Un nuovo mondo nel Nuovo Mondo

Da quattro anni rappresenta un unicum nel panorama americano. Due degli organizzatori dell'Encounter ci spiegano cosa ci sta dietro. A partire dal desiderio di condividere la bellezza di un’esperienza...
Patrick Duffy

Ogni gennaio, da quattro anni in qua, alcuni amici che vivono a New York hanno fatto propria la sfida di san Paolo di «vagliare tutto e trattenere il bene». Questa provocazione è alla radice del New York Encounter, un festival culturale di tre giorni nel cuore di Manhattan. Maurizio “Riro” Maniscalco e Giacomo Maniscalco, il figlio, raccontano a Tracce le ragioni che li hanno spinti a raccogliere questa sfida e che cosa essa ha generato.

Chi ha dato il via al NYE?
Maurizio: Da diversi anni si teneva a New York il raduno nazionale dei responsabili di Cl in America. In quelle occasioni ci siamo accorti che qualunque cosa facessimo, anche se apparentemente riguardava la vita “interna” del movimento, era per il mondo intero. Alcuni di noi avevano vissuto l’esperienza del Meeting di Rimini per diversi anni cogliendone il grandissimo valore. La nostra idea di partenza fu questa: portare questo genere di proposta e di sfida nel cuore di New York City, con iniziative, presentazioni di libri, concerti, mostre. Tre anni fa ci siamo resi conto che questa idea audace poteva diventare realtà, e un gruppetto di noi se ne è fatto carico come risposta a un invito personale a vivere le tre dimensioni fondamentali della vita del movimento: cultura, caritativa, missione. Questo è ciò che sta all’origine di ciò che ora chiamiamo New York Encounter.

Che cosa della vostra intuizione ha trovato conferma nell’esperienza?
Giacomo: Mi ha dato l’opportunità di vedere che l’esperienza che viviamo noi è qualcosa di desiderabile per chiunque sia vivo e interessato a confrontarsi. Esprimiamo la grandezza della nostra esperienza per quanto ce lo consentono le nostre capacità, ed è bellissimo, in tutti gli eventi del New York Encounter. La mia esperienza di collaborazione con persone che non appartengono al movimento per il concerto di chiusura mi ha fatto capire che il dare ragione del nostro costruire questo evento è non solo possibile ma assolutamente necessario.

Che cosa vi ha dato, dopo un primo anno piuttosto difficile, l’energia per riproporre il NYE una seconda volta?
Maurizio: Per me, fare cose come questa è un modo di esprimere la mia gratitudine per quello che ho ricevuto e di provare a restituirlo. Questa è la sola ragione per cui ho accettato la responsabilità del New York Encounter. E questa è anche la ragione per cui io “riaccetto” ogni anno: il minimo che puoi percepire è che tu sei inadeguato alla grandezza di questa responsabilità. Ma in ogni caso, quello che fa la differenza nella vita sono i fatti. E il fatto è che la gente ha risposto alla proposta del New York Encounter in una maniera tale che ha costretto me, e non solo me, a continuare in mezzo a un mare di difficoltà che a volte appaiono insormontabili (in particolare, tempo e denaro) e che si assommano a tutto quello che riempie la nostra vita.

Avete percepito una crescita del New York Encounter nei quattro anni passati?
Maurizio: Un modo per misurare la crescita di qualcosa è quello delle cifre. L’anno scorso, le presenze sono raddoppiate, con 130 persone impegnate come volontari a proprie spese. Insomma, certamente i numeri raccontano una storia. Ma il cuore della questione è che ogni anno di più ci rendiamo conto di che dono unico e prezioso l’esperienza del movimento possa essere per il mondo intero. Mostre, conferenze, spettacoli testimoniano il fatto che il New York Encounter è un mondo nuovo dentro questo mondo, un luogo dove la gente può incontrarsi, discutere, partecipare in un modo davvero bello. Questo è possibile per tutti gli uomini di buona volontà, ma è possibile in primo luogo e soprattutto per via della coscienza che ne hanno gli organizzatori. È il loro crescere nella maturità con cui seguono le orme di san Paolo - cercando di abbracciare tutte le forme del bisogno e del desiderio degli uomini nel modo in cui i nostri bisogni e il nostro desiderio sono stati abbracciati nell’incontro con Cristo - che rende tutto questo possibile.

Vi ha sorpreso la crescita del New York Encounter?
Maurizio: Sì e no. Sì, perché come diceva don Giussani, i nostri tentativi sono sempre “paradossali”. Noi facciamo ogni cosa come se dipendesse da noi, con la consapevolezza che non dipende da noi. E no, perché so che ciò che ci è stato dato è per il destino di tutti. Anche se non tutti ne sono consapevoli, è ciò che ognuno cerca. Venendo al New York Encounter, le persone hanno la possibilità di vedere che il cammino, un cammino pienamente umano, è possibile, e che possono camminare insieme a noi.

New York è una città molto ricca sul piano culturale. Cosa rende il NYE così diverso da tutti gli altri eventi?
Giacomo: Per esempio, i due grandi concerti nella cui organizzazione sono stato coinvolto sono risultati molto più grandi di qualsiasi cosa che avremmo potuto e saputo organizzare da noi. Per me, è la dimostrazione chiara che c’è qualcos’altro - Qualcun altro - che porta avanti questa cosa attraverso di me, e ciò rende gli eventi addirittura più belli anche se non hanno una manifesta valenza “religiosa”. La ragione di questa inattesa grandezza sta nel fatto che c’è un modo pienamente umano di affrontare ogni aspetto dell’organizzazione. Tutti coloro che hanno partecipato sono rimasti colpiti da questa umanità visibile nel nostro domandare, e ciò li ha spinti a esibirsi a cuore aperto, mettendosi totalmente in gioco.

Qual è l’aspetto del NYE che ti colpisce di più?
Maurizio: Il senso di apertura e la letizia che percepisci ovunque. E poi, con tutti quelli che vengono per la prima volta, il loro “tutti” diventa il mio “tutti”. Questo accade ininterrottamente, evento dopo evento, e ogni evento è un nuovo inizio.

E qual è stato il più bel dibattito, o il più bell’evento?
Maurizio: Dato che io ho sempre amato la musica, la serata in cui abbiamo presentato il concerto dei subway musicians (i musicisti di strada che suonano nelle stazioni della metropolitana) per me è stata la più bella. Mi ha proprio commosso perché mi ha fatto percepire in modo molto concreto che in qualche modo avevamo reso tangibile l’invito di san Paolo. Abbiamo raccolto un seme di vita da questo pezzo di città, la bellezza di viaggiare nelle metropolitane, lo abbiamo piantato sul palcoscenico e lo abbiamo visto fiorire insieme a tutti. È stato davvero un miracolo bellissimo.

(Estratto dall'intervista pubblicata su Traces)