Senso religioso, opere, politica

Antologia
Luigi Giussani

L’intervento al convegno della Dc lombarda. Assago 1987; in L’io, il potere, le opere. Contributi da un’esperienza, Marietti, Genova 2000, pp. 165-170


La politica, in quanto forma più compiuta di cultura, non può che trattenere come preoccupazione fondamentale l’uomo. Nel discorso all’Unesco (2 giugno 1980), Giovanni Paolo II ha detto: «La cultura si situa sempre in relazione essenziale e necessaria a ciò che è l’uomo» (Giovanni Paolo II, La vita umana è cultura, Allocuzione all’Unesco, 2 giugno 1980; in La Traccia, 1980, p. 473).

1) Ora, la cosa più interessante è che l’uomo è uno nella realtà del suo io. Ancora, in quel discorso il Papa dice che occorre sempre, nella cultura, considerare «l’uomo integrale, l’uomo tutto intero, in tutta la verità della sua soggettività spirituale e corporale». Occorre «non sovrapporre alla cultura - sistema autenticamente umano, sintesi splendida dello spirito e del corpo - delle divisioni e delle opposizioni preconcette» (Ibidem, p. 474).

Che cosa determina, cioè dà forma a questa unità dell’uomo, dell’io? È quell’elemento dinamico che attraverso le domande, le esigenze fondamentali in cui si esprime, guida l’espressione personale e sociale dell’uomo. Brevemente, io chiamo «senso religioso» questo elemento dinamico che, attraverso le domande fondamentali, guida l’espressione personale e sociale dell’uomo; la forma dell’unità dell’uomo è il senso religioso. Questo fattore fondamentale si esprime nell’uomo attraverso domande, istanze, sollecitazioni personali e sociali. Il capitolo 17 degli Atti degli apostoli presenta san Paolo che spiega la grande e inarrestabile migrazione dei popoli come ricerca del Dio (cfr. At 17,26-28).

Il senso religioso appare, così, la radice da cui scaturiscono i valori. Un valore, ultimamente, è quella prospettiva del rapporto tra un contingente e la totalità, l’assoluto. La responsabilità dell’uomo, attraverso tutti i tipi di sollecitazioni che gli provengono dall’impatto con il reale, si impegna nella risposta a quelle domande che il senso religioso - o, biblicamente, «cuore» - esprime.

2) Nel gioco di questa responsabilità di fronte ai valori, l’uomo ha a che fare con il potere. Intendo per potere quello che nel suo libro - così intitolato - Romano Guardini definiva come delineazione dello scopo comune e organizzazione delle cose per il suo raggiungimento (cfr. R.Guardini, La fine dell’epoca moderna. Il potere, Morcelliana, Brescia 1983, p. 118).

Ora, o il potere è determinato dalla volontà di servire la creatura di Dio nel suo dinamico evolversi, servire cioè l’uomo, la cultura e la prassi che ne deriva, oppure il potere tende a ridurre la realtà umana al proprio scopo; e così uno Stato sorgente di tutti i diritti riconduce l’uomo a «pezzo di materia o cittadino anonimo della città terrena» (cfr. Gaudium et spes 14,2. Costituzione pastorale del 7 dicembre 1965; in Tutti i documenti del Concilio, Ed. Massimo, Milano 1993, pp. 139ss), così come ne parla la Gaudium et spes.

3) Se il potere mira solo al suo scopo, esso deve cercare di governare i desideri dell’uomo. Il desiderio, infatti, è l’emblema della libertà perché apre all’orizzonte della categoria della possibilità; mentre il problema del potere, inteso come ho accennato, è quello di assicurarsi il massimo di consenso da una massa sempre più determinata nelle sue esigenze. Così i desideri dell’uomo, e quindi i valori, sono essenzialmente ridotti. Una riduzione dei desideri dell’uomo, delle sue esigenze e, quindi, dei valori, viene perseguita sistematicamente. I mass media e la scolarizzazione diventano strumenti per l’induzione accanita di determinati desideri e per l’obliterazione o l’estromissione di altri. Nell’enciclica Dives in misericordia il Papa nota: «Questa è la tragedia del nostro tempo: la perdita della libertà di coscienza da parte di interi popoli ottenuta con l’uso cinico dei mezzi di comunicazione sociale da parte di chi detiene il potere» (cfr. Giovanni Paolo II, Dives in misericordia, 11. Lettera enciclica del 30 novembre 1980).

