Don Julián Carrón

Chiesa e società: davanti a uno stesso crocevia

«I valori che sostenevano la nostra costruzione comune sono stati indeboliti. La Chiesa e la società hanno lo stesso problema». L'articolo del presidente della Fraternità apparso su ABC il 13 ottobre
Julián Carrón

«Il mondo è fuori dei cardini. Sono molti a crederlo. Vaghiamo senza meta, confusi, discutendo pro e contro questo e quello. Su una frase la maggioranza delle persone si trova d’accordo, al di là di tutti gli antagonismi, e in tutti i continenti: “Non capisco più il mondo”». Così si esprimeva il sociologo tedesco Ulrich Beck (morto nel 2015) nella sua opera uscita postuma, La metamorfosi del mondo. Per un certo periodo si poté aver l’impressione che il cambiamento radicale in atto in Occidente, in particolare negli ultimi anni, riguardasse unicamente la Chiesa e i suoi valori: era la cosiddetta «secolarizzazione». Da qualche anno è indubbio che il crollo delle evidenze riguarda la società intera. Il terreno su cui abbiamo costruito la nostra civiltà sembra sprofondare sotto i nostri piedi. Forse oggi appare più facile comprendere che le evidenze che condividevamo, e che oggi non sono più tali, erano nate sul fertile terreno del cristianesimo. Una volta accantonato l’avvenimento cristiano come fondamento della nostra convivenza, il tempo ha reso manifesto che i valori che sostenevano la nostra costruzione comune sono indeboliti. La Chiesa e la società hanno lo stesso problema. Da dove ripartire?

Questa domanda sfida ognuno di noi. È una delle domande che ho inteso affrontare nel mio libro Dov’è Dio? La fede cristiana al tempo della grande incertezza (ed. italiana Piemme; ed. spagnola Encuentro). Tutti sappiamo che il mondo è cambiato in misura tale che le soluzioni del passato non sono più necessariamente valide per rispondere alle situazioni di oggi. Nei miei viaggi in tutto il mondo ho avuto occasione di conoscere molte persone (di religioni e culture diverse) che sono alla ricerca di interlocutori con i quali confrontare le proprie domande e inquietudini riguardo al futuro, e che si domandano da dove partire. La situazione che ci troviamo a vivere può essere una grande opportunità, come ci ricorda Hannah Arendt: «Una crisi ci obbliga a ritornare a porci domande, ed esige risposte nuove o vecchie, ma in ogni caso scaturite da un esame diretto».
Quale può essere il contributo del cristianesimo? Prima di tutto può favorire la presenza di spazi di libertà nei quali condividere esperienze diverse della vita. Poco tempo fa un politico di sinistra ci diceva: «Farò di tutto perché possiate continuare a esistere, diversi come siete, perché questo è l’unico ambito in cui mi sento amato». E un terrorista pentito ci chiedeva: «Permettetemi di restare con voi, perché per la prima volta nella mia vita mi si è spalancata la possibilità del Mistero». Che cosa hanno visto queste due persone non credenti per sentire il desiderio di stare insieme a dei cristiani?
La possibilità che i cristiani hanno di dare un contributo originale per uscire dalla confusione è legata alla testimonianza della fede nella sua vera natura. Non c’è giorno in cui Papa Francesco non ce lo ricordi, con i suoi gesti e le sue parole; per questo cita spesso una frase del suo predecessore: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Benedetto XVI).

Il cristianesimo non è prima di tutto una morale o una dottrina ma un avvenimento di vita, l’esperienza di una umanità nuova scoperta nelle circostanze ordinarie. Nella società «liquida», proprio in questo mondo che tanti non comprendono più, vi sono persone la cui vita suscita una strana curiosità, sino al punto di affascinare e di provocare un interesse nuovo per qualcosa che sembrava una reliquia del passato, qualcosa di inutile per la vita: la fede.
Purtroppo molti hanno incontrato o continuano a incontrare un cristianesimo ridotto a un insieme di proibizioni o idee astratte. A chi può interessare, se non serve ad affrontare «la vita che taglia le gambe» (C. Pavese)? Per questo, quando incontrano persone che incarnano la fede nelle circostanze quotidiane, quando vedono che essa è pertinente alle esigenze della vita, in quel momento sperimentano la sua forza di attrazione.
Allora quelle che erano forme vuote si riempiono di vita, e i valori tornano a essere reali e concreti, qualcosa di cui si può vivere. Torna ad accadere il cristianesimo, come quando la gente incontrava Gesù nelle strade della Galilea. Perché credettero quelle persone? «Credettero per quello che Cristo era. Credettero per una presenza (…) con una faccia ben precisa, una presenza carica di parola, cioè carica di proposta (…), carica di significato» (L. Giussani).

Senza l’incontro con quella «presenza», imprevista e imprevedibile, il cristianesimo non avrebbe potuto toccare la vita delle persone. E non avrebbe potuto attraversare i secoli sino a giungere a noi se non fossero esistiti uomini e donne che lo testimoniarono come una presenza reale, visibile e tangibile. Per questo il cristiano guarda al futuro pieno di speranza, con uno sguardo nuovo che nessuna confusione e nessun potere possono offuscare.