Mostre, spettacoli, libri

Gianluigi Da Rold

La bellezza donata
Viaggio nello splendore della liturgia
Percorso attraverso un progetto della stilista del sacro Elisabetta Bianchetti
Un’occhiata al colophon della mostra “La bellezza donata” e non si può non restare stupiti: che ci fanno insieme il docente di Statistica Giorgio Vittadini, lo stilista Santo Versace e il poeta Davide Rondoni? Incuriositi si apprende che la mostra nasce da un’idea di Elisabetta Bianchetti, da anni stilista del sacro, fermamente convita che la liturgia sia stata nella storia maestra di vita e bellezza, in quanto somma espressione del rapporto tra l’uomo e Dio. Ora, un rapporto vive sempre in un presente e tendenzialmente investe tutti i fattori di cui esso è composto. Così questa mostra si preoccupa di non trascurare alcun aspetto della sensibilità umana. Ad ogni stanza siamo introdotti da un profumo e da una musica diversi, mutano gli oggetti esposti, la rivisitazione delle creazioni artistiche del passato (ad esempio le vetrate di Chagall o i mosaici di Ravenna), tutto in funzione della variazione cromatica che fa da controcanto al trascorrere del tempo, per cui ciascun evento dell’anno liturgico si traveste di tonalità diverse. Nell’idea della Bianchetti mutano anche i tradizionali colori liturgici (viene ad esempio rinnovato il verde, introdotto il colore bruno e terroso), delle stesse suppellettili (in particolare il calice) e degli arredi (la mensa dell’altare), nel tentativo di dare vita ad una sorta di arte globale, dove tutti gli aspetti del reale possano esprimersi in pienezza. Più che una mostra una sorta di istallazione, da vivere e da gustare. Si capisce così come ognuno dei curatori abbia portato il proprio contributo personale: la realtà ha innumerevoli facce.
Cristina Terzaghi

Einstein 1905
Il genio all’opera

Alla scoperta di un Albert Einstein poco conosciuto
Chi si aspettava di imbattersi nel consueto volto svagato, con i folti capelli bianchi e arruffati, ha dovuto attendere gli ultimi pannelli della mostra: l’Einstein presentato a Rimini non è lo stereotipo che il grande pubblico crede di conoscere, bensì quello apparso inaspettatamente sulla scena nell’annus mirabilis 1905, imprimendo una svolta decisiva allo sviluppo della fisica. Un exploit non spiegabile come automatica conseguenza del cammino della scienza e non riducibile alla sola relatività, come hanno spiegato Tito Arecchi e Mario Gargantini. Relatività che è tutt’altro che un’esaltazione del relativismo: il suo autore era piuttosto interessato a ciò che è assoluto e avrebbe preferito chiamarla “Teoria dell’Invarianza”.
L’invito a osservare il genio “all’opera” ha offerto spunti interessanti per tutti: in ogni momento della sua vicenda umana e scientifica, Einstein ci ricorda che la realtà non è ostile, è conoscibile, ma non è inscatolabile nei nostri modelli; ci invita a lasciarci sorprendere dai fenomeni e a una continua apertura dello sguardo.
Euresis

Passeggiando
su un raggio di luna

Il mito del progresso e l’attesa dell’Altro
in Michail Bulgakov. Percorso nella vita
e nell’opera del grande scrittore russo

Emerge prepotente l’idea del progresso nel pensiero cristiano russo, certamente legata alle contingenze storiche del comunismo: nelle parole di padre Romano Scalfi il progresso ha la necessità di aderire a «una fonte inesauribile», tema questo che si lega particolarmente al titolo del Meeting. Il progresso cristiano si sviluppa come «una conoscenza sempre più profonda, un amore sempre più intenso, una felicità sempre più grande, una bellezza sempre più affascinante. Una novità continua». «Il mondo del romanzo di Bulgakov - spiega Igor Vinogradov, direttore della rivista Kontinent - non è affatto conchiuso nel cielo terrestre, ma si allarga all’infinito nel cosmo divino». Nella storia inventata da Bulgakov, come nella storia umana, è evidente una presenza misteriosa, ma reale, che dà senso alla storia. Con il perdono di Pilato, che diventa una possibilità di compagnia con Jeshua (la versione romanzesca di Gesù), Bulgakov ci rinvia a un piano dove ciò che diventa decisivo è esattamente questa compagnia, e la vita dell’uomo, al di là di tutti i suoi peccati e di tutti i suoi meriti, diventa effettivamente un cammino infinito in compagnia di Qualcuno che ha infinitamente misericordia di lui.
Adriano Dell’Asta

