Pensioni Quale riforma. Il futuro che ci aspetta

Libertà
Paolo Biondi

Alberto Brambilla, Guidalberto Guidi, Fausto Marchionni e Savino Pezzotta da posizioni diverse hanno fatto il punto della situazione su quella che è stata definita la riforma delle riforme

Il Meeting ha messo i piedi nel piatto più indigesto di questi giorni. Nel 1994 sulla riforma delle pensioni il primo governo Berlusconi ci rimise le penne. Poi due altri governi, quello di Lamberto Dini nel 1995 e di Romano Prodi nel 1997, riuscirono ad ammodernare il sistema. Nel 2001 non fu fatta, colpevolmente, l’attesa verifica. Oggi Berlusconi rischia nuovamente di bruciarsi le penne sul tema. Perché?
A Rimini si è toccato con mano: un sottosegretario, tecnico leghista, ha spiegato perché ci attenda non una nuova riforma, ma solo una revisione della fase transitoria di quanto già previsto da Dini; un sindacalista ha detto che il tema è tabù e che il problema vero è quanto si produce oggi in Italia; un industriale ha spiegato perché invece ci si deve muovere in fretta; un assicuratore ha detto che quel che manca è la seconda gamba del sistema legata allo smobilizzo del Tfr (trattamento di fine rapporto).
La questione, dicono gli esperti, riguarda nientemeno che un patto tra generazioni: i lavoratori di oggi non possono salvaguardare i propri diritti sulle spalle dei propri figli, lavoratori di domani; i giovani di oggi non possono non farsi carico dei diritti dei propri padri. Ma la solidarietà deve essere equa.

La riforma Dini
In soldoni si tratta di stabilire se l’attuale sistema pensionistico è sostenibile a lungo andare dalla nostra economia, una locomotiva che arranca e sbuffa oggi più di ieri. La riforma Dini ha stabilito che il sistema, per non collassare, debba passare dal retributivo (una pensione calcolata in base alle ultime retribuzioni) al contributivo (pensione calcolata su quanto effettivamente versato da ciascuno), passaggio che sarà riportato in ordine nel 2025 e completato nel 2050. Nel frattempo in Italia dicono le statistiche saremo molto meno di adesso (circa 5 milioni in meno) per via della crescita zero. Ma nel frattempo saranno andati in pensione tutti i babyboom, cioè tutti coloro che nacquero negli abbondanti anni 50, quando la famiglia era ancora un focolare sicuro.
La famosa “gobba” è la descrizione grafica di questo momento: quando sulle spalle dell’Inps si riverseranno i nati in quegli anni felici (il termine gobba non è però dovuto al fatto che quel peso piegherà la schiena dell’Inps, ma alla linea progressiva che disegnano gli economisti per indicare la spesa, linea che improvvisamente si alza per poi ridiscendere).
A Rimini sono state espresse opinioni diverse sul tema. Per il sottosegretario Alberto Brambilla i punti sono due: il primo è che non è vero che spendiamo più degli altri in pensioni: nel numeretto (si fa per dire, essendo il 70% delle prestazioni sociali) della previdenza noi calcoliamo anche Tfr, ammortizzatori sociali (dei quali non è stata ancora avviata la riforma promessa nel Patto per l’Italia) e assistenza agli indigenti; secondo, quello che si può fare è accelerare la fase di transizione della riforma Dini.

Posizioni diverse
Il vicepresidente di Confindustria, Guidalberto Guidi, ha sostenuto che il sistema fa acqua e va riformato; anzi andava rivisto ieri, siamo già in ritardo. Le parti sociali difendono interessi contrapposti, quindi tocca al governo mediare e fare una proposta, definitiva. Se invece vuole solo fare pastrocchi, meglio soprassedere.
Fausto Marchionni, amministratore delegato della Fonsa, Fondiaria Sai, aspetta che vengano liberati quei 10 miliardi di euro all’anno immobilizzati nel Tfr: se i lavoratori potessero investirli nella previdenza complementare, si potrebbe ragionare di pensioni in maniera diversa. Per Savino Pezzotta, segretario Cisl, le chiacchiere di oggi sono come quelle di ieri sull’articolo 18: sembrava dovesse essere la riforma delle riforme e non era vero, il vero problema è la competitività e il rilancio dell’economia; per far rimanere la gente al lavoro ci vogliono incentivi e trasferimento del Tfr su base volontaria. Questo a Rimini. Il resto è cronaca, ma gli ingredienti erano già tutti in tavola.