Inquieti ma non da soli

Di fronte all’urgenza di significato del vivere tutti hanno bisogno di vera compagnia. Alla Giornata d'inizio anno del Clu della Lombardia, l'audacia di una proposta che non teme il dolore. Dentro e fuori di noi

Sabato 5 ottobre, circa 1.700 universitari provenienti da tutta la Lombardia si sono radunati al PalaDesio per la Giornata d’inizio anno del Clu. Guidati da don Francesco Ferrari, ci siamo ritrovati con il desiderio di rimetterci davanti al cammino che ci attende, di iniziarlo insieme, o quantomeno scoprire di cosa si tratta. A riunirci non è stata una comunanza di passioni o particolari caratteristiche, nemmeno la nostra fede cristiana è una caratteristica comune a tutti; eravamo lì perché qualcuno ci aveva invitati; non si trattava però di un invito qualunque, è l’invito che Cristo fa alla nostra vita.

Uno dei canti che abbiamo ascoltato, Sigh No More (Mumford and Sons), dice: «Sii un po’ più l’uomo per cui sei stato fatto. C’è un disegno, un piano, un grido del mio cuore per vedere la bellezza dell’amore come è stato pensato per essere». In queste parole si può leggere la ragione per cui siamo qua: vogliamo guardare insieme al grido del nostro cuore, verificare se per noi un disegno c’è, compiere la nostra umanità; non in astratto, ma su una strada precisa che ci è stata proposta, quella cristiana. Percepire che la propria vita richiede un senso, un destino, qualcosa per cui valga la pena viverla, è talvolta suggestivo, ma intimamente spaventa, perché il dolore che vediamo intorno a noi e in noi stessi è obiezione all’ipotesi che ci possa essere un destino buono. Eppure, qualcuno ci ha chiamati qui per prendere seriamente il mio e il tuo bisogno di felicità totale nella vita, «perché non possiamo tornare indietro su quello che è stato fatto, su ciò che è passato, quindi permetteteci di ricominciare da qui» (traduzione da Trusty and True di Damien Rice, altro brano ascoltato durante la giornata).

La prima testimonianza che abbiamo sentito (in cui Justine ha raccontato di come ha riscoperto la sua fede incontrando alcuni ragazzi del CLU mentre studiava all’estero) ha descritto molto bene questo presentimento di una compagnia che ti convoca, ti desidera, ti offre la strada per la tua felicità. L’ipotesi che, nonostante tutto, si possa vivere provando a rispondere al proprio bisogno di senso ogni secondo della vita può sembrare illusoria: chi mai oserebbe vivere con questa tensione continua? Questa compagnia ha l’audacia di scommettere sul desiderio più profondo dell’uomo perché a sua volta è stata convocata da Cristo, che continuamente si offre all’uomo come risposta al suo bisogno ultimo.

Durante la Giornata d’inizio Martino, studente di Economia in Bocconi, ha raccontato di come lui e gli amici del CLU si sono trovati a offrire tempo e amicizia a una ragazza, che aveva chiesto compagnia dopo che la sua coinquilina era morta per un tumore. La storia di questa ragazza e di questi amici mostra, come diceva Martino, che noi abbiamo bisogno di non essere soli quando veniamo messi davanti all’urgenza di significato che porta con sé il fatto stesso di essere in vita. Don Francesco ci ha indicato quindi i due compiti della nostra amicizia: anzitutto vivere la vita ordinaria provando ad andare a fondo di quel presentimento di felicità, di vero e di bene per cui è fatta; in secondo luogo, donarla, offrirla a tutti gratuitamente perché gratuitamente l’abbiamo ricevuta.

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Durante la Messa, don Alberto Frigerio ha detto che l’alternativa per l’uomo è tra fede e idolatria, perché tutti gli uomini devono trovare in qualcosa la ragione per cui vivere. Questa provocazione mi è sembrata molto vera e mi ha fatto riflettere sul fatto che anche la mia fede ha bisogno di essere riscoperta e vissuta continuamente, non si riduce a una mia immagine ma coincide con la mia umanità e la mia verità. Verificare insieme che seguendo Cristo e la Chiesa si diventa più uomini, questo è l’invito che trattengo dalla Giornata d’inizio, un invito che sinceramente mi lascia inquieto, teso a questo lavoro di verifica, ma profondamente grato, perché riconosco di essere chiamato a fare questo lavoro non da solo e quindi che l’altro non è un ostacolo alla mia felicità, ma piuttosto compagno indispensabile verso essa. Questo rende la nostra scalcagnata compagnia, come ci diceva don Francesco, santa, in quanto ci rimette continuamente davanti al nostro bisogno e ci offre la strada per rispondere a esso.
Giacomo, Milano