Il progetto Avsi in Siria sostiene tre ospedali del Paese (foto di Aldo Gianfrate)

Tende Avsi/1. Siria, tra luce e fango

"Sotto lo stesso cielo". È il titolo della Campagna Tende 2018/19 di Avsi presentata sabato scorso a Milano. Tanti progetti da sostenere in tutto il mondo. Tra questi, "Ospedali aperti" a Damasco e Aleppo assiste già 12mila persone
Maria Acqua Simi

Sabato 20 ottobre è stata presentata a Milano la Campagna Tende di Avsi 2018-2019. Intitolata: “Sotto lo stesso cielo. Osiamo la solidarietà oltre i confini”, si incentra su quattro progetti che coinvolgono cinque Paesi: Siria, Brasile, Burundi, Kenya e Italia. Per questo è finanziata anche dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali italiano. Perché la possibilità di “bene” è per tutti, anche a casa nostra.

Uno dei progetti di spicco è quello che riguarda gli “Ospedali Aperti” in Siria. Gli ospedali in guerra sono un servizio fondamentale, una combinazione misteriosa di luce e fango. Il fango è quello lasciato sui pavimenti del pronto soccorso dalle scarpe logore o dai piedi scalzi e anneriti di chi entra cercando aiuto. La luce, quella, passa dalle grandi finestre linde: andate in frantumi più volte per le bombe ma poi sempre sostituite. E pulite.

Uno degli ospedali di Damasco sostenuti dalla campagna Tende di Avsi (foto di Aldo Gianfrate)

Lo sa bene Angi, 20 anni, che quelle vetrate le fissa ogni giorno da mesi. Si trova in riabilitazione in una clinica di Damasco - uno dei tre ospedali aperti sostenuti da Fondazione Avsi in Siria (due sono nella capitale siriana, uno ad Aleppo) - dopo che il 20 marzo scorso un colpo di mortaio nella zona di Keshkul le ha frantumato la gamba sinistra. Dopo i primi soccorsi, è stata amputata da sotto il ginocchio e ora sta reimparando a camminare. Non parla molto, ma le si accende lo sguardo quando racconta che ora è tornata a studiare all’università - «Ingegneria meccanica nella Capitale», spiega orgogliosa - ed è grata al progetto di Avsi che le ha coperto tutte le spese per l’operazione, il tutore e la riabilitazione. La sua famiglia (genitori e due fratelli più piccoli) non è benestante, ed è solo Basam, il padre, a lavorare: guadagna il corrispettivo di 80 euro al mese. Troppo poco per badare a tutte le necessità di casa.

Non troppo diverso da quanto vive Eid Hanna Hanani, classe 1955, vedovo con cinque figli. Tre di loro sono in casa con lui, e non lavorano. Uno fa il taxista e un altro è espatriato in Libano per tentare una sorte migliore. Eid invece è rimasto, continua il mestiere di verduraio ma la paga raggiunge a malapena i 4 dollari al giorno. Fatica a raccontare la sua storia, non per commozione, ma perché un cancro alla gola dieci anni fa lo ha costretto ad utilizzare un apparecchio esterno che appoggia alle corde vocali quando vuole parlare. È ricoverato per un tumore alla vescica che continua a riformarsi: «Non avrei potuto curarmi, non sarei più qui se non fosse per gli aiuti ricevuti. Anche mia figlia Reham è stata inserita nel progetto di Avsi e le hanno tolto i noduli dal seno».

Siria (foto di Aldo Gianfrate)

Nell’ospedale francese della capitale c’è anche la ventiduenne Jessica Abou Al Nasr, lunghi capelli corvini e sopracciglia curate che suggeriscono la sua professione: parrucchiera-estetista. Anche la fasciatura corposa al braccio e alla mano sinistra suggerisce qualcosa. «È stata un’esplosione, un anno e mezzo fa, mentre andavo al lavoro. Ho perso tre dita». Lo scorso febbraio ha subito il quarto intervento chirurgico. La mamma e il fidanzato l’accudiscono: «Il progetto Ospedali Aperti è una benedizione, perché non avremmo avuto i soldi per pagare le cure, e lei non avrebbe avuto la possibilità di riprendere la sua vita».

Eid, Jessica e Angi sono tre delle 12mila persone aiutate da Avsi negli ospedali francese e italiano di Damasco e Saint Louis di Aleppo grazie alla collaborazione con la Nunziatura apostolica in Siria. «L’obiettivo è poterne curare 40mila», dicono dalla Fondazione. E in un Paese in conflitto da oltre sette anni, dove oltre 11 milioni di individui (il 40% bambini) non hanno accesso alle cure mediche, questo è un risultato non da poco. La Fondazione si è impegnata nella ristrutturazione parziale degli ospedali danneggiati, nella fornitura di apparecchiature nuove e nella formazione sul campo di medici siriani (moltissimi di loro, infatti, sono fuggiti all’estero durante la guerra lasciando le strutture a corto di personale). Certo, quella di Avsi non è l’unica realtà operante sul territorio. Ma è anch’essa una piccola fessura nel buio. Come cantava l’indimenticato Leonard Cohen «c’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che passa la luce».