Cmc Milano. L'Innominato e l'opera di Dio

Un palco all'aperto, nel cuore della città, per l'arcivescovo Mario Delpini, lo scrittore Luca Doninelli e Arianna Scommegna, attrice. Un dialogo serrato sulle pagine di Manzoni, a chiusura del Festival "Andiamo al largo" del Centro Culturale di Milano
Maurizio Vitali

«Riconoscere l’opera di Dio in questo tempo. Aprire le porte della città al Dio dell’inquietudine e della pace». Definisce così il proprio compito, e il proprio desiderio ideale, l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, commentando l’incontro tra il cardinale Federigo Borromeo e l’Innominato narrato nel capitolo XXIII dei Promessi sposi. Venerdì scorso, piazza Beccaria, nel cuore di Milano, all’aperto, tutti esauriti i posti a sedere, centinaia, e altra folla in piedi a ridosso della galleria del Corso.

Sul palco, con l’Arcivescovo, lo scrittore Luca Doninelli e l’attrice Arianna Scommegna. È il terzo e ultimo giorno della manifestazione “Andiamo al largo. Festival di cultura e incontri”, organizzato dal Centro Culturale di Milano con numerosi dibattiti, mostre, performance musicali, a due passi dal Duomo e prevalentemente all’aperto.

Dall’«esclusione di Dio» al «riconoscimento dell’opera di Dio» è per Delpini il succo della traiettoria spirituale dell’Innominato descritta dal racconto manzoniano, come pure il senso del percorso da compiere oggi.



L’esclusione di Dio... L’area dell’evento è attigua a piazza Fontana. È lì che, il 12 dicembre 1969, scoppiò la bomba nella Banca dell’Agricoltura, madre di tutte le stragi terroristiche degli “Anni di piombo”, anni di «società senza Dio», come scrisse Giovanni Testori sul Corriere della Sera. A questo corre il pensiero nell’attesa che l’incontro abbia inizio. Il titolo riprende parole struggenti dell’Innominato, culmine del suo colloquio con il Borromeo: «Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?». Splendente sulla guglia più alta del Duomo, la Madonnina è lì che guarda giù e protegge il popolo di Milano. L’opera di Dio...

L’evento conclude la prima parte di un ciclo di letture pubbliche del capolavoro del Manzoni («il romanzo di Milano per eccellenza», lo definisce Doninelli), ideato dallo stesso Doninelli e realizzato con il Centro Culturale di Milano, iniziato nello scorso novembre e che si è sinora sviluppato in una decina di incontri. Protagonisti, molti attori chiamati a cimentarsi con la lettura di capitoli dei Promessi sposi e personalità della cultura, dell’arte, dello spettacolo, dell’impegno sociale, invitati a proporre commenti e attualizzazioni rispetto alla città contemporanea (si riprenderà dopo la pausa estiva).



L’idea, come ha spiegato Doninelli introducendo l’incontro di venerdì scorso, è nata in seguito alla visita di papa Francesco a Milano, il 25 marzo 2017: «Scelse di visitare un quartiere popolare di periferia (via Salomone) e il carcere di San Vittore. E in effetti, una città si giudica anche e soprattutto dalla cura che ha per l’uomo, cioè da come tratta i bisogni. Da qui il progetto di rioffrire alla città il “suo” romanzo». “I promessi sposi nella città contemporanea”: questo il titolo del ciclo.

