza commerciale in più di 170 Paesi, 80 centri di produzione, un capitale consolidato di 15.645 milioni di euro corrispondente a un buon 19% del mercato mondiale del settore.
L’incontro ha per titolo “l’Ideale in fabbrica”. Monsieur Michelin parla semplice, piano e accurato al contempo. Semplice perché «voglio capire quello che io stesso sto dicendo», accurato perché le parole aprono all’essere: «Monsieur viene da mon seigneur. Mio signore… significa che si riconosce nell’altro una presenza più grande». Non fa teorie, il suo pensiero si svolge come riflessione su un’esperienza, un incontro, un dialogo. «Una mattina vado per entrare in fabbrica a Clermont-Ferrand. La fabbrica è chiusa. C’è sciopero. Vedo un sindacalista e gli chiedo: “Secondo lei, un padrone lavora?”. “No”. Riprendo: “E perché non sarei un lavoratore?”. “Perché non rientra nei canoni dello statuto del lavoratore, per esempio, non prende ordini”. “Ma io prendo continuamente ordini. Se i clienti non acquistano i miei prodotti, vuol dire che qualcosa non funziona e quindi mi danno ordini; se lei sciopera, vuol dire che qualcosa non funziona e quindi mi dà un ordine; se io costruisco una trafilatrice e questa non mi dà la qualità del lavoro voluta, la materia mi dà un ordine. È la materia stessa che dà ordini”». Comincia così a delinearsi la figura di questo patron di 77 anni, alto, magro, terza generazione Michelin in procinto di passare la mano alla quarta. Per François Michelin esiste la realtà, questa sola basta, bisogna entrarci obbedendo, togliendo eventualmente gli strati polverosi che tendono a nasconderla.

Contro i dualismi
Odia i dualismi. Cartesio è colpevole di troppa analisi. Il marxismo è la iattura del secolo, è un sistema chiuso, scambia gli effetti con le cause, soprattutto nega la trascendenza chiudendo e opponendo uomo a uomo, lavoro a lavoro, competenza a competenza. A chi gli contrappone “essere e avere” fa notare che per fare l’esperienza del proprio essere bisogna avere, anzi, di più, per poter dire essere e avere bisogna quantomeno «avere il proprio essere, no?». Non lo dice apertamente, ma se gli chiedono: «Come si può conciliare l’essere padroni e l’essere cattolici?» il moto è di fastidio. Prende la domanda e la ritorna al mittente: «Io piuttosto chiederei: esiste un’esperienza umana dell’impresa?». C’è la realtà, c’è la concretezza che è una dura educatrice e lì dentro tutto è contenuto e non c’è bisogno di altro. E il cristianesimo? «Il cristianesimo spiega le cose come sono», non è un’aggiunta alla realtà ed è sempre una sorpresa scoprire che quello che insegna l’esperienza ha una corrispondenza via via inaspettata con l’insegnamento cristiano: «Il cristianesimo è una via non un’ideologia». Così Michelin e tutta l’omonima dinastia non ha avuto bisogno di circondarsi di cristiani per fare la fabbrica: «Ciò di cui la fabbrica ha bisogno, e che nelle persone bisogna cercare, è la loro lucidità nel ragionare. Tra quelli che si dicono cristiani alcuni ragionano male, con idee preconcette, altri ragionano bene e sono sensibili alla concretezza».

L’adesione alla realtà
La concretezza, l’obbedienza e l’adesione alla realtà per quella che è. Non c’è dubbio che François Michelin sia un personaggio strano. Strano, nel senso che nulla sembra valere a spiegarlo. Almeno esaurientemente. Non la breve ed essenziale biografia con cui si presenta: direttore generale della Michelin dal 1955 a due anni fa, moglie Bernadette, sei figli, due consacrati a Dio, due sposati, otto nipoti. Non le letture, che s’intuiscono numerose e colte.
In un mercato mondiale fatto dal moltiplicarsi di scatole cinesi, partecipazioni, consigli d’amministrazione, sedi legali e finanziarie, la Michelin è un’accomandita, ovvero risponde direttamente e in solido agli azionisti. E anche questo è strano. Da dove esce quest’uomo che si batte lancia in resta contro tutti i dualismi e gli stereotipi che vogliono inumana la realtà, contro la stanchezza ideologica e astratta che si contrappone alla concretezza vivente?
Monsieur Michelin, il lavoro può dare la felicità? «Provi a porre la domanda a dei disoccupati. E ascolti la risposta». Monsieur Michelin, un tempo acquistare era un atto di rilievo che metteva in gioco risorse, non solo economiche, importanti. Oggi con così tanti prodotti a disposizione è tutto talmente banale… «Banale significa che una cosa è per tutti: è magnifico!». E poi: «La banalizzazione sta più nella nostra testa che nella realtà. Vada in una catena di supermercati di bricolage e noterà con quanta cura gli acquirenti scelgono oggetti banali come i chiodi». Così, sotto i suoi colpi, ogni atto dell’uomo appare come un atto dello spirito, ogni lavoro, ogni rapporto, ogni relazione è il luogo in cui si concreta la libertà. E l’amicizia fa della fabbrica un’opera comune tra operai e dirigenti.

Le tracce di Dio
Pochi anni fa, dopo un’attesa durata quindici anni, concesse una lunga intervista a due autorevoli giornalisti francesi. L’intervista è diventata libro E perché no?, edito in Italia dalla Marietti. I due gli chiedono se secondo lui bellezza e perfezione siano un tutto unico. Sì, un buon prodotto è necessariamente anche bello. A patto di non farne un idolo: «L’uomo è una capienza fatta per essere riempita. Più si impara, più si ha fame e sete d’altro. È inspiegabile, ma è così. Dio, comunque, non può essere compreso con l’intelligenza. In compenso l’intelligenza può scoprire le tracce di Dio, le prove della sua esistenza. Quando si vuole spiegare Dio, non si spiega niente di niente, il giorno in cui si crede di avere capito Dio, non si è capito nulla. Dio, l’essere autosussistente dice di sé: Io sono il Bene che diffonde se stesso. Io sono Colui che è. L’intelligenza sfugge davanti alle parole di Dio, e tuttavia non smette di cercare, fino al momento in cui si rende conto che non le resta che inginocchiarsi e dire: è così».
Da dove spunta quest’uomo che ripete che la specificità del cristianesimo è dire che esiste un positivo? Dove e come ha potuto capire cose che altri - noi - acquisiscono e tengono vive a fatica e nel tempo solo grazie a compagnie provvidenziali? Quel lavoro che ha raggiunto e continua a raggiungere milioni di persone, il prodotto trasformato in obbedienza alla materia, la ricerca continua e assoluta, la soddisfazione del cliente, è questa la via che, in François Michelin e nella sua dinastia, l’Essere ha scelto per diffondere se stesso? Di questo, e di altro ancora ci piacerebbe parlare con François Michelin.