Un pomeriggio un amico mi chiama e mi dice di raggiungerlo nella piazza vicino a casa perché c’è una sorpresa per me. Lo raggiungo e con lui vedo Amin, l’arabo musulmano israeliano che, ai tempi dell’università, io e altri amici del Clu avevamo ospitato in attesa di trovargli un posto in un collegio universitario. Con lui era nata una amicizia significativa, perché era rimasto colpito dalla nostra accoglienza, dal nostro modo di stare insieme e di vivere la fede cristiana. Aveva avuto anche un incontro con don Giussani, che era stato entusiasta di conoscere una persona come Amin.

Dopo trent’anni è riuscito a rintracciarci e ha voluto rivederci, farci conoscere sua moglie che ha portato con sé in questo viaggio in Italia. Mi racconta che il giorno prima è stato in università a cercarci. Aveva chiesto informazioni agli studenti dicendo: «Io sono dei Cattolici Popolari, dove sono gli altri?». Sono colpito da questo senso di appartenenza che non è reso meno forte dal fatto che Amin sia musulmano e che il nome “Cattolici Popolari” non esista più.

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Mi dice che quando a Nazareth, il luogo in cui lavora, vede gruppi di pellegrini, li osserva nella speranza di scorgere qualche viso degli amici italiani, perché non ha dimenticato il modo con cui lo abbiamo accolto e ha insegnato ai suoi figli a essere ospitali come noi. Si è reso conto che gli anni di università trascorsi insieme a noi a Pavia hanno lasciato in lui un segno profondo, tanto che si ricorda i nomi di molti e ci chiede loro notizie.
Questo incontro ha rinnovato in noi la consapevolezza della profondità di significato contenuta anche in gesti semplici, come quelli vissuti tanti anni fa con Amin.

Fabrizio, Pavia