Una presenza ce lo garantisce. Non siamo fatti per la morte

«Nessun discorso - pur vero - ha di per sé la forza di attrarre l'io sottraendolo al vuoto di significato». Il Corriere della Sera pubblica un brano dalla prefazione al libro di Giussani appena uscito: "Attraverso la compagnia dei credenti" (Bur)
Julián Carrón

Ci sono parole che all’improvviso si riempiono di significato. Provocati da una esperienza vissuta, esse acquistano in noi una densità senza pari. Non riusciamo più a pronunciarle senza sentirne tutto il peso. Vibrano in noi con una potenza prima sconosciuta.
Pensiamo alla parola «paura», che davanti al Covid si è imposta all’attenzione di tutti come minaccia incombente su di noi o sulle persone a noi care. E che dire di un’altra parola, «vuoto»? Essa descrive la percezione che tanti hanno del proprio io, come se niente riuscisse a riempirlo, tanto è smisurato.

Eppure, in questo stesso tempo vertiginoso, ci stupiamo di cose che fino a poco tempo prima davamo per scontate o credevamo impossibili. Per esempio, restiamo a bocca aperta quando vediamo vibrare la vita di questa o quella persona, mentre altri tutto intorno si lamentano. Così siamo sorpresi dal brillare di una positività e di una gioia nel volto di un amico, che inonda tutta la vita di una intensità unica; siamo invasi da una gratitudine sterminata per il fatto che esistano persone così e per essere stati così fortunati da averle intercettate sul nostro cammino. Esse smentiscono l’opinione diffusa che tutto finisca nel nulla e che non ci sia speranza del futuro.



Possiamo vedere don Giussani costantemente impegnato a prendere coscienza della realtà, fino a identificare nella lotta tra l’essere e il nulla la sfida più decisiva con cui l’uomo contemporaneo deve fare i conti. Dove si svolge questa lotta? «L’io, il nostro io, è il crocevia tra l’essere e il nulla». In questo crocevia, la vita emerge in tutta la sua drammaticità, non si può infatti rinunciare ad affrontare una così grave questione: «Se l’esistenza finisca nella polvere del tempo che passa e il suo passare non sia che il costruirsi di una tomba o di una prigione dove noi soffocheremmo – e ne moriremmo, inutilmente! –, oppure se il tempo sia gravido di futuro».
Per Giussani, «sono come sconfinate tutte e due le ipotesi: il nulla assoluto, il nulla del nulla – e siccome è polvere almeno palpabile, possiamo dire: un deserto senza fine –, oppure la responsabilità dell’eterno, di fronte all’eterno». Sono due ipotesi che si affacciano sul nostro orizzonte a ogni risveglio; che lo vogliamo o no, «tutte le mattine siamo costretti a scegliere fra un tutto che finisce nel niente (…) e la vita che ha uno scopo», tra il morire «come» cani e il vivere secondo la «misura dell’eterno».



È l’urgere in noi di queste domande a costituirci come esseri ragionevoli. Sono di una portata tale che non lasciano scampo. Siamo chiamati a rispondere. Se i nostri gesti e le nostre parole sono senza significato, senza dignità, consumiamo il nostro tempo per la morte, il nostro agire è vuoto. La Bibbia considera questa modalità di vivere senza significato una sorta di alleanza con la morte. Ma questa impostazione del vivere non può cancellare del tutto un dato, una evidenza prima: noi non siamo fatti per la morte. Possiamo riconoscerlo più facilmente quando pensiamo non a noi e alla nostra fine, ma quando perdiamo una persona veramente cara. Per lo strappo che sentiamo davanti alla sua mancanza, nel momento della perdita ci rendiamo pienamente conto del suo valore, del bene che la sua presenza rappresentava per noi. Lo constatiamo per il vuoto incolmabile che lascia dentro di noi.
Ma che cosa può sfidare la morte? Ragionamenti, discussioni e ribellioni non riescono a intaccare minimamente il suo dominio. Solo una vita traboccante può contendere efficacemente con la morte. Soprattutto oggi, non bastano gli argomenti logici, perché questi non inchiodano più nessuno, non sono in grado di convincere. Nessun discorso – pur vero – o appello morale – pur giusto – ha di per sé la forza di attrarre il centro dell’io sottraendolo al vuoto di significato nel quale è così facile precipitare, quasi senza accorgersene.

Inviando il Suo Figlio, Dio ha introdotto nel mondo l’unico metodo efficace per sfidare il nulla. Infatti, solo una presenza traboccante di vita può contendere la scena al nulla, al vuoto, alla paura. Ma come riconoscerla? «In realtà noi possiamo riconoscere solo ciò per cui si dà in noi una corrispondenza», diceva il cardinale Ratzinger. E don Giussani: «C’è il documento di una corrispondenza senza paragone. Avviene un incontro, l’incontro con uno, con una presenza che corrisponde al tuo cuore», cioè alla natura costitutiva dell’uomo, fatta di esigenze di verità, bellezza, giustizia, amore, felicità.
Per don Giussani è semplice riconoscerLo: «Se Gesù è Dio fatto uomo, nato dalle viscere di una giovane donna di quindici o diciassette anni, se Gesù è Dio fatto uomo, deve essere per forza semplice il modo con cui l’uomo, errabondo in mezzo ai suoi bisogni, Lo può riconoscere». È innanzitutto in un avvenimento che tale Presenza si rende incontrabile, cioè in qualcosa che si può intercettare con i propri sensi, che si può vedere, udire e toccare.