Andrea Mariconti
Alla scoperta
del giovane pittore lodigiano

Pochi artisti contemporanei ci sanno fare con la figura. Più si ama l’arte e più si è stranamente costretti ad ammettere che la rappresentazione della figura umana rappresenta una sfida oggi ben poco raccolta. Si tratta molto spesso di totale disinteresse: meglio parlar d’altro; qualche volta di imbarazzo: che c’è ancora da dire sull’uomo? Ma anche quando si accetta di misurarsi con la figura, ne escono immagini sfigurate, inquiete, distorte, per lo meno parziali. Assolutamente diverso sembra il modo con cui Andrea Mariconti guarda l’uomo del suo tempo. Non so se perché spesso le figure sono quelle di amici e coetanei, ma vibra in queste rappresentazioni una sorta di amore e rispetto che le rende stranamente vicine ed amabili. Più che il soffermarsi sui valori plastici del corpo, o sulla malinconia di una posa, tipici della tradizione pittorica europea dell’Otto e Novecento, si apprezza in queste opere la novità rappresentata dall’emergere dei volti, non dall’ombra, ma dal controluce. Un accento di nuova speranza per chi sa cogliere l’infinito valore di ogni “tu”.
Cristina Terzaghi

Il sugo della storia
Rileggendo i Promessi Sposi
di Alessandro Manzoni

Per chi ha letto i Promessi Sposi un pezzetto alla volta, nelle sonnolente ultime ore delle giornate della quinta ginnasio, l’annuncio di una mostra sul tema suggerisce per lo meno di iniziare dopo aver preso un caffè ristretto. Forse per questo si esce dalla mostra sbalorditi di aver letto con passione tutti i pannelli, di non essersi per nulla annoiati, anzi di voler assolutamente andare a casa a riaprire il celebre romanzo. L’esposizione è molto curata: i pannelli hanno caratteri chiari e facilmente leggibili, recano un brano solitamente breve ma molto significativo del romanzo, una frase brevissima di un altro autore, che introduce a comprendere il testo, e un’immagine che cattura l’attenzione e rende il tutto molto suggestivo. La storia la sappiamo ma non c’è nulla di scontato per chi nel presente è attento alla realtà. Manzoni è grandissimo nel tratteggiare la psicologia dei personaggi e nel sorprendere la presenza del Mistero dentro la più umana delle vicende: due giovani che, desiderando ardentemente sposarsi, sono invece costretti a fare una strada un po’ più lunga. La mostra aiuta in tutti i modi a comprendere le intenzioni del grande poeta fino a scoprire il “il sugo della storia” per ciascuno dei lettori. Una mostra da non perdere per tutti, in particolare per le scuole.
Cristina Terzaghi

Alle fonti dell’energia
Dalla natura risorse
per il cammino dell’uomo

Non è per nulla ovvio che la natura sia così ricca di forme di energia e che corrisponda così bene alle nostre esigenze: lo hanno sottolineato Marco Bersanelli, Carlo Sozzi, Elio Sindoni e Giovanni Zambon. «C’è una sottigliezza ammirevole che sostiene questa ricchezza di possibilità. Si parla sempre di energia ma ci si rende conto troppo poco del dato gratuito che rappresenta, perché siamo sempre meno capaci di un’attenzione vera e di uno stupore di fronte alla natura».
All’origine del fenomeno energia ci sono aspetti che ne rivelano il carattere singolare e la indicano come una realtà non dominabile dall’uomo a suo piacimento. Anche le energie pulite comportano impatti non trascurabili sull’ambiente: qualsiasi fonte di energia può sconvolgere i delicati equilibri naturali se utilizzata senza limiti, senza prudenza e senza responsabilità.
L’invito alla responsabilità chiama in causa una posizione umana che assume fino in fondo il dato scientifico ma lo integra in una più globale relazione con la realtà rispettandone la struttura ultimamente misteriosa e insondabile.
Euresis


