«Quando ho iniziato a capire l'orrore»

Ultimo articolo della serie. All'indomani della tragedia americana all'editorialista irlandese John Waters mostrano una foto: una coppia che cade dal World Trade Center. E di colpo si spalanca un mondo... (dall'Irish Times, settembre 2001)
John Waters*

Pensavo di aver compreso l’orrore di quanto era accaduto a Manhattan finché qualcuno non mi ha fatto notare una foto pubblicata da una rivista americana. Si vedeva la gente che si lanciava da una delle due torri prima che crollasse. Tra tutte le sagome di uomini e donne che precipitavano incontro alla morte, ce n’erano due, un uomo e una donna, che sembravano tenersi per mano.
È ormai un luogo comune dire che la tragedia del World Trade Center assomigliava al più incredibile film di fantascienza. Stavo guardando la scena pochi minuti dopo che il primo aereo aveva colpito la prima torre. C’era qualcosa di irreale, di incomprensibile in tutto ciò. Mi passò per la mente l’idea che abbiamo sviluppato forme di tecnologia capaci di mostrarci simili tragedie, ma non abbiamo nessuno strumento per intervenire.
Quando le torri cominciarono a cadere, la scena era in effetti spettacolare, e bisognava sforzarsi di tener presente che potevano esserci ancora migliaia di persone là dentro. Tante volte abbiamo visto immagini simili, create con effetti speciali, capaci di terrorizzarci pur sapendo che nulla era reale. Questa duplice risposta emotiva non si è cancellata nella mia memoria finché non mi sono costretto a guardare quella foto.
E ho dovuto costringermi a farlo. Quell’immagine andava oltre ogni parola, convinzione o comprensione, eppure in qualche modo ha permesso che cominciassi a capire. Il suo orrore, che è cominciato ad apparirmi chiaro, stava nella storia che poteva celarsi dietro a quello scatto.
Chi erano, quest’uomo e questa donna? Cosa erano l’uno per l’altra? Erano due innamorati o solo buoni amici? Cosa avevano pensato quella mattina, lavandosi i denti? Erano arrivati al World Trade Center poco prima, mano nella mano? Erano saliti insieme in ascensore? Forse erano soli, e ne avevano approfittato per sbaciucchiarsi? Avevano indugiato un momento in corridoio prima di andare alle rispettive scrivanie, accordandosi per il pranzo? Forse uno dei due aveva chiamato l’altro appena si erano separati? E nel fatidico momento in cui l’aereo aveva colpito la loro torre si erano precipitati a cercarsi, nell’improvvisa certezza che era giunta la fine? Che cosa avevano detto mentre cominciavano a capire cosa stava accadendo alla loro bella vita, alle speranze e ai sogni, ai loro piani di un futuro insieme? Che parole hanno usato, quest’uomo e questa donna, per esprimere l’inizio della fine della loro vita? Chi di loro ha fatto la prima mossa, chi ha avuto per primo il coraggio di esprimere in parole la paurosa logica della loro situazione? È stato lui a dirlo a lei, o lei a dire a lui “Stiamo per morire”? Come ha cominciato a farsi strada in loro questa coscienza? Forse entrambi, contemporaneamente, si sono visti scorrere davanti agli occhi la loro vita? Hanno avuto il tempo di scrutare nel tremendo baratro che si apriva tra ciò che essi avevano immaginato per la loro vita insieme e ciò che sarebbero stati i minuti o le ore che restavano, se essi non avessero preso in mano la propria vita? Come hanno potuto farsi una ragione di quella mostruosità, nel breve tempo rimasto loro per prendere una decisione? Oppure erano semplicemente troppo terrorizzati per riuscire a dir qualcosa? Forse la situazione e la sua spaventosa soluzione erano così ovvie che non era necessario né possibile dire nulla? Si sono scambiati solo le lacrime? È stato l’uomo a condurre la donna, o lei a condurre lui, in silenzio, verso la finestra, al loro comune destino? Cosa provavano, in quelle stanze devastate, in quelle torri ferite a morte, in quegli istanti finali, mentre tutto il mondo guardava attonito, senza poter far nulla, incapace persino di cogliere la differenza tra tutto questo e l’ultimo film dell’Uomo Ragno? C’era una logica in quel gesto finale? Era basato sulla ineluttabile coscienza della realtà che noi ora conosciamo fin troppo bene? Sapevano con certezza che la torre sarebbe crollata? Non c’era un barlume di speranza? È stata una scelta consapevole la loro, quella di lanciarsi nel vuoto piuttosto che bruciare vivi? Forse hanno invocato un miracolo, magari di cascare su un terrazzino sotto il livello dell’incendio. C’entrava Dio in tutto ciò? Hanno deciso di abbandonare questo mondo mano nella mano, per entrare così nell’altro mondo? Forse uno di loro, o entrambi, hanno fumato un’ultima sigaretta, o non l’hanno fatto perché era contro la legge? Sono saltati nello stesso istante, o uno dei due ha dovuto tirarsi dietro l’altro? Si sono detti le loro ultime parole d’amore? Forse c’erano altre persone in coda sul ballatoio, dietro di loro, così hanno dovuto lanciarsi in fretta, senza darsi nemmeno un addio, o buon viaggio, o ci vediamo nell’aldilà? Si sono parlati mentre volavano giù? Quanto ci è voluto prima che si schiantassero al suolo – quanto, intendo, in tempo reale – la stessa lunghezza di tempo che ci vuole per cosa? Per girare la pagina di un giornale o cambiare canale in TV? Hanno avuto il tempo di guardarsi attorno un’ultima volta, di gettare uno sguardo sul mondo che avevano dovuto abbandonare così all’improvviso? Forse uno di loro ha scorto in lontananza quello che poteva essere il flash di una macchina fotografica, prima che il cielo divampasse nella loro testa?
Io spero e prego che loro due ora siano assieme, quell’uomo e quella donna che abbiamo visto cadere come un tutt’uno, e che possano ricordare i loro sogni d’amore sulla terra e ridere di come fossero stati disposti ad accontentarsi di poco. Riposino nella pace e nell’amore.

*giornalista irlandese ed editorialista dell'Irish Times