Un mistero di presenza di perdono e resurrezione
Parola tra noi
Tertium Millennium, n. 5, novembre 1997
(rivista del Comitato Centrale del Grande Giubileo dell'anno 2000)
Il senso della vita e la sua verità, ciò per cui si nasce,
si ha avuto la carne costitutiva del corpo, si svolgono i pensieri che zampillano,
ci si preoccupa di questo o di quello, per cui si passa dal giorno alla
notte e dalla notte al giorno, e si rincorrono i mesi, gli anni; il senso
di tutto questo non coincide con quello che possiamo immaginare o decidere
noi stessi: è misterioso. Nessuno sa, nessun profeta: «neanche
il Figlio, ma il Padre solo», dice il Santo Evangelo.
Il senso della nostra vita è misterioso; è "nelle mani
di Dio", come dicevano i nostri vecchi. "Nelle mani di Dio",
come qualche volta riusciamo a dire anche noi, con minore forza e verità.
Ma questo "essere nelle mani di Dio" innanzitutto vuol dire che
qualunque cosa noi si subisca, o qualunque cosa attraverso la quale noi
quotidianamente passiamo, qualunque cosa accada, tutto è per un positivo,
per un bene. Non si può staccare l'idea del Mistero di Dio
dalla parola bene.
Tutto è nelle mani di Dio e quindi tutto è per il bene. Che
avvertimento più grande può dare un padre ai suoi figli che
egli si soffermi a guardare nella prospettiva del loro destino? Che tutto
è bene.
Ora, questo bene è affermato come senso totale del tempo, e quindi
di ogni azione con cui l'uomo tende al suo destino.
C'è un nome che questo bene identifica: come natura e origine, come
possibilità nel tempo e come soluzione finale del dramma - esistenziale
e storico - dell'umano. È il nome del bene nella sua essenza originale
e quindi ultima; quel nome indica una persona umana che si pone nella storia
di tutti gli uomini e nella vita del singolo; quel nome appare in un momento
preciso del tempo come la sostanza stessa del bene, la sorgente di ogni
bene che detta in cosa il bene consista, definitivamente: il Bene che già
tocca il tempo. «Quindi giunsero, in un momento predeterminato, un
momento nel tempo e del tempo,/ Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo,
in ciò che noi chiamiamo storia: sezionando, bisecando il mondo del
tempo.../ Un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento:
poiché senza significato non c'è tempo, e quel momento di
tempo diede il significato» (T. S. Eliot, Cori da "La Rocca").
Quel nome nella storia umana è Gesù di Nazareth.
Cristo è un uomo che rivela identificato in se stesso il comunicarsi,
il farsi conoscere dall'uomo del Mistero da cui si originano le cose, di
cui le cose sono fatte e a cui sono destinate. Il Mistero che fa tutte le
cose si identifica con Gesù Cristo. E poiché quello è
il nome di uno fra noi, chi lo riconosce e lo segue come hanno fatto
Giovanni e Andrea (cfr. Gv 1,35ss.) può rendere improvvisamente
diverso lo sguardo tra di noi, lo sguardo che portiamo sulle cose, il sentimento
del tempo che ci passa tra le mani e il peso del frutto del nostro lavoro.
Come è rarefatto nel nostro discorrere quotidiano questo "Tu",
che è più profondamente vero del tu che dai a tuo figlio,
a tua moglie e a tuo marito, del tu che ci diamo tra di noi. Che il significato
(o la verità) del mondo e della vita sconvolga totalmente, ecceda
totalmente, debordi totalmente i nostri modi di pensare, di misurare, di
esigere, di pretendere, coincidendo col Mistero di felicità e di
bene che porta un nome perché si è incarnato, è diventato
uno fra noi ed è rimasto fra noi!
Ma allora il dire "Tu" a questa presenza dovrebbe diventare il
bisogno quotidianamente più pressante, l'impeto di rapporto che attraversa,
rendendoli diversi, tutti i rapporti; chiunque io sia, comunque io sia,
santo o peccatore, mai trascurando che ciò che definisce il nostro
essere peccatore è sovranamente, profondamente, globalmente la dimenticanza,
che a venti, trenta, quarant'anni, non può essere quella del bambino,
che fa quasi tenerezza. La nostra dimenticanza è una radice cattiva,
è una menzogna, è una radice di menzogna. E, infatti, è
il padre della menzogna - Satana - che la favorisce.
Questa è la lotta che qualifica la vita del mondo, che segna il valore
del tempo: la lotta tra i figli delle tenebre, tra chi sceglie di essere
figlio della dimenticanza, generato dal padre della menzogna, e quindi accanitamente
legato alla dimenticanza, e i figli della luce, che gridano a Colui che,
presente per la nostra debolezza e oscurità di camminatori nel mondo,
è come assente.
Tu, Signore, che sei ancora come assente, diventa presente nella mia vita!
Alzandoci ogni mattina, diciamo per prima cosa col cuore questo "Tu"
a Colui che ci sta accompagnando, al Destino che è Lui stesso, per
il quale ci ha fatto e che costituisce la stessa carne, le stesse ossa della
nostra natura, della natura della nostra persona. Una giornata passata per
grazia di Dio nella coscienza della Sua presenza, del rapporto con Lui,
è una giornata vittoriosa, anche se è stata piena di dolori.
Ora, questo significato misterioso, questa sapienza misteriosa che nessuno
può immaginare, e che anche noi dimentichiamo continuamente, è
Gesù Cristo, è l'uomo Cristo, un uomo nato da una donna.
Il Mistero di Dio che ha fatto tutto il mondo non poteva arrivare vicino
a noi più realisticamente di così. Il Mistero di questa sapienza
che governa il mondo, per cui è fatto il mondo, è Cristo,
nato dalla Madonna. Ciò che rende sapiente la nostra giornata, il
misterioso senso che dà sostegno e sostentamento alle nostre giornate,
che dà significato al nostro vivere quotidiano, è Gesù
Cristo.
La mia azione non è definita solo dai fattori che la costituiscono
dal di dentro, per cui posso analizzarla e scoprirne la fattura; ogni azione
è definita ultimamente da un fattore che la supera. Se questo
è Cristo, la sua figura fonda il rapporto tra l'azione e il suo destino
come perdono.
Il perdono è un fattore che viene dal di fuori dell'azione; senza
di esso l'azione svanirebbe in un niente cattivo, non potremmo ricordarla,
non sarebbe avvento di niente, non stabilirebbe una storia, non costruirebbe
nulla.
È proprio questo fattore che viene dal di fuori il tocco del Mistero
nella nostra vita, e l'uomo lo capisce quando si rivela; ed esso si rivela
entrando nella vita del singolo e quindi nella società e nella storia
come perdono. Se riflettessimo bene, ci accorgeremmo che non potremmo
riprendere rapporto con la moglie o col marito, con l'amico, se non cadendo
di fronte al ricordo di un male subito in umiliante dimenticanza - simbolo
e segno del niente in cui tutto crolla -. Il nostro rapporto non potrebbe
"durare" senza cadere nella dimenticanza, se non ci lasciassimo
prendere da un fattore più grande di noi che diventa perdono nel
vivere il rapporto. E questo è così imponente per quanto riguarda
il nostro esistere: senza perdono noi non potremmo esistere, non potremmo
continuare a vivere.
Io non posso considerare la mia azione se non dentro i termini di quel perdono
che sopraggiunge dal di fuori di me, cioè dal Mistero che fa le cose
e mi investe e mi abbraccia e mi dà coraggio, e mi rende capace di
continuità fino alla ripresa. La presenza di questo fattore di perdono
che ha un nome - Gesù -, quanto più si moltiplicasse come
ricordo nella giornata, quanto più la sua memoria diventasse familiare,
tanto più noi comprenderemmo il valore delle nostre azioni, sia nel
loro primo aspetto misterioso che ci lancia verso la felicità; sia
nel loro secondo aspetto che è delusione per la propria incapacità,
dolore e approssimazione, e nello stesso tempo slancio pieno di gratitudine
della positività finale per il perdono di cui quello che faccio viene
investito, rendendo quindi possibile l'esperienza del compimento.
È ciò che accade al bambino che ha commesso un errore e
nei cui occhi domina non lui che ha rotto qualche cosa, ma la madre che
lo guarda sorridendo, il padre che lo abbraccia. Porre davanti agli occhi
il nostro io come preoccupato ricordo di un soggetto malefico è un'affermazione
ingiusta di qualcosa che è superato, purificato, redento. È
più giusto guardare a te, o Cristo, che mi perdoni che non a me che
ho sbagliato. La definizione della nostra persona e dei nostri atti non
è compiuta se non tiene presente l'incombente amore da cui è
abbracciata in qualunque caso e che si chiama perdono come fenomeno, ma
si chiama Gesù, Figlio del Padre, come espressione della natura del
mistero dell'Essere verso di noi. Tam pater nemo, così padre nessuno,
dicevano gli antichi.
Perciò la presenza nella nostra coscienza di quel "Tu"
cui abbiamo accennato è importante per comprendere quello che facciamo,
per reintegrare nella sanità quello che è male in noi, per
investire di gratuità quello che di bene avviene in noi, per spalancare
la speranza al futuro, e quindi rendere la giornata presente, il dramma
presente, storia, fattore di una storia buona.
Cristo incombe come significato del tuo tempo sull'istante che vivi.
«È un fantasma», dicevano gli apostoli quando lo hanno
visto sul lago in tempesta. Cristo non è un fantasma, è la
presenza costitutiva del valore dell'azione, tanto è vero che rende
possibile la continuità nel tempo, la generazione nuova, il perdono.
Cristo incombe sull'istante effimero rendendolo storia, aprendolo, impedendo
che tutto finisca in niente. Ciò che impedisce questa fine, ciò
che rende storia l'istante, ciò per cui siamo fatti e che corrisponde
alla natura del nostro cuore è Cristo Verbo fatto carne, che ci accompagna
tutti i giorni fino alla fine del mondo.
Questo uomo-Dio - Gesù di Nazareth morto e risorto e presente nella
Chiesa, Suo Corpo misterioso - definisce l'istante come inizio di una storia
da cui si genera il volto eterno della persona umana e della compagnia umana.
L'Eterno abbraccia e trascina con sé ogni virgola della nostra vita
presente.
C'è un gesto in cui questa presenza di Cristo che perdona, che costituisce
l'eccedenza dell'istante per cui esso non si riduce al passato, c'è
un gesto in cui questa Presenza ci abbraccia nel perdono che rilancia il
presente come inizio di una storia senza fine: il sacramento dell'Eucaristia.
Il Mistero del perdono e della Resurrezione abbraccia, purificandola, la
mia azione; rende l'azione, per quanto piccola possa essere, "merito",
rende cioè proporzionato all'eterno l'effimero della nostra vita.
L'Eucaristia come gesto quotidiano è il segno efficace del Mistero
della Resurrezione che rende ragionevolmente accettabile l'altrimenti incompiuto
umano; è il segno efficace dell'eterno che emerge nel contingente,
nell'effimero della mia vita; è il segno più grande di ciò
che rende la mia vita storia di verità e di amore. di Luigi Giussani