La nota dominante
Concerto inaugurale. Con
> Franco Branciaroli
> Trio Matisse
> José Carreras
Biglietti introvabili e un’atmosfera di festa e vera voglia di ascolto: nell’eterogeneità della platea gli illustri invitati sono a loro agio, e in alcuni sorprendo lo stupore di fronte a quello “spettacolo-nello-spettacolo” che è la gente del Meeting. Pier Paolo Bellini dà la chiave di lettura per la serata: un recital di brani che ripercorrono le intuizioni iniziali di don Giussani. Nell’azione musicale e poetica è perciò ad un’Altra star che l’attore o l’interprete rendono omaggio. Grazie a questa premessa svanisce l’impressione di assistere ad un momento quaresimale. La sobrietà del formato antologico che alterna letture a brani musicali è funzionale all’autenticità: Branciaroli si defila perciò da qualsiasi istrionismo ed è toccante, perché non legge né recita, bensì dice le parole di Giussani. Emanuela Piemonti lascia accadere la “stanchezza delle appoggiature beethoveniane”, o lo “scalpitante desiderio di felicità” della nota ribattuta in Chopin. Il Trio Matisse, sia in Schubert che in Dvor￿ák, ignora la retorica da trio viennese nella quale uno aspetta solo il proprio turno per “poter dire la sua”; assistiamo invece al connubio di tre amici fraterni, attentissimi ciascuno a ciò che dice l’altro, e perciò reciprocamente utili. Anche Carreras è autentico: ha sofferto, e non gli interessano cliché da primadonna. Usa, anzi, l’odiato microfono per esplorare nuance dinamiche e fraseologiche raffinate. L’ispanicità elegante e malinconica si sposa con naturalezza alla canzone napoletana, e la sfronda da qualunque eccesso di teatralità. Torna a Surriento arriva quasi come una risoluzione drammatica della serata, superata, se possibile, nel bis dalla tanto attesa esecuzione dell’aria Spirto Gentil: il pubblico gongola per questa “passione esplicitata e vissuta”, e ringrazia.
Roberto Andreoni

Paixao e fè na musica
brasileira
Spettacolo musicale.
Rassegna di canzoni popolari
e tradizionali brasiliane
Nel palinsesto delle serate alla Piscina Ovest, unite dalla partecipazione musicale e dalla conduzione del sempre ottimo Carlo Pastori, atterra dal Brasile il gruppo “Vozes das Gerais”. Provenienti dalle più varie esperienze musicali (rock, folk, musica colta), i componenti di questo gruppo si dedicano alla raccolta e all’esecuzione di canti popolari e tradizionali brasiliani, che passano attraverso i secoli manifestando e testimoniando fede e appartenenza al popolo cristiano. Arrangiamenti semplici ed essenziali permettono al gruppo di esprimere, con atmosfere calde e coinvolgenti, la riscoperta della fede, l’amicizia generata dall’incontro con don Virgilio Resi, scomparso nell’ottobre 2002, e che è stato il vero catalizzatore di questa esperienza artistica e umana. La Bandiera della Folia, stendardo di festa usato nel periodo natalizio, proveniente fin dai tempi del medioevo, viene oggi impugnato e sventolato per il gusto di raccontare quanto siano incisive e presenti ancora oggi nella cultura popolare brasiliana le figure di Cristo e di Maria.
Walter Muto

Purché non sia silenzio
Dante, Montale, Leopardi
narrati da Virginio Gazzolo
e Angela Cardile
Una sala gremita di ragazzi invia febbrilmente gli ultimi sms prima dello spegnimento dell’apparecchio cellulare. Ci si dà appuntamento qui o là per il dopo spettacolo, ci si scusa per una parola detta in malo modo. Il passaggio dalla forma di comunicazione più usata oggi fra i giovani (e non) al buio e alla declamazione della poesia di 700 anni fa è uno scarto netto, ma ha un suo perché. Tutto sommato i contenuti sono simili: innamoramenti, corrispondenze; insomma, il silenzio denso del pubblico (per la verità con un sensibile rumore di fondo proveniente dalla vicina ristorazione) fa capire che la “stoffa dell’umano” è la stessa aldilà dei secoli.
Virginio Gazzolo è un gigante, regge la scena da solo per quasi un’ora e mezzo, solo a tratti intervallato dal soave contrappunto di Angela Cardile, voce recitante e cantante (geniale il rivestire alcuni versi di semplici melodie, come doveva essere all’epoca di Dante e Petrarca); voce femminile fuori campo fino al finale, entra in scena per una carola rotante con l’attore. Che sia Beatrice, Silvia o la moglie di Montale, questo è un omaggio alla donna, e all’innamoramento, esperienza di gioia e sofferenza, che in ogni caso porta altrove e tiene dentro di sé l’infinito. L’omaggio finale è Vergine Madre, letta da un foglietto, quasi non avesse voluto impararla ma leggerla meglio, dopo quasi due ore di parole a memoria. Grandissimo.
Walter Muto

