Gli "ostelli" di Dio, dall'Italia ad Asunción

In occasione dei dieci anni dell'Hospice, venerdì 16 dicembre al Pirellone si è tenuta una serata per raccontare l'esperienza della clinica e per sostenere l'opera di Padre Aldo in Paraguay. Due realtà nate rispondendo a una domanda
Davide Ori

«Ma adesso mi abbandonate?». L’avventura dell’Hospice è iniziata così, dieci anni fa, raccogliendo l’appello di ammalati e famiglie. Prendersi cura degli incurabili: questa è la sfida che viene quotidianamente affrontata dall’equipe che opera all’interno dell’Hospice per malati oncologici dell’ospedale Sacco di Milano.
In occasione del decennale il Sacco e la clinica privata Columbus hanno organizzato due iniziative per la serata di venerdì 16 dicembre al Pirellone: la presentazione del volume Il grande campo della vita di Fabio Cavallari, che raccoglie una serie di testimonianze sulla vita dell’Hospice, e il lancio della campagna “Apadrinar un paciente” per il sostegno a distanza dell’opera di padre Aldo Trento, missionario della Fraternità San Carlo Borromeo, e della sua clinica in Paraguay (Asunción), gemellata con l’ospedale Sacco dal 2007.
Dall’Italia al Paraguay l’impegno è lo stesso: accogliere i malati terminali, assistendoli oltre l’impotenza delle medicine, e accompagnandoli a vivere gli ultimi istanti. È la stessa urgenza che fin dal Medioevo aveva fatto nascere gli ospedali, luoghi dove accompagnare i malati, come anticamente erano chiamati in Francia: hôtels-Dieu, “ostelli di Dio”. «Non sono nati perché si sapesse curare, ma per assistere chi soffre e muore», spiega Giancarlo Cesana, Presidente della Fondazione Policlinico, nella prefazione di Case di Dio Ospedali degli uomini, di Francesco Agnoli. La dottoressa Elena Piazza, responsabile del dipartimento di Oncologia del Sacco, chiarisce qual è l’obbiettivo della sua clinica: «Offrire compagnia e cure adeguate ai pazienti per tutto il tempo che la vita concede loro».
Così l’Hospice quest’anno spegne dieci candeline. Ma, come ricorda la dottoressa Piazza, «già nel 1995, quindi prima che qualsiasi legislazione tentasse una regolamentazione, al Sacco avevamo avviato un progetto di assistenza domiciliare in collaborazione con l’associazione Marco Semenza e la Fondazione Maddalena Grassi. Ma per completare il circuito assistenziale del nostro dipartimento e garantire la continuità delle cure, mancava ancora un anello: oltre alla degenza per acuti, il day hospital, l’attività ambulatoriale e l’assistenza domiciliare, era necessaria una struttura per quei pazienti che andavano a morire a casa ma che al domicilio non potevano contare sull’aiuto di familiari e parenti». Quando il paziente non aveva più bisogno di terapie attive, come la chemioterapia, la maggior parte delle cliniche era sprovvista delle strutture adatte per accudirlo. Da lì l’urgenza di rispondere a questo bisogno.
Si avviano, così, i primi contatti fra le suore Missionarie del Sacro Cuore di Gesù e due eccellenze: una sul fronte privato, l’equipe della Columbus, e l'altra su quello pubblico, la dirigenza del Sacco. E nel 2001 arriva anche il riconoscimento della Regione Lombardia, che ha significato accreditamento e sostegno finanziario.
Un respiro, quindi, per una realtà che ha accolto centinaia di persone a Milano. E allo stesso modo, più di mille oltre l’Oceano.