Michelin Il Lavoro, la materia. Vivere l'Ideale in fabbrica
StorieLa
testimonianza del Presidente onorario della nota marca di pneumatici. La sua
fede cattolica
dentro la concretezza della realtà. Il cristianesimo «è una
via, non un’ideologia»
Arriva così, discreto e improvviso. Discreto e improvviso se ne andrà dopo
due giorni pieni di domande e curiosità. È la prima volta al Meeting
per François Michelin, gran patron di uno dei gruppi internazionali più importanti
al mondo, e si scoprirà cristiano e cattolico senza reticenze.
È la terza generazione di una dinastia che ha riempito di ricerca, innovazione,
lavoro e pneumatici gran parte del mondo. Oggi Michelin vuol dire circa 130mila
persone, una presenza commerciale in più di 170 Paesi, 80 centri di produzione,
un capitale consolidato di 15.645 milioni di euro corrispondente a un buon 19%
del mercato mondiale del settore.
L’incontro ha per titolo “l’Ideale in fabbrica”. Monsieur
Michelin parla semplice, piano e accurato al contempo. Semplice perché «voglio
capire quello che io stesso sto dicendo», accurato perché le parole
aprono all’essere: «Monsieur viene da mon seigneur. Mio signore… significa
che si riconosce nell’altro una presenza più grande». Non
fa teorie, il suo pensiero si svolge come riflessione su un’esperienza,
un incontro, un dialogo. «Una mattina vado per entrare in fabbrica a Clermont-Ferrand.
La fabbrica è chiusa. C’è sciopero. Vedo un sindacalista
e gli chiedo: “Secondo lei, un padrone lavora?”. “No”.
Riprendo: “E perché non sarei un lavoratore?”. “Perché non
rientra nei canoni dello statuto del lavoratore, per esempio, non prende ordini”. “Ma
io prendo continuamente ordini. Se i clienti non acquistano i miei prodotti,
vuol dire che qualcosa non funziona e quindi mi danno ordini; se lei sciopera,
vuol dire che qualcosa non funziona e quindi mi dà un ordine; se io costruisco
una trafilatrice e questa non mi dà la qualità del lavoro voluta,
la materia mi dà un ordine. È la materia stessa che dà ordini”».
Comincia così a delinearsi la figura di questo patron di 77 anni, alto,
magro, terza generazione Michelin in procinto di passare la mano alla quarta.
Per François Michelin esiste la realtà, questa sola basta, bisogna
entrarci obbedendo, togliendo eventualmente gli strati polverosi che tendono
a nasconderla.
Contro i dualismi
Odia i dualismi. Cartesio è colpevole di troppa analisi. Il marxismo è la
iattura del secolo, è un sistema chiuso, scambia gli effetti con le cause,
soprattutto nega la trascendenza chiudendo e opponendo uomo a uomo, lavoro a
lavoro, competenza a competenza. A chi gli contrappone “essere e avere” fa
notare che per fare l’esperienza del proprio essere bisogna avere, anzi,
di più, per poter dire essere e avere bisogna quantomeno «avere
il proprio essere, no?». Non lo dice apertamente, ma se gli chiedono: «Come
si può conciliare l’essere padroni e l’essere cattolici?» il
moto è di fastidio. Prende la domanda e la ritorna al mittente: «Io
piuttosto chiederei: esiste un’esperienza umana dell’impresa?».
C’è la realtà, c’è la concretezza che è una
dura educatrice e lì dentro tutto è contenuto e non c’è bisogno
di altro. E il cristianesimo? «Il cristianesimo spiega le cose come sono»,
non è un’aggiunta alla realtà ed è sempre una sorpresa
scoprire che quello che insegna l’esperienza ha una corrispondenza via
via inaspettata con l’insegnamento cristiano: «Il cristianesimo è una
via non un’ideologia». Così Michelin e tutta l’omonima
dinastia non ha avuto bisogno di circondarsi di cristiani per fare la fabbrica: «Ciò di
cui la fabbrica ha bisogno, e che nelle persone bisogna cercare, è la
loro lucidità nel ragionare. Tra quelli che si dicono cristiani alcuni
ragionano male, con idee preconcette, altri ragionano bene e sono sensibili alla
concretezza».
