Sotoo (Sagrada Familia): solo la Resurrezione può "ricostruire" il mio Giappone

Pietro Vernizzi

«Lo tsunami non è stato una punizione della natura né tantomeno di Dio, ma l’occasione di un nuovo inizio per tutti i giapponesi. Mai come in queste settimane il Paese ha dimostrato di essere sereno e pieno di speranza, e di avvertire la presenza di Dio. La resurrezione di Cristo è l’inizio della più grande speranza e anche il mio popolo, che non è cristiano, in questi giorni si sta comportando come se lo fosse». Ad affermarlo è Etsuro Sotoo, lo scultore giapponese che sta completando la Sagrada Familia a Barcellona. Convertitosi al cattolicesimo dopo l’incontro con il capolavoro di Antoni Gaudì, Sotoo racconta come il suo popolo si appresta a vivere la Pasqua dopo il terremoto di magnitudo 9.0 e lo tsunami che è seguito.

Maestro Sotoo, come vivrà la Pasqua il suo Paese colpito dal terremoto?
Ci sono migliaia di cittadini che, oltre al dolore per la perdita di tante persone care, in questo momento sono ammassate in «campi di concentramento» dove non hanno alcuna intimità e neppure la possibilità di farsi una doccia. Il mio Paese si sta quindi sforzando di risolvere questa problematica e trovare una soluzione per queste famiglie. Ma tra i drammi che sta vivendo il Giappone, c’è anche quello di centinaia di uomini che si trovano alla centrale di Fukushima e che stanno lottando e sacrificando la loro vita per salvare tutta la nazione e il mondo intero. Gente che ha famiglia, e che accetta quel rischio proprio per il desiderio di salvare le mogli e i figli.

Che speranza può portare la Pasqua al Giappone, che non è un Paese cristiano e spesso non crede neppure in Dio?
La Resurrezione di Cristo è l’inizio della più grande speranza, e il Giappone è un Paese sereno ed educato che vive nella speranza. Noi abbiamo fiducia nel futuro e abbiamo il bisogno di comunicare questa speranza al mondo. In un momento catastrofico come quello attuale, sembra che non ci sia speranza, ma noi la speranza la viviamo perché altrimenti non potremmo comportarci come stiamo facendo adesso. I giapponesi quindi non sono cristiani, ma spesso agiscono come se lo fossero.

Lo tsunami può essere considerato come un avvertimento agli uomini da parte della natura o addirittura di Dio?
No. Piuttosto, è l’occasione di un nuovo inizio, perché col tempo noi ci distraiamo e ci occupiamo delle piccole cose, ma perdiamo di vista le cose essenziali. Quando succedono invece avvenimenti come lo tsunami, noi riusciamo a capire che cosa è veramente importante e cosa non lo è. Quando infatti va tutto bene, invece di guardare alle cose grandi che Dio ci ha dato, ci occupiamo delle piccole cose che fanno gli uomini. Come dice il Vangelo di Matteo, bisogna dare agli uomini quello che è degli uomini e a Dio quello che è di Dio.

Per chi crede, sorge però spontanea la domanda se Cristo fosse presente anche durante il terremoto…
Personalmente, proprio nei momenti successivi al terremoto Cristo era quanto di più necessario esisteva per vivere, perché in quei momenti l’unica cosa che potevo fare, l’unica cosa ragionevole era aggrapparmi a Dio.

Ma in che modo questa presenza diventava oggettiva?
Chi crede può arrivare a dire grazie a Dio perché comunque in quel disastro sono successi anche dei miracoli. Per esempio c’è un Paese che è stato investito in pieno dallo tsunami, ma tutti i miei amici che si trovavano lì si sono salvati.

C’è qualche altro fatto che l’ha colpita?
Sì, per esempio due anziani, marito e moglie, che avevano perso i familiari e tutti i loro averi, e che invece di maledire ringraziavano Dio per il fatto di essere in vita. O vedere persone che erano grate perché, dopo tre giorni che non mangiavano, riuscivano ad avere un po’ di riso. Come pure i pescatori e i contadini delle aree colpite, che pensavano che in vita loro non avrebbero mai avuto alcun contatto con il resto del mondo, e invece si rendono conto dell’attenzione che i Paesi stranieri hanno verso di loro, e di questo sono grati.

La maggior parte dei giapponesi crede ancora in Dio?
Mai come in queste settimane tutto il Giappone sta percependo la presenza di Dio. Finora, proprio per la nostra ricchezza, i giovani potevano vivere senza nessun tipo di riferimento, volevano godersi la vita senza nessun legame e senza sposarsi. Invece adesso quello che sta succedendo è che molti si vogliono sposare. Non per una teoria, ma perché si accorgono che il loro cuore ha bisogno di una comunione e che non possono vivere da soli. Noi siamo imperfetti e attraverso questi fatti così dolorosi riusciamo a capire qual è l’essenza dell’uomo. Le cattedrali resistono per millenni, ma un terremoto può distruggere tutto in un secondo.

Che cosa possiamo imparare da questo fatto?
La pazienza. Noi senza tradizione non siamo nulla, siamo semplicemente un punto di passaggio verso il futuro, quindi quello che dobbiamo fare è ritornare a costruire. A differenza delle guerre, un terremoto non ha colpevoli.

Quale può essere il significato di eventi come questo?
La prima cosa che ci insegna un evento come il terremoto è proprio che dobbiamo smetterla di ucciderci a vicenda con le guerre, perché è inutile aggiungere sofferenza a sofferenza. Inoltre, lo tsunami è un po’ come se fosse colpa di ognuno di noi. Se uno percepisce quello che accade in Giappone come qualcosa di lontano, questo non tocca il suo cuore e non lo muove. Al contrario, uno può sentire quel dolore come se fosse il suo dolore, quella disgrazia come la sua disgrazia.

Oltre a completare la Sagrada Familia, quali sono i suoi progetti per il futuro?
In questo momento mi trovo in Giappone, sto lavorando a moltissime iniziative e una si chiama progetto Sotoo. Siamo in 100 persone, e tra poco ne entreranno a fare parte un migliaio. Siamo nel 2011, ma in realtà è già iniziato il terzo millennio. Dobbiamo capire che tutto quello che succede sono indicazioni di Dio sul nostro cammino, e noi dobbiamo aiutarci a comprenderle, per potere crescere e andare avanti.

Di che cosa si occuperà il progetto Sotoo?
Sarà presentato il 15 novembre prossimo, ma l’idea centrale è che noi finora abbiamo sempre cercato dei nemici e adesso dobbiamo imparare a guardare il nemico come amico, perché è possibile. In questo modo anche la scienza e la tecnologia potranno cambiare il loro modo di costruire e porsi di fronte alla realtà. I giovani in questo inizio di millennio è come se avessero perso la speranza. E quindi il lavoro che dobbiamo fare adesso è trasmettere speranza a tutti i giovani.

Da www.ilsussidiario.net (23 aprile 2011)