Carrón: «Dio non è un concetto astratto, è accaduto nel mondo»
La fugacità del vivere, la caducità dell'uomo, è uno dei temi ricorrenti, nella riflessione e nella poesia di ogni tempo. Si legge nell'Iliade di Omero: «Come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini; le foglie, alcune ne getta il vento a terra, altre la selva fiorente le nutre al tempo di primavera; così le stirpi degli uomini: nasce una, l'altra dilegua».
È difficile che l'uomo, ognuno di noi, pur nella distrazione in cui possono finire le sue giornate, sfugga prima o poi a questa esperienza elementare del vivere. Israele non ha fatto eccezione.
Dice Isaia: «Ogni uomo è come l'erba e tutta la sua gloria è come un fiore di campo. Secca l'erba, il fiore appassisce (...). Veramente tutto il popolo è come erba che dissecca». E il Salmo 90 ribadisce: «Ai tuoi occhi mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte, (...) come l'erba che germoglia; al mattino fiorisce, germoglia, alla sera è falciata e dissecca».
È talmente comune questa esperienza di nullità e di fragilità, osserva don Luigi Giussani, che rappresenta, di fatto, «il primo sentimento, il primo pensiero riflesso che l'uomo può avere su di sé. Siamo come foglie al vento». A questo senso di inconsistenza ultima non sfuggono nemmeno i rapporti tra gli uomini, che infatti «hanno il sigillo di questa fragilità incommensurabile; tutto, mentre lo stringi, fugge, tutto ti dice addio»...