Elezioni 2018: se alle urne ci giochiamo il futuro
È la parola “futuro” a campeggiare dietro il tavolo affollato di una sala del Palazzo delle Stelline nel cuore di Milano, la sera di lunedì 19 febbraio. A pochi giorni dal voto del 4 marzo, nel bailamme della campagna elettorale, Compagnia delle Opere rilancia un dialogo su temi e prospettive già indicate in un volantino di poche settimane fa. «Per quale futuro?», la domanda che faceva da titolo al testo. La stessa riproposta da Bernhard Scholz, presidente della associazione, nell’introdurre la serata. «Serve guardare avanti, mettendo sul piatto tematiche spesso snobbate», attacca Scholz: «Famiglia, giovani, educazione, impresa, lavoro, terzo settore accoglienza… Sono queste le urgenze su cui le parti sociali e chi sarà chiamato a governare dovranno lavorare». Il punto di partenza non è una “particolare sensibilità” di Cdo su certi temi. Piuttosto, è il quadro statistico e demografico del nostro Paese a mostrare quanto siano pertinenti.
«Il futuro va guardato, e per tempo», secondo Alessandro Rosina, demografo dell’Università Cattolica di Milano, introdotto da Guido Bardelli, presidente Cdo-Milano, e primo tra i relatori a intervenire nel dibattito. Il mutamento che viviamo è globale: «Nel secolo scorso siamo passati da 1,6 miliardi di persone nel mondo a 6,1. Le previsioni per il prossimo sono meno “esuberanti”, ma ad aumentare saranno gli squilibri». Per capire, si stima che l’Africa raddoppierà i suoi abitanti nel 2050, contro un’Europa a crescita zero. «Tutto in un fenomeno ormai globalizzato di invecchiamento delle popolazioni», tra aumento della longevità e diminuzione della fecondità, inferiore ai due figli per donna nella maggior parte dei Paesi. Un processo inedito nella storia, dice Rosina: «Oltre che incisivo, anche in termini economici, e irreversibile».
L’Italia? «È uno dei Paesi che più “mostra” queste caratteristiche», fa notare Rosina, con un appunto: «Compariamo, l’andamento del debito pubblico e il tasso di fecondità negli ultimi anni. Fino ai primi anni Novanta, al calare delle nascite corrispondeva un aumento del debito». Un trend che intorno al 1991 si inverte. «Più nascite, meno debito. Fino a metà anni Duemila, quando si ritorna agli andamenti precedenti. Che cosa è successo? C’è stato un periodo in cui si era tornati a scommettere sul futuro. Ma poi abbiamo preferito rimetterci a giocare in difesa», osserva il demografo, prima di rilanciare cinque pilastri fondamentali su cui si dovrebbe far leva per contrastare «il lento terremoto, il cambiamento che sta già avvenendo. Tra quindici anni è previsto un calo di oltre 4 milioni di persone nella fascia tra i 25 i 54 anni, quella produttiva».
Il primo riguarda l'immigrazione, «un fenomeno che da solo non è in grado di riportare equilibrio». Serve ragionare anche sull’occupazione femminile e sulla natalità, legate a doppio filo. E poi il tema dei giovani e delle opportunità per loro: «I ragazzi italiani risultano molto più indietro della media europea, e addirittura ultimi alla voce “occupati” tra i 20 e i 25 anni». Ultimo pilastro, sfruttare la longevità: «Mettere in condizioni chi è più avanti negli anni di poter dare ancora un contributo alla società, e non solo pesare su sanità e welfare».
Questo il quadro dentro cui si sono inseriti gli altri invitati all’incontro. Mauro Monti, per esempio, preside del "Marconi" di Piacenza, istituto superiore di istruzione industriale con oltre 1.500 studenti e quasi 200 insegnanti. I suoi ragazzi sono nel pieno dell’alternanza scuola-lavoro: «Un percorso partito tre anni fa, che certo presenta difficoltà. Ma, anche, ha mostrato di essere importante: è un rapporto nuovo, fuori dall’aula, con la realtà». Per tutti: per i lavoratori, che trovano nuovi stimoli nell’insegnare. Per le imprese, che entrano, di fatto nella formazione. «Poi certo, per gli studenti, come racconta un insegnante impegnato in un progetto, in cui si risvegliano “doti dormienti”. E per gli insegnanti stessi». Come sostenere questo? «Intanto “non fermiamo il tram” perché qualcosa non funziona ancora bene». E che si continui a lavorare per migliorare, spiega ancora il preside, che da solo ha firmato 380 convenzioni mentre in tanti elenchi di “disponibilità” delle camere di commercio ben poche imprese hanno segnato il loro nome.
Sempre sul tema educativo, segue l’intervento di Emmanuele Massagli, presidente Adapt, Associazione che si occupa di ricerche sul mondo del lavoro fondata da Marco Biagi. «Centri per la formazione professionale, gli Istituti tecnici superiori, i contratti di apprendistato… Sono tutte misure buone, che possono dettare una strada per il futuro. Ma certo dipenderà molto da quello che deciderà la politica». La tecnica si evolve e conta che uno riesca a stare al passo come mentalità, come capacità di cambiamento. «Il mondo del lavoro è discontinuo. In Lombardia un ragazzo che entra nel mondo del lavoro cambia, in dieci anni, 6-7 posti. Come sostenere queste persone nella discontinuità? Non è appena un problema di aiutare a trovare il lavoro, ma di come mantenerlo o cambiarlo». Arrivano qui parole come “orientamento e formazione continua”. Ma questo tipo di sostegno non può essere delegato in toto alle istituzioni: «Tutta la società è chiamata in causa. Così come la politica deve valorizzare chi già opera in questa direzione», chiude Massagli.
È lo stesso tentativo che Monica Poletto, presidente Cdo-Opere sociali, descrive nell'accennare alla riforma del Terzo settore. «Siamo a metà percorso, alcuni paletti sono stati tolti, mentre su altri aspetti prevale ancora la “sindrome del controllo” preventivo. Quello che sta a cuore a noi, piuttosto, è il tema della valutazione di impatto, ovvero l’andare a vedere cosa generano certe attività».
Non è presente in sala, impegnato da un “corridoio umanitario” per aiutare dei profughi nel Corno d’Africa, ma Oliviero Forti, Caritas Italia, dà il suo contributo con un videomessaggio. «Il fenomeno migratorio è globale, e coinvolge, nel mondo 65,6 milioni di persone», spiega Forti: «Quello che tocca l’Europa, numeri alla mano, sarebbe gestibile. Diventa emergenza nel momento in cui alcuni Paesi chiudono le porte. “Aiutarli a casa loro” non è sbagliato. Ma ci vorranno anni, decenni, per vedere gli effetti di quello che molti riducono a slogan». L’Italia aiuta, accoglie: «Sia istituzionalmente sia attraverso il Terzo settore». Ma non basta la prima accoglienza, per il responsabile Caritas: «La vera sfida è il futuro di questa gente. E non deve per forza passare dalle istituzioni. Ci sono realtà che lavorano bene. E andrebbero messe a sistema, valorizzate».
«Cosa ci dice quanto abbiamo ascoltato questa sera?», chiede Scholz: «Che abbiamo la possibilità di usare un criterio per scegliere il 4 marzo: guardare alle nuove generazioni, al loro futuro». Non in generale, aggiunge il presidente Cdo: «Parlo dei nostri figli, di quelli del vicino di casa. Coscienti che non si può delegare tutto allo stato ma occorre che anche la società civile si impegni, che ognuno si metta in gioco, nel contributo al bene comune».
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