«La nostra unica arma? La preghiera»

Il massacro di Daraya, di pochi giorni fa, insanguina ancora una volta lo stato di Assad. Ad Aleppo il vescovo greco-cattolico è stato costretto a fuggire. Il nunzio apostolico a Damasco racconta ad AsiaNews cosa sta succedendo
Paul Dakiki

L'alba in Siria porta ogni giorno la lista del numero di morti (veri o presunti) e il grido delle vittorie conquistate (vere o presunte). Ieri i ribelli hanno esultato per aver colpito un elicottero militare nel quartiere di Jobar a Damasco.
Il governo, da parte sua, si vanta di aver messo sotto controllo Daraya. I ribelli accusano le truppe regolari di aver massacrato almeno 320 persone, fra cui donne e bambini. Video – non verificati – mostrano corpi insanguinati e bruciati. Il governo accusa i terroristi di aver compiuto il massacro. Ban Ki-moon, segretario dell'Onu, ha chiesto un'inchiesta indipendente sull'eccidio. E mentre il Free Syrian Army cerca maggior sostegno dall'occidente, Assad continua a proclamare guerra contro "il complotto straniero" che mira a cambiare gli equilibri della regione. Intanto, molte testimonianza confermano la presenza in Siria di combattenti di al Qaeda che da giugno ad oggi, si vantano di aver portato a termine "66 operazioni", la metà delle quali proprio a Damasco. In questa situazione angosciante, giunge la notizia che ad Aleppo, gli uffici del vescovo greco-cattolico, mons. Jean-Clement Jeanbart sono stati saccheggiati. Il vescovo è fuggito in Libano. Su tutto questo, AsiaNews ha chiesto l'opinione di mons. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco.

Eccellenza, qual è il suo commento a tutte le notizie di uccisioni e massacri?
In Siria le cose vanno male, molto male. Prima pensavo a questa situazione come a un tunnel, alla fine avrebbe sboccato nella luce. Ma ora dico che la Siria sta scivolando nell'inferno e quando si scende in tal modo, non si può pensare di poter vedere la luce. Certo, la storia è sempre nelle mani di Dio e tutto può succedere e questa discesa può essere frenata.
Il mio invito alle comunità cristiane in Siria e all'estero è questo: le armi stanno causando distruzioni e vittime. Noi dobbiamo usare l'arma della preghiera. Proprio ieri ho sentito un parroco che vive ad Aleppo, fianco a fianco dei suoi fedeli. E mi ha detto: «Ho suggerito ai miei fedeli di non perdere tempo la sera a guardare la televisione, ma di incontrarsi e dire il rosario per la Siria»

Nel Consiglio di sicurezza dell'Onu c'è divisione. Ieri la Francia ha criticato Russia e Cina per la loro difesa di Assad... La comunità internazionale sembra stare a guardare, mentre prendono terreno i fondamentalisti e si muovono i Paesi arabi del sud...
La storia di questo conflitto è piena di gaffe e contraddizioni, fatte in Siria e nella comunità internazionale. Anche fra gli ambasciatori qui a Damasco ci si batte il petto e si riconosce che tutte le analisi fatte prima sono saltate per aria: è un conflitto difficile da definire e tutte le previsioni sono saltate.
All'inizio, tutta la comunità internazionale aveva letto le rivolte in Siria come un altro capitolo della Primavera araba, come qualcosa di simile a quanto avvenuto in Tunisia, Egitto, o Libia. Invece la Siria è qualcosa di unico e si sta giocando col fuoco, in un conflitto complesso, con tanti componenti delicate. E c'è il timore che le conseguenze divengano tragiche e inimmaginabili.

Eccellenza, questo conflitto ha i cristiani come obbiettivo? Molti si domandano sulla sorte dei cristiani, ma non riescono a vederla insieme alla sorte di tutti i siriani.
Non dobbiamo giocare su facili simpatie e sentimenti, parlando di conflitti confessionali. La comunità cristiana qui soffre quello che soffrono tutti quanti. Anzi, devo dire che in qualche caso, qua e là, ci si accorge che alcune violenze – bollate con troppa facilità come "confessionali" – hanno poi radici in odi familiari, ingiustizie passate, ecc....
Che dire poi delle migliaia e migliaia di casi in cui proprio a chi è cristiano viene salvata la vita? Mi raccontano di fatti e persone cristiane che fermate ai posti di blocco, da ribelli o soldati, vengono lasciati passare perché mostrano la loro carta d'identità in cui è registrata la loro confessione religiosa. E magari sul posto questi ribelli o soldati hanno ammazzato altri gruppi. L'impressione è che i media in occidente giocano su facili cliché. Occorre prudenza. Quello che è importante è che i cristiani lavorino in Siria, insieme alle altre confessioni, tenendo alla nostra identità, impegnati nella non violenza, per i diritti umani. Il futuro sarà quello che Dio vorrà, ma costruirlo dipende anche da noi.
AsiaNews, 28 agosto 2012