Canada. «Che cosa ci viene chiesto?»

Il ritrovamento di centinaia di sepolture di bambini nativi nei dintorni di alcune ex scuole ha sconvolto il Paese e il mondo. E riaperto grandi ferite. La Comunità di CL locale ha pubblicato un documento

Il Canada e il mondo sono rimasti scioccati dalla scoperta di molte tombe di bambini senza nome nei dintorni di ex scuole residenziali, 215 a Kamloops, 751 a Marieval, Saskatchewan, e altre ancora. Dopo l’iniziale costernazione e sconcerto ci ritroviamo a cercare, brancolando, delle risposte. Come è stato possibile che scuole istituite e organizzate dallo Stato canadese e gestite da congregazioni cattoliche siano state il luogo di tante sepolture? Come sono potuti morire così tanti bambini? Perché i loro corpi non sono stati restituiti alle famiglie? Ci sono molte accuse e insinuazioni, ma in questo momento non conosciamo tutti i fatti. Né abbiamo risposte a molte domande che fanno da sfondo a quelli che conosciamo. Ci vorrà tempo per trovarle.

Mentre i canadesi possono essere sconvolti davanti alle recenti notizie dei media, le nostre sorelle e i nostri fratelli delle “Prime Nazioni” (i cosiddetti “nativi”) ne sono traumatizzati. Non sospettavano che ci fossero così tanti bambini sepolti vicino alle scuole. Sapevano che era una possibilità, e che era solo questione di tempo prima che i fatti venissero a galla. Come ogni ingiustizia che non è arrivata a una riconciliazione, la scoperta ha fatto riaffiorare ancora una volta il trauma legato all’esperienza delle scuole residenziali in migliaia di persone che lo avevano già vissuto.

In questioni così complesse e dolorose come le scuole residenziali e le sepolture dei bambini, è facile per noi perdere la fede, rischiare di rimpallarsi le colpe, schierarsi sulla difensiva e impegnarsi in discussioni astiose che non portano lontano. Un sincero desiderio di conoscere la verità ci chiede di avere almeno l’onestà e la pazienza di attendere che i fatti vengano chiariti. Il nostro obiettivo finale è la giustizia, ma i molti bambini e le famiglie colpite non potranno mai ottenere una giustizia completa, così come i diretti responsabili non potranno mai risarcire appieno il danno che hanno fatto. Il nostro bisogno di giustizia è infinito.

Il bisogno di giustizia può indurci a cercare di capire da dove viene l’“altro”, ad aiutare le nostre sorelle e i nostri fratelli nativi, a renderci consapevoli del loro dramma, delle loro ferite, dei loro bisogni e desideri, e quindi ad andare alla radice dei nostri desideri più profondi. Julián Carrón, commentando le scuse di Papa Benedetto XVI del 2010 ai bambini vittime di abusi sessuali per mano di sacerdoti e religiosi, ha affermato che il «riconoscimento della vera natura del nostro bisogno, del nostro dramma, è l’unico modo per salvare - per prendere sul serio e per considerare - tutta quanta l’esigenza di giustizia».

Molti politici, rappresentanti del Governo e media hanno esercitato una grande pressione sulla Chiesa e su Papa Francesco affinché presentino delle scuse formali. Papa Benedetto XVI si era scusato con il leader dei nativi, Phil Fontaine, ricevuto in Vaticano nel 2009 con una delegazione in udienza privata. I Vescovi canadesi si sono scusati più volte per i torti commessi nelle scuole residenziali. E se nuovi fatti portano a individui che hanno rappresentato istituzioni cattoliche e commesso abusi, allora questi crimini ed errori devono essere riconosciuti, perché non sono conformi al Vangelo.

Cosa ci chiede questo? Intendiamo puntare il dito contro gli altri oppure condividere la ferita e la