L’adesione alla realtà
La concretezza, l’obbedienza e l’adesione alla realtà per
quella che è. Non c’è dubbio che François Michelin
sia un personaggio strano. Strano, nel senso che nulla sembra valere a spiegarlo.
Almeno esaurientemente. Non la breve ed essenziale biografia con cui si presenta:
direttore generale della Michelin dal 1955 a due anni fa, moglie Bernadette,
sei figli, due consacrati a Dio, due sposati, otto nipoti. Non le letture, che
s’intuiscono numerose e colte.
In un mercato mondiale fatto dal moltiplicarsi di scatole cinesi, partecipazioni,
consigli d’amministrazione, sedi legali e finanziarie, la Michelin è un’accomandita,
ovvero risponde direttamente e in solido agli azionisti. E anche questo è strano.
Da dove esce quest’uomo che si batte lancia in resta contro tutti i dualismi
e gli stereotipi che vogliono inumana la realtà, contro la stanchezza
ideologica e astratta che si contrappone alla concretezza vivente?
Monsieur Michelin, il lavoro può dare la felicità? «Provi
a porre la domanda a dei disoccupati. E ascolti la risposta». Monsieur
Michelin, un tempo acquistare era un atto di rilievo che metteva in gioco risorse,
non solo economiche, importanti. Oggi con così tanti prodotti a disposizione è tutto
talmente banale… «Banale significa che una cosa è per tutti: è magnifico!».
E poi: «La banalizzazione sta più nella nostra testa che nella realtà.
Vada in una catena di supermercati di bricolage e noterà con quanta cura
gli acquirenti scelgono oggetti banali come i chiodi». Così, sotto
i suoi colpi, ogni atto dell’uomo appare come un atto dello spirito, ogni
lavoro, ogni rapporto, ogni relazione è il luogo in cui si concreta la
libertà. E l’amicizia fa della fabbrica un’opera comune tra
operai e dirigenti.
Le tracce di Dio
Pochi anni fa, dopo un’attesa durata quindici anni, concesse una lunga
intervista a due autorevoli giornalisti francesi. L’intervista è diventata
libro E perché no?, edito in Italia dalla Marietti. I due gli chiedono
se secondo lui bellezza e perfezione siano un tutto unico. Sì, un buon
prodotto è necessariamente anche bello. A patto di non farne un idolo: «L’uomo è una
capienza fatta per essere riempita. Più si impara, più si ha fame
e sete d’altro. È inspiegabile, ma è così. Dio, comunque,
non può essere compreso con l’intelligenza. In compenso l’intelligenza
può scoprire le tracce di Dio, le prove della sua esistenza. Quando si
vuole spiegare Dio, non si spiega niente di niente, il giorno in cui si crede
di avere capito Dio, non si è capito nulla. Dio, l’essere autosussistente
dice di sé: Io sono il Bene che diffonde se stesso. Io sono Colui che è.
L’intelligenza sfugge davanti alle parole di Dio, e tuttavia non smette
di cercare, fino al momento in cui si rende conto che non le resta che inginocchiarsi
e dire: è così».
Da dove spunta quest’uomo che ripete che la specificità del cristianesimo è dire
che esiste un positivo? Dove e come ha potuto capire cose che altri - noi - acquisiscono
e tengono vive a fatica e nel tempo solo grazie a compagnie provvidenziali? Quel
lavoro che ha raggiunto e continua a raggiungere milioni di persone, il prodotto
trasformato in obbedienza alla materia, la ricerca continua e assoluta, la soddisfazione
del cliente, è questa la via che, in François Michelin e nella
sua dinastia, l’Essere ha scelto per diffondere se stesso? Di questo, e
di altro ancora ci piacerebbe parlare con François Michelin.