Ora tocca ad Arianna Scommegna, bravissima e pluripremiata attrice 44enne, figlia di Nicola Scommegna, in arte Nicola di Bari, cantante di origini pugliesi ma trapiantato a Milano. La voce e l’intepretazione di Arianna rendono presente, lì e vivo, con straordinaria bravura, l’incontro descritto dal Manzoni tra i due personaggi. Si inizia dal cappellano crocifero incapace di comprendere l’accoglienza immediata e senza riserve del Cardinale nei confronti di un potente malfamato e temibile («Non c’è rimedio: tutti questi santi sono ostinati»). E infatti, «appena introdotto l’Innominato, Federigo gli andò incontro, con un volto premuroso e sereno, e con le braccia aperte, come a una persona desiderata». Vibra nella voce dell’attrice il dramma dell’Innominato «straziato da due passioni opposte, quel desiderio e quella speranza confusa di trovare un refrigerio al tormento interno, e dall’altra parte una stizza, una vergogna di venir lì come un pentito, come un sottomesso, come un miserabile, a confessarsi in colpa, a implorare un uomo». Poi l’inimmaginabile accadere di un rovesciamento totale nel gesto del Cardinale: «Che preziosa visita è questa! E quanto vi devo esser grato d’una sì buona risoluzione». E Federigo che annuncia all’attonito signore, sbalordito, ma pur sempre imprigionato nell’inferno che ha nel cuore, la buona novella: «Dio v’ha toccato il cuore, e vuol farvi suo». Qui il culmine del dialogo: «Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio? - Voi me lo domandate? Voi? E chi più di voi l’ha vicino? Non ve lo sentite in cuore, che v’opprime, che v’agita, che non vi lascia stare, e nello stesso tempo v'attira, vi fa presentire una speranza di quiete, di consolazione, d’una consolazione che sarà piena, immensa, subito che voi lo riconosciate, lo confessiate, l’imploriate?».



Il capitolo prosegue narrando i gesti amorevoli e decisi del Cardinale, la ritrosia dell’Innominato che però via via si scioglie e si addolcisce, nel sentirsi amato, incoraggiato, voluto; nel percepire, grazie al Santo Arcivescovo, la possibilità di un futuro di bene, immediatamente concretizzato nella liberazione di Lucia.

Commenta Delpini: «L’esclusione di Dio è la situazione determinata dall’enormità del male, dalla preponderanza della cattiveria. Quando la povera Lucia lo implora (“Pensate a Dio!”) l’Innominato non ne vuole sapere». Poi c’è l’intervento del Cardinale: «Federigo è il testimone dell’opera di Dio. Il Dio dell’inquietudine: Dio entra nella storia dell’Innominato attraverso questa inquietudine, il senso di colpa, il timore del futuro, attraverso lo stesso senso dell’irrimediabile. Nelle parole e negli atti del Cardinale vi è la testimonianza anche al Dio della pace: nel volto sorridente che si fa incontro all’ospite inatteso, nella stretta di mano, nell’abbraccio. Nel desiderio, infine, che l’Innominato prova di riparare per quanto possibile al male compiuto».

Doninelli lascia tutto lo spazio possibile all’Arcivescovo e, via via, introduce nuove sfaccettature alzandogli, per così dire, la palla. La prima suggestione riguarda il paradosso di un membro, Federigo, della famiglia più nobile e potente di Milano, divenuto per di più principe della Chiesa, che esercita la sua alta missione all’insegna dell’umiltà. «Un’umiltà vera, non una virtù recitata. Federigo era insofferente, già da giovane, in famiglia, del servilismo nei suoi confronti. Da cardinale, e come si vede anche nel racconto del Manzoni, l’umiltà sua consiste nell’intuirsi come strumento dell’opera di un Altro e nella profezia, cioè nella capacità di riconoscere la storia come spazio di realizzazione della parola e del disegno di Dio».



Lo si vede nell’atto del Cardinale che vuole stringere la mano che l’Innominato ritrae perché lorda dei delitti passati. «Tuttavia, la mano che stringe la sua non guarda il passato ma il futuro», accenna Doninelli. Replica Delpini: «Sì, la stretta di mano apre al futuro nel senso che intuisce quello che può fare Dio. È il senso cristiano della storia: nulla è mai ultimamente irrimediabile e irredimibile, perché la storia non è costruita sulla psicologia o sui determinismi, ma è spazio dell’opera di Dio».

Si schermisce l’Arcivescovo alla richiesta di paragonarsi con l’illustre predecessore, senza rinuinciare alla battuta ironica: «Certi paragoni sono azzardati, anche se certe cose sono uguali ad allora. Per esempio la funzione decorativa dell’Arcivescovo che viene chiamato per abbellire la festa e attrarre gente». Poi dismette l’umorismo, ma non la semplicità, e traccia il punto della continuità della missione di Borromeo e della sua: «Riconoscere l’opera di Dio in questo tempo. Aprire le porte della città al Dio dell’inquietudine e della pace».