Un'amicizia che richiama all'altro la presenza di Cristo
Il XV anniversario del riconoscimento pontificio della
«Fraternità di Comunione e Liberazione»
1 Il segno che chiarisce la vita è un avvenimento in cui
tutta la persona è afferrata. Nella vita di ognuno di noi c'è
quel momento, quel segno, quell'avvenimento in cui tutto diventa chiaro.
E se anche la vita non si manterrà inevitabilmente nella chiarezza
di quell'inizio, tuttavia quel chiarore non sarà più eludibile
nei suoi effetti. In che modo? Che volto ha, che corpo ha il Signore che
si accompagna a noi nella vita? Il volto e il corpo Suo misterioso della
comunità dei fratelli.
Il quindicesimo anniversario del riconoscimento pontificio della Fraternità
di Comunione e Liberazione mi trova più lietamente grato allo Spirito
del Signore che in questi anni ci ha accompagnati, sostenendo la nostra
obbedienza - pur dentro limiti e tradimenti, e quindi umiliazioni - a un
metodo di vita cristiana che la Chiesa non solo non ha condannato, ma ha
approvato. Come a dire: «Questa è una strada su cui potete andare».
È quel che mi disse Paolo VI l'ultima volta che lo vidi, il 23 marzo
1975: «Coraggio, questa è la strada: vada avanti così».
Senza sentire le spalle appoggiate a queste parole, non si può camminare
nella storia insieme a fratelli uomini. È il Destino, infatti, Gesù
di Nazareth Figlio di Dio, che solo può determinare in modo migliore
la vita di ogni giorno! E lo fa raggiungendoci attraverso un incontro umano,
in cui l'incarnato Destino agisce nella persona con la libertà del
suo misterioso Spirito (che all'uomo appare inesplicabile e casuale). Così,
quello che hai incontrato, che in qualche modo ti ha toccato, che ti ha
interessato, ti chiama a rispondere. Si tratta, dunque, di una chiamata
o, per usare la parola della Chiesa, di una «vocazione»: per questo
la Fraternità di Comunione e Liberazione è sentita come «segno
che chiarisce la vita».
2 Chi è stato attratto da questo sentore, da questa parola,
da questo accento diverso, da questa concezione diversa come modalità
comunicativa e pedagogica, chi in qualche modo è stato toccato da
questa esperienza deve innanzitutto impegnarsi nel grande compito del richiamo
vicendevole alla memoria di Cristo, «Colui che è tra
noi», adesso, qui, come disse anni fa un ragazzino, matricola dell'Università
Cattolica, all'inizio di un suo intervento in un'assemblea. È il
grande compito di richiamarci l'un l'altro a riconoscere una Presenza.
Perché Memoria vuol dire riconoscere una presenza.
3 Questo è il dono proprio dello Spirito, che diventa non
solo riconoscimento di questa Presenza, ma anche moralità generativa
di un popolo, in quanto crea un dovere di obbedienza a quello che ognuno
di noi ha incontrato come il segno per la sua vita. San Paolo ha definito
così il merito di Gesù uomo: «Fu obbediente fino alla
morte». Obbediente.
4 Nella terminologia del nostro movimento si chiama "Fraternità"
quell'amicizia che sente come suo compito il richiamare all'altro la presenza
di Cristo. La Fraternità è fatta di persone che si riconoscono
amiche e si raccolgono periodicamente per richiamare la memoria di Cristo
presente e per sviluppare una consapevolezza di questo carica di ragioni.
Gente che era estranea diventa amica, persone che hanno figli, genitori,
uomini e donne, intimi fra loro, si ritrovano così spalancati a una
profondità di affezione che prima non conoscevano, perché
l'affezione più grande è la passione per il destino e la verità
propria e dell'altro, per la bellezza, splendor veritatis - splendore
di verità -, come scrive il Papa Giovanni Paolo II nella sua Enciclica.
5 Ne nasce lo spettacolo di brani di un popolo, di società
diversa, definita da un clima diverso, quello stesso di cui parla san Paolo
quando afferma: «Stimate gli altri migliori di voi». Un clima,
dunque, in cui diventa possibile una stima vicendevole. L'umiltà
che ne nasce è la caratteristica fondamentale (altro che orgoglio
o presunzione!) di chi vuole conoscere Cristo. Sull'esempio di san Francesco
d'Assisi, che poteva scrivere nella sua «Lettera a un ministro»
(del culto): «Ama coloro che agiscono con te in questo modo e non esigere
da loro altro se non ciò che il Signore darà a te». Come
dà a te quel che dà, e non si può pretendere di più
da te, così tu non pretendere di più dagli altri, più
di quello che possono dare. E lo conferma, poi, nella frase più impressionante:
«In questo amali» - in quello che il Signore dà loro capacità
di fare, amali - «e non pretendere che diventino cristiani migliori»,
non pretendere che diventino come vuoi tu, cioè secondo un tuo progetto.
Per questo ognuno di noi, raggiunto dalla grande Presenza, è chiamato
ad essere ricostruttore di case distrutte. Quello che Gesù ha fatto
si ripercuote anche dove sono io, dove sei tu tutti i giorni. Ognuno di
noi è, tutti i giorni - se solo vi aderisce con sincerità
-, la bontà di Gesù, la sua volontà di bene per l'uomo
che vive in questi tempi tristi e oscuri: «Si voltò e vide tutti
quelli che lo seguivano, ed ebbe pietà di loro perché erano
come un grande gregge senza pastore» (Mc 6,34).
di Luigi Giussani, L'Osservatore Romano 11 febbraio 1997