Macerata. Enzo e l'avventura che non finisce

A pochi giorni dall'anniversario della morte di Piccinini, un’universitaria racconta cosa ha voluto dire coinvolgersi nella mostra dedicata al chirurgo modenese

Enzo Piccinini diceva: «Ogni attimo diventa occasione "per". Normalmente il mondo si divide in fortunati e sfortunati e poi ci sono occasioni favorevoli e sfavorevoli, per il cristiano no, per il cristiano tutto è occasione, per che cosa? Perché sia intravisto, in quel che sarebbe misurato solo come sfortuna o avversità, un significato, vivendo il quale puoi vivere tutto da uomo. Se no devi sempre sperare che qualcosa non succeda come il dolore». Ecco io vorrei provare a raccontare come questi giorni (dal 3 al 7 aprile) in cui abbiamo portato la mostra su Piccinini a Macerata, visitata da centinaia di persone, siano stati l’opportunità di verificare la verità di queste parole per me.

Il primo che ha provato a coinvolgermi in questo lavoro è stato il mio amico Tommaso che mi ha chiamato per dirmi che «il nostro centro culturale vuole portare la mostra su Piccinini fatta dagli universitari di Bologna per il Campus by Night ed esposta poi anche al Meeting. Voi del Clu partecipate? Ti dico la verità ho alcuni dubbi, però se decidono di portarla ci sarà un motivo, quindi seguo gli adulti». Io ho prontamente declinato l’invito perché ero in sessione e stavo provando anche a scrivere l’indice della tesi: non volevo proprio l’ennesimo impegno. Però, mi aveva incuriosito: Tommaso non è uno che segue così senza pensarci. Perché, allora, aveva deciso di dare una mano anche se aveva dei dubbi? Nei giorni successivi, poi, ho ricevuto altri inviti a partecipare da parte di adulti, per cui alla fine, presa un po’ dall’insistenza, ma soprattutto con le parole di Tommi ancora in testa, ho detto sì. Ero ancora titubante e svogliata, per questo ho chiesto fin da subito ad alcuni amici del Clu di darmi una mano e, da lì, è iniziata l’avventura.

Il primo contraccolpo c’è stato quando ho letto che Piccinini diceva che non si potevano “salvare capra e cavoli”, perché l’incontro che aveva fatto, che assumeva la forma concreta dell’amicizia con don Giussani e gli altri amici del movimento, e da cui partiva l’intuizione della presenza di Cristo nella sua vita, lo portava a vivere in funzione di una totalità determinante, che viveva anche nel lavoro da chirurgo. E, allora, c’è stato subito uno stridore: effettivamente quello che faccio sempre io è proprio provare a salvare capra e cavoli e cercare di accontentare tutti, ma spesso mi accorgo che poi fino in fondo non mi corrisponde, o meglio non vivo così intensamente come il chirurgo modenese. È sorto, quindi, il primo dubbio concreto: ma io perché studio Giurisprudenza? Perché voglio andare a fare il notaio? C’è una corrispondenza dietro questo o solo il fatto che se diventassi notaio sarei sistemata per tutta la vita? Perché quello che desidero è vivere il mio desiderio di felicità anche nello studio e nel lavoro che andrò a fare, proprio come faceva Enzo.

Ma questa è stata solo la prima delle tante domande che sono venute fuori, perché nel corso dei cinque giorni ho fatto una ventina di viste guidate e ognuna è stata occasione di notare quel particolare in più che diventava ipotesi di verifica. Per esempio, nella mostra ci sono due pannelli: uno in cui Piccinini dice che l’amicizia dei ragazzi di One Way gli faceva iniziare a riscoprire la sua formazione cattolica come ragionevole; il secondo, invece, in cui si descrive la reazione di Enzo di fronte a don Giussani mentre teneva una lezione in cui parlava di “apostolicità” e “cattolicità” come corrispondenti anche umanamente, dalla quale è partita la verifica di Enzo, per cui se Dio si è fatto uomo vuol dire che ciò che abbiamo sempre cercato, anche inconsapevolmente, è qui, è presente, e si è fatto compagno di Enzo e di tutti gli uomini.

Di conseguenza, per me è stato quasi scontato pensare che se questo cammino era stato possibile per lui, allora sarebbe potuto accadere anche a me e da lì subito la sfida: come Cristo era presente nella mia vita proprio a partire da quella mostra alla quale inizialmente neanche ero convinta di partecipare? La risposta è stata semplice grazie a un’amicizia che insistentemente mi aveva provocato a questo lavoro, quella con Tommaso che poi si è estesa a tutti quelli del Centro culturale, che ho riscoperto amici anche se molti con tanti anni più di me. Addirittura con alcuni neppure ho parlato, ma li ho comunque visti tutti animati dallo stesso desiderio totale di felicità che ho avuto io in quei giorni.

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Ho vissuto questa amicizia e questa corrispondenza anche con gli ospiti che abbiamo invitato per l’incontro di presentazione del 6 aprile: Marco Ercolani (studente e tra i curatori della mostra), Giampaolo Ugolini (medico-chirurgo e allievo di Piccinini) e Alberto Tazioli (professore universitario e amico di Enzo). In particolare, mi ha colpito la testimonianza di Marco che, come me, non ha conosciuto personalmente Enzo, ma folgorato dall’incontro con lui ha iniziato a prendere sul serio il suo desiderio di felicità, fino a decidere di investire tutte le sue energie e il suo tempo negli studi al Conservatorio lasciando l’università, il suo piano B.

La mostra ora è finita, ma grazie a Dio l’avventura non finisce. Infatti, inizio a capire cosa significa che Piccinini non ha mai trovato una risposta che esaurisse le sue domande, ma che le centuplicasse: è quello che mi sta accadendo adesso ed è un’esperienza nuova e avvincente per me che, spesso, tendo a fare l’opposto, sopprimendo le mie domande.
Giulia, Macerata