Scétate e guarda!
Spettacolo musicale.
Canzoni popolari napoletane
con il gruppo Napolincanto. Con >Gianni Aversano
> Domenico De Luca
> Nando Piscopo
> Marco Vidino
Guarda! Uno dei verbi più usati nel Vangelo diventa il punto di partenza per scoprire la realtà, in questo caso una realtà come quella della canzone partenopea, così ricca di storia e spesso ridotta a interpretazioni di maniera. Non è il caso di Napolincanto, il gruppo composto da quattro musicisti di grande spessore e forza comunicativa: Gianni Aversano, Domenico De Luca, Nando Piscopo e Marco Vidino (il quarto per la verità assente per un infortunio dell’ultima ora). Se infatti spesso della canzone napoletana si ha un’immagine lamentosa e ultimamente disperata, qui si riscopre la tristezza e la nostalgia come desiderio del “tutto”, del “per sempre”, insomma dell’infinito. Questo nelle canzoni più lente e malinconiche, mentre gli episodi di danza sono scariche di adrenalina pura. Gli arrangiamenti sono sicuramente essenziali, come loro stessi dicono, ma sostenuti da una grande perizia strumentale e da una invidiabile forza espressiva. Svegliati e guarda, alzati e cammina, o forse meglio ancora, fermati e ascolta, perché alla bella musica bisogna dare spazio e tempo.
Walter Muto

Per Beatrice
Spettacolo teatrale.
Di Davide Rondoni.
Adattamento di Filippo Fiocchi.
Con Davide Giandrini,
messa in scena di Giorgio Sciumè
Il viaggio tra lacrime e risa della Gran Commedia, come recita il sottotitolo. Qualcuno direbbe la comédie humaine, ma questa è divina. Una palestra di ballo, un uomo delle pulizie che probabilmente sta per perdere il lavoro, un’ambientazione umile, si potrebbe dire “bassa”, incorniciano un’esperienza umana, come a mostrare che la distinzione fra basso e alto non esiste, che l’uomo è uomo a qualunque latitudine e in qualunque condizione si trovi. Questo mi è parso di cogliere nella recitazione di Davide Giandrini, attore giovane ma già esperto e che tiene da solo la scena con forte presenza scenica. E non era scontato, dovendo affrontare un testo denso e impegnativo per circa un’ora.
È un continuo rincorrersi fra il mondo in cui vive il personaggio e i lanci che offre il capolavoro dantesco, nella singolare cornice di uno spoglio varietà, senza lustrini e paillettes, in cui lo scopo è quello di ridere, cantare e commuoversi insieme al pubblico. Scopo che potremmo dire pienamente riuscito, con qualche giorno di prove in più e qualche tentativo di far ridere a tutti i costi in meno. In amicizia e con grande stima e incoraggiamento per un bel lavoro.
Walter Muto

Albertazzi
racconta Albertazzi
Anteprima dell’opera multimediale
prodotta da Paolo Alberti,
introdotta da Giorgio Albertazzi
Albertazzi racconta Albertazzi al Meeting, introducendo l’anteprima del ritratto d’artista a lui dedicato: un libro e un film in dvd, editi da Rai Eri. Difficile per chiunque sfuggire all’agiografia di se stesso, ma non per l’attore toscano, capace ancora una volta di mettere in scena la sua vita e le sue passioni dall’alto dei suoi quasi «4 volte vent’anni». Alla sala strapiena regala aforismi e confessioni in pillole: «l’insoddisfazione è il segreto della creatività vera, ogni soluzione è una trappola», «il personaggio è la tomba dell’attore, non ci si deve “calare” da nessuna parte». «Il cinema è la peau, la pelle: basta un brufolo per rimandare le riprese; il teatro è l’anima: anche da zoppi si può fare benissimo Amleto». E il paradosso dell’attore si esercita anche sull’amore: «È attraverso l’amore che arriva la conoscenza, non il contrario. Socrate l’aveva capito». Applausi. Poi lo splendido bianco e nero degli sceneggiati anni Sessanta, Dante e Shakespeare sullo sfondo del teatro greco di Siracusa e le testimonianze degli amici di sempre, da Anna Proclemer a Franco Zeffirelli.
Silvia Guidi

Elliott Murphy
Il musicista in concerto. Con
> Olivier Durand
> Danny Montgomery
> Jorge Otero
L’Arena D3 della Fiera sembrava un po’ vuota, contando 3000 posti a sedere, ma le 700 persone presenti erano tutt’altro che poche per Elliott Murphy. Molti artisti indipendenti o underground svolgono le loro tournèe italiane passando per club da 200 posti, quando va bene. Ed invidiabile è stato anche il calore con cui il pubblico ha accolto l’artista e la sua band. Nel pomeriggio Elliott aveva visitato la mostra “Good Rockin’ Tonight” accompagnato da Paolo Vites, giornalista che al Rock sta dedicando la sua vita e suo carissimo amico. Sul palchetto della mostra ha raccontato un po’ di sé al pubblico stipato, omaggiandolo poi di una canzone dedicata proprio ad uno dei personaggi più importanti per Rimini, Federico Fellini. E dopo qualche altra canzone e qualche aneddoto, via a fare il sound check.
E la serata? Una carrellata delle sue canzoni, non molto conosciute qui da noi, ma di grande presa e comunicativa. Ad un certo punto una sorpresa: il figlio Sean, capelli davanti agli occhi e Gibson elettrica, si unisce alla band ed accompagna il padre in un paio di brani, lanciandosi anche in un paio di assoli per la verità un tantino acerbi. Comunque una serata in cui il grande Rock è tornato al Meeting, speriamo buon auspicio per il futuro.
Walter Muto

Nati due volte
Spettacolo teatrale.
Tratto dall’omonimo romanzo
di Giuseppe Pontiggia. Con
> Andrea Carabelli
> Giorgio Sciumè
> Regia di Giorgio Sciumè
« Chi è normale? Nessuno. Quando si è feriti dalla diversità, la prima reazione non è di accettarla, ma è di negarla». Queste le parole tratte dal romanzo autobiografico Nati due volte di Giorgio Pontiggia, interpretate dagli attori Giorgio Sciumè e Andrea Carabelli. Uno spettacolo drammatico che ha raccontato il rapporto difficile di un padre con il figlio disabile, che impara ad accettare solo dopo un lungo e faticoso cammino spirituale. E allora si può nascere due volte. La prima volta quando si arriva al mondo con un handicap. La seconda avviene invece quando ci si deve «affidare all’amore e all’intelligenza degli altri». Una rinascita che vale per Paolo, che deve imparare a fare i conti con il mondo, ma anche per suo padre, il professor Frigerio, che dovrà affrontare la sfida del suo limite, del suo essere “sano”, incapace com’è di amare il figlio. Ma le cose cambiano. E così quando si capisce l’importanza della propria vita, in quell’attimo, sarà come essersi «incontrati per sempre».
Lorena Nicotra

La Traviata
Spettacolo teatrale. Con
> Susie Georgiadis
> Claudio Corradi
> Gianfranco Capelluti
> Coro Ars Canto di Parma
> Orchestra della Provincia di Lecco diretta da Paolo Barbacini Manfredi
> regia di Pietro Nannini
Se in una cattedrale, durante la messa solenne venissero lasciati incustoditi mille bambini, di sicuro ci incuriosirebbero i risultati dell’esperimento sociologico più che l’avvenimento liturgico in sé. Se invece puntassimo a far gustare loro dove sono e perché, dovremmo prenderli per mano uno a uno e guidarli a quella comprensione ogni domenica, per anni. Per analogia: benché aperto, medio-colto e recentemente “ingentilito nello spirto”, il pubblico del Meeting è pur nato e cresciuto in grembo a mamma tv; immergerlo d’un tratto nel cuore del teatro d’opera è un utile, provocatorio sasso in uno stagno che andrà tuttavia esplorato più frequentemente e sempre più a fondo. Perché non riaccada quel rumoroso andirivieni durante l’estatico Preludio, fra ciabattanti ventenni che mandano e ricevono sms per tutta la serata. Gli applausi ad ogni cesura accomunano un popolo audio-visivo che concepisce la musica solo come “album di canzoni”, e neppure immagina che si possa seguire la toccante metànoia di Violetta Valery attraverso un dramma fatto di suoni continui e sapientemente organizzati.
Egregia l’Orchestra della Provincia di Lecco, ma l’amplificazione si rivela insufficiente quando sopraggiungono, sbilanciate, le voci: ogni azione scenica si ingessa fra lo sguardo al (l’eroico) direttore e il collo teso ai microfoni, fissi sul boccascena. Non si capiscono le parole, e gli sguardi ai maxi-schermi sembrano mendicare le didascalie del Dvd domestico.
« Follie!» urla il fotogenico soprano nella lunga e acrobatica aria del primo atto, ma poi sbanda negli atti successivi, quando vita e canto si fanno meno frivoli. Il tenore è sobrio e convince, nonostante qualche nota crescente. Una vocalità più solenne e solida emerge nel personaggio (e nell’interprete) di papà Germont. Mentre ci commuove il coro, e il grande Verdi, nel finale del secondo atto.
Roberto Andreoni