Un altro mondo in questo mondo

Pigi Bernareggi
Emiliano Ronzoni

È stato uno dei primi a seguire il fascino dell’incontro con don Giussani al liceo Berchet, in anni in cui il pensiero era scontro di opinioni, paradiso della confusione ideologica. Don Pigi Bernareggi richiama le ragioni di quegli inizi. Anche se don Giussani ne individuava una sola: «Che Lo conoscano. Che gli uomini conoscano Cristo». Il racconto di mille indizi che spalancano a una ragionevolezza che cambia la vita

Le ragioni di un inizio, un mercoledì pomeriggio al Meeting di Rimini. Il salone è pieno. Lì, nelle prime fila ci sono i suoi amici di sempre, quelli degli inizi, quelli del Berchet, e poi ci sono tanti altri, quelli che “il Pigi è sempre vissuto nel racconto degli amici degli amici”. Il don Pigi, quello che con altri per primo è andato in missione, in Brasile, a vivere le dimensioni del mondo e tiene botta, tiene duro. E poi ci sono tanti giovanissimi per i quali questo prete ordinato nel ‘67 in Brasile sarà solo un puro nome. Oppure uno da ricercare nella memoria perché “forse, sì, aspetta un momento, l’ho letto sulla storia del movimento di don Massimo Camisasca”. Don Pigi parla. Ha il ricordo esatto, preciso, momento per momento, di quando don Giussani, salendo i gradini del liceo Berchet, ha dato il la a questa storia. Ricorda. È giusto richiamare le ragioni, come suggerisce il titolo, al plurale. Anche se don Gius si era espresso al singolare sull’unica grande ragione per iniziare quello che si sarebbe fatto: «Perché l’unica ragione è che lo conoscano. Che gli uomini conoscano Cristo. Che non lo conoscano è l’unico peccato». «È giusto perché» - dice Pigi - «l’unica ragione, al singolare, stava stampata in chiaro nella testa del Gius». «Noi, quelli che stavano dall’altra parte, l’altro versante - continua Pigi -, non avevamo in testa niente ed è stato solo con il passare dei giorni, con l’accumularsi degli incontri che si sono andati aggregando spunti, indizi, brani di ragioni di varia natura, fuse poi nella grande ragionevolezza che decide di una vita».
Don Pigi inizia il suo racconto delle ragioni e disegna un suo personalissimo decalogo. Le elenca. Aveva davanti un mondo, viveva dentro un mondo, il mondo dei suoi quattordici anni, dei genitori, dei grandi, del Dopoguerra, del boom incipiente e del cattolicesimo morente e il Gius lo aveva preso, lui e gli altri, e lo aveva strappato e trascinato dentro un altro mondo, un altro universo.
Il suo racconto è dunque il racconto del contrasto di due mondi, il vecchio e quello nuovo in cui era stato risucchiato. E, miracolo, don Pigi, intanto che parla di sé, parla di noi. “Anch’io, anch’io”, verrebbe voglia di dire, man mano che le ragioni di quella scelta vengono snocciolate. “Anche a me, anche a me è successo come a te”. E non importa del quando, del dove e del come, magari una ragione si è aggiunta un’ora fa qui al Meeting, perché è la solita eterna storia dell’incontro con una presenza inaspettata. Ecco dunque i punti di un inizio secondo don Pigi.

Storia di un inizio
1) Il mondo da cui provenivo era un mondo problematicista. Il pensiero era scontro di opinioni. Tutte le opinioni erano relative ed erano quindi tutte, indistintamente e contemporaneamente, valide e non valide. «Mettiamo in discussione tutto fuorché il valore della discussione». La versione live del problematicismo? Il dialogo. Nell’universo in cui ci introduceva don Gius, tutto al contrario avveniva nell’ambito dell’evidenza. L’evidenza comunicata dalla persona dell’altro e paragonata con le evidenze della mia persona. Il giudizio. Come si poteva non scegliere per la presa che aveva l’evidenza del Gius?
2) I nostri anni erano il paradiso della confusione ideologica: ogni ora di lezione iniziava con un professore di un’ideologia diversa. Il professore radicale, il marxista leninista, il liberale, l’agnostico. C’era, e proclamata, l’ideologia, ma non c’era mai la traccia, la memoria di un loro maestro. E noi eravamo lì, studenti confusi al cambiare di ogni ora [Anche noi, anche noi!]. Giussani parlava della sua vita, nel suo raccontare c’era sempre la traccia di quel che avevano costituito i suoi maestri per lui e a noi sembrava fin di conoscerli. E al raggio scopriva sempre l’anima di verità in ogni intervento. Ascoltava parole che erano una sorpresa e una scoperta anche per lui. Quante volte l’abbiamo sentito scattare: «Cosa hai detto? Ripeti, ripeti». Così, a scuola, eravamo studenti davanti a professori. Con lui eravamo discepoli davanti a un maestro [Anche noi, anche noi!]. Potevamo rimanere indifferenti?
3) Il brodo di cultura in cui eravamo immersi si modulava sul Candide di Voltaire, a ognuno il crearsi e il coltivarsi il suo ridotto circolo di interessi. Una frase don Giussani amava sentirsi ripetere, perché sentiva perfetta nel descrivere il clima culturale di quegli anni: «Sapere sempre di più del sempre meno, fino a sapere tutto del nulla». E invece Gius apriva alle dimensioni del mondo, lanciava nel mondo. La sua misura era grande. Iniziative, convegni, incontri con personalità. Con lui la frase di Pio XII “Le dimensioni della Chiesa sono le dimensioni normali della vita del cristiano” era programma.
4) La noia. Ciò che massimamente faceva sentire il contrasto tra il mondo da cui provenivo e quello in cui ci introduceva il Gius era la noia. Passavo lunghe vacanze in Versilia, tutto il giorno a far niente, con compagnie a dire cavolate. “Smotivato”. A casa, a Milano, mi ero ridotto a guardare e annotare le targhe degli autobus che passavano sotto di me in via Plebiscito per vedere quanto tempo ci metteva lo stesso mezzo a fare il giro. La noia [anche noi, anche noi!]. E poi, quando Dino Quartana mi accalappiò e mi portò in Gs, ecco le vacanze in Versilia, dove prima mi “stufavo”, diventare un’altra cosa. Cercavo gli amici di Gs. E in spiaggia facevamo il raggio e ci spingevamo su fino alle Cinque Terre per trovare gli amici giessini milanesi e fare il raggio anche lì. E la spiaggia era tutta un’attività. Prima, non-senso e noia. Dopo, senso e gioia. Come facevo a non scegliere per quel mondo lì?

Un altro mondo
5) Come tanti adolescenti ero un po’ autolesionista. Timido. Non valgo niente, la stima di me stava sotto i calcagni. E con il Gius si rifioriva, si diventava liberi. Si facevano cose nuove, iniziative nelle scuole e fuori le scuole. Ed eravamo noi ragazzi a farle. C’era l’amicizia, si diventava capiraggio, perfino la segreteria, l’organizzazione era un modo di vivere insieme l’amicizia. Noi che per un brufolo avevamo paura a uscire di casa [Anche noi, anche noi!]. La scoperta dell’io. Don Giussani non era teso a scovare i leader come avveniva in ogni altra organizzazione, ma era teso a far saltar fuori il massimo da ciascuno di noi. Un altro mondo.
6) E intanto che vivevamo di sottostima, tutto intorno a noi ci parlava dell’affermazione di sé. Magari anche con il suggerimento della famiglia: devi primeggiare. Ricordo una volta che ci aveva convocati per una riunione. Noi lo aspettavamo perché era un po’ in ritardo, così che nell’attesa mi ero affacciato alla finestra e all’improvviso lo vidi venir su, solo, ondeggiando per corso di porta Romana, come un bambino abbandonato nelle mani di Dio. Qualcuno ci aveva raccontato che, il suo vocione roco, se l’era guadagnato a furia di sgolarsi con i ragazzi che gli avevano affidato negli oratori. A chi lo aveva rimproverato per il troppo impegno aveva risposto: «Meglio spendersi che finire». Così noi, guardando la sua figura, ci plasmavamo. Fra noi acquistavano rilievo non quelli che si imponevano, ma gli abbandonati, quelli che si abbandonavano. Così che noi, quasi senza saperlo, uscivamo dal mondo del potere per entrare in quello degli abbandonati a Dio.
7) E nelle gite? E in montagna? Si andava tutti in fila e i più deboli, le ragazze, erano messi tutti all’inizio della fila. Il passo lo dettavano loro. Perché nessuno doveva restare indietro, nella gita come nella considerazione degli altri. E nei giochi? Mai squadre prestabilite. Questi contro quelli. Le squadre erano sempre formate a pari e dispari così che tutti, nessuno escluso, fosse scelto. Ci scoprivamo fratelli. E anche questa è un’altra bella ragione per stare in quel mondo lì contro quel mondo là.

Vera autorità
8) Il mondo politico si accreditava con una strafottenza spaventosa. Strafottenza fascista e social comunista che fosse. Aveva da essere come dicevano loro per il solo fatto che erano loro a dirlo. Gius spiegava: per ubbidire occorre immedesimarsi talmente nelle ragioni della vera autorità che alla fine anche tu ti ritrovi autorità vera. Così noi imparavamo a essere autorevoli introducendoci nelle ragioni dell’altro.
9) La carriera, i soldi, il futuro. Il futuro era deciso in funzione del successo. E ognuno di noi si faceva la sua scelta autonoma, indipendente, in solitudine. Nella comunità, invece, la scelta era vissuta nel confronto, nell’aiuto a scegliere quel che meglio poteva rispondere al desiderio del cuore. Da una parte il mondo del monologo in solitudine, dall’altra, il mondo del confronto e del dialogo.
10) Gli anni 50 erano gli anni del boom. L’uomo incominciava ad evidenziarsi ed essere teorizzato come funzione del valore economico. L’uomo consumatore. E il Gius: quando porti un amico nuovo al raggio, non lo porti e poi lo abbandoni. Lo devi seguire sempre [anche con noi è stato fatto così, anche con noi!], diventi eternamente responsabile del tuo amico. Perché la persona vale ed è al di là di qualsiasi sua manifestazione.
11) Milano, la grande metropoli, con il suo frastuono che iniziava ad essere il frastuono della modernità. Il traffico, le luci, i ritrovi, il rock and roll e il Gius ci insegnava il silenzio. Una volta si era trovato davanti, in chiesa, una donna in lacrime, sfasciata perché una bomba le aveva distrutto la famiglia, il marito, i figli. «Si metta in silenzio, là, davanti al Cristo crocefisso». Il silenzio in vacanza, la sera con la decina del Rosario. Oppure prima di dormire. Diceva: «Silenzio dal piano terra fino al soffitto» e ssst, tutto taceva. Oppure il silenzio alla recita delle Ore durante la giornata, o il silenzio all’ascolto del coro. Il silenzio della Presenza e della memoria. Ma come si faceva a non essere affascinati? Ma questo non avveniva per caso. Tutto ciò veniva fuori da un universo nuovo. Era, è, un mondo nuovo.

La sfida
12) Una volta al liceo un amico si toglie il cappotto. Sulla giacca ha uno stemma dell’Azione cattolica. Lo abborda subito uno dei nostri capiraggio: «Vedo che sei cristiano. Vieni con noi? Ci troviamo il tal giorno su questo tema. Questo è l’ordine del giorno. Vieni?». Che differenza. Non il camaleontismo dei cristiani mimetizzati, ma la sfida. Il primo giornalino che editammo si chiamava La sfida. E anche questo era un bel passare da un mondo a un altro mondo.
13) E il cristianesimo? Imparavamo che non doveva sporcarsi con le cose del mondo. Le cose sacre non dovevano essere svilite. E il Gius al nostro cuore di giovani ripeteva con Terenzio: «Nulla di ciò che è umano ci è estraneo». E ci spronava a ritrovare il desiderio di Cristo in ogni agire dell’uomo. E noi partivamo con le schede di revisione critica dei contenuti. Da Giotto a Leopardi, fino alla fisica di Heisenberg.
Don Pigi ha concluso il racconto dei mille indizi, delle mille ragioni che spalancano alla grande ragionevolezza che decide di una vita. Di lui, andato prete in Brasile, della nostra che lo ascoltiamo. Anche a noi, ragione dopo ragione, è venuta una grande evidenza. L’età mitica dell’oro degli inizi è ora. Le sue mille ragioni sono le mille ragioni anche dell’ultimo giessino che incontra ora il movimento. Allora don Pigi veniva spalancato alle dimensioni del mondo, ora qui al Meeting il mondo te lo portano in casa. Vedi personalità politiche, incontri uomini di cultura, discuti e ragioni dei drammi delle regioni del mondo. Paragoni le evidenze della loro persona con le evidenze del tuo cuore. Giudichi. Lavi i piatti. Fai la rassegna stampa. Fai la segreteria. Sei protagonista. Fai silenzio con la preghiera. Canti e ascolti i canti. Pulisci i cessi da volontaria e il primo incontro che apre il Meeting è per te. Perché tu sei all’inizio della fila. E anche tu dialoghi e ti confronti perché il futuro risponda innanzitutto al desiderio del tuo cuore.