Caritativa: così la vita può fiorire

Da Tracce di maggio, gli appunti da un dialogo di Julián Carrón con un gruppo di universitari impegnati nella “caritativa”, un gesto che educa a scoprire se stessi e la realtà (Milano, 12 marzo 2018)

Julián Carrón. Come ci siamo detti, oggi lavoriamo sulla “caritativa”. Le testimonianze arrivate dimostrano che si tratta di un gesto che sta facendo fiorire tanti di voi. A volte uno esprime l’esperienza che vive con una potenza che può essere utile per tutti.

Anna. La mia caritativa consiste nell’andare dai senzatetto una mattina a settimana per servire loro la colazione. La prima cosa che noto è che quel gesto mi cambia sempre, non c’è mai una volta che io esca da lì uguale a come sono entrata. Rispetto a questo, uno strumento fondamentale per me è Il senso della caritativa (L. Giussani, Soc. Coop. Edit. Nuovo Mondo, 2015), che leggiamo prima di iniziare il gesto, perché riesce a dare un nome alle cose che accadono in quell’ora. La seconda cosa che ho constatato è che durante l’ora di caritativa sono presente al presente come poche altre volte durante la settimana. Quando sono lì a servire la colazione sono tutta tesa a rispondere ai bisogni che ci sono, dal portare lo zucchero al lavare i piatti. Essere così presente a ciò che accade mi fa godere di più tutto, e mi fa essere più attenta. Amo di più quello che c’è, sono più disponibile ad accogliere tutto, e scopro che essere così mi corrisponde infinitamente. In quel luogo vivo quella diversità «verificabile» di cui parla il testo della Scuola di comunità. L’andare in caritativa mi aiuta a percepire di più i bisogni di tutte le persone che incontro. Una mattina un senzatetto mi porta un ritaglio di giornale con una foto di una ragazza e me la regala, dicendo che secondo lui mi somiglia. Mi ha commosso tanto quel gesto, perché io faccio lo stesso nel mio rapporto con Gesù: in tutte le cose che faccio, in tutti i volti che incontro, ricerco i tratti di Chi mi ama e mi dona tutto, perché di quel bene io ho bisogno.

Carrón. Che una persona partecipi a un certo gesto e possa dire: «Non c’è mai una volta che io esca da lì uguale a come sono entrata», è sorprendente. A chi non interesserebbe partecipare a un gesto attraverso cui può capitare una cosa del genere, che può cambiare il modo in cui ci concepiamo, in cui viviamo? Quando don Giussani ci ha invitato – per una educazione di noi stessi – a compiere questo gesto, stava delineando una strada attraverso la quale uno può vedere accadere quello che la nostra amica ha raccontato: essere resi sempre più presenti al presente, che è quello che desideriamo, invece di stare nel presente aspettando che finisca per poi cominciare a vivere, come tante volte facciamo. Partecipare a quel gesto, diceva la nostra amica, «mi fa godere di più tutto, mi fa essere più attenta» a tutto quello che accade (...)