4) Il panorama della vita sociale diventa sempre più uniforme, grigio (pensiamo alla «grande omologazione» di cui parlava Pasolini) (cfr. P.P.Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, Milano 1993, pp. 23, 41, 45ss., 50 e 54), così che viene da descrivere la situazione con la formula (che gioco qualche volta con i giovani): bisogna stare attenti che il P (potere) non sia in proporzione diretta con una I (impotenza), perché allora il potere diventerebbe prepotenza di fronte ad un’impotenza perseguita, appunto, con la riduzione sistematica dei desideri, delle esigenze e dei valori. (…)

Nell’appiattimento del desiderio ha origine lo smarrimento dei giovani e il cinismo degli adulti; e nella astenia generale l’alternativa qual è? Un volontarismo senza respiro e senza orizzonte, senza genialità e senza spazio, e un moralismo d’appoggio allo Stato come ultima fonte di consistenza per il flusso umano.

5) Una cultura della responsabilità deve mantenere vivo quel desiderio originale dell’uomo da cui scaturiscono desideri e valori: il rapporto con l’infinito, che rende la persona soggetto vero e attivo della storia. Una cultura della responsabilità non può non partire dal senso religioso. Tale partenza porta gli uomini a mettersi insieme. È impossibile che la partenza dal senso religioso non spinga gli uomini a mettersi insieme. E non nella provvisorietà di un tornaconto, ma sostanzialmente; a mettersi insieme nella società secondo una interezza e una libertà sorprendenti (la Chiesa ne è il caso più esemplare), così che l’insorgere di movimenti è segno di vivezza, di responsabilità e di cultura, che rendono dinamico tutto l’assetto sociale.

Occorre osservare che tali movimenti sono incapaci di rimanere nell’astratto. Nonostante l’inerzia o la mancanza di intelligenza di chi li rappresenta o di chi vi partecipa, i movimenti non riescono a rimanere nell’astratto, ma tendono a mostrare la loro verità attraverso l’affronto dei bisogni in cui si incarnano i desideri, immaginando e creando strutture operative capillari e tempestive che chiamiamo «opere», «forme di vita nuova per l’uomo» (cfr. Giovanni Paolo II, Cristo è la più grande «risorsa» dell’uomo, Ai partecipanti al Meeting per l’amicizia tra i popoli, 29 agosto 1982; in La Traccia, 1982, p. 987), come disse Giovanni Paolo II al Meeting di Rimini nel 1982, rilanciando la Dottrina sociale della Chiesa. Le opere costituiscono vero apporto a una novità del tessuto e del volto sociale. (…)

Così, la politica deve decidere se favorire la società esclusivamente come strumento, manipolazione di uno Stato e del suo potere, oppure favorire uno Stato che sia veramente laico, cioè al servizio della vita sociale secondo il concetto tomistico di «bene comune», ripreso vigorosamente dal grande e dimenticato Magistero di Leone XIII (cfr. Leone XIII, Rerum novarum, in particolare nn. 26-28).

Ho fatto quest’ultima osservazione pur ovvia a tutti per ricordare che è un cammino nient’affatto facile, ma duro come del resto il cammino di ogni verità nella vita. Ma bisogna non aver paura, anche in questo caso, di quello che diceva il Santo Evangelo: «Chi si tiene strette le sue cose, la sua vita, le perderà e chi darà in nome di Cristo la sua vita, la guadagnerà» (cfr. Mt 10,39; 16,25; Mc 8,35; Lc 9,24; 17,33).