La fotografia e l'eco dell'assenza
Guido Guidi, classe 1941, è uno dei maestri della fotografia d’autore in Italia. Allievo di Carlo Scarpa e Italo Zannier, è stato tra i primi a fotografare il paesaggio marginale e antispettacolare della provincia. Nel 2014 è stato invitato a realizzare una retrospettiva della sua opera dalla Fondazione Henri Cartier Bresson di Parigi.
«Di che è mancanza questa mancanza, cuore, che a un tratto ne sei pieno?». Le è mai capitato di sentirsi così: pieno di questa mancanza?
Capita, certo che mi capita. È per questo che fotografo. Non so di quale mancanza parli Luzi. Fotografare per me è qualcosa che ha a che fare con il mito di Eco, quel personaggio condannato dagli dei a dover ripetere solo le ultime parole che sentiva dire, senza poter dire qualcosa di proprio. Luzi stesso, parlando della poesia, parlava di una sorta di ecolalia...
Che cosa significa?
È il corrispettivo del narcisismo. Narcisismo ed ecolalia: due facce della stessa medaglia. La fotografia è, in qualche modo, più vicina all’ecolalia che non al narcisismo. E in questo senso potrebbe collegarsi all’assenza, la mancanza...
E come la fotografia viene incontro a questa esigenza?
Fotografare un paracarro, un albero, una persona... È un modo di incontrare qualcosa o qualcuno. Un modo di identificarsi con l’altro.
Wim Wenders ha detto della fotografia che sulla pellicola si imprime una traccia del fotografo. Un’immagine non dei suoi lineamenti esteriori ma del suo cuore...
Forse è una formulazione un po’ eccessiva, barocca. Deriva poi da quel che diceva Henri Cartier Bresson: «Si tratta di mettere sullo stesso asse l’occhio, la mente e il cuore».
Senza fotografia l’incontro con l’altro è impossibile?
No, è possibile. La fotografia ti aiuta all’incontro. È un modo per incontrare l’altro, per prendersi cura dell’altro, oltre che di se stessi. Prendendosi cura dell’altro, ti prendi cura anche di te, del tuo cuore. C’è un detto coniato da Cosimo De’ Medici: il pittore dipinge sé stesso. Sarabbe una forma di estremo narcisismo. Una sorta di gabbia che ti costringe dentro ai tuoi limiti, al recinto del tuo corpo. L’incontro con l’altro invece è fondamentale. Per me il fotografo o il pittore sono una sorta di medium. Tendono a spostarsi da stessi per entrare negli altri, nel mondo esterno. Se no che senso avrebbe fare quello che facciamo? Parlare di se stessi, alla fine, è noioso.
L’incontro con l’altro alla fine avviene?
Si tratta sempre di un tentativo di congiungersi all’altro. Ed è quasi sempre un insuccesso. Ma il tentativo ti permette di illuderti di riempire quella mancanza di cui parliamo.
La mancanza non è mai colmabile?
Io parlo da laico. Per me la religione dell’arte sostituisce quella ufficiale. Però è chiaro che neanche la religione dell’arte, come qualsiasi religione, è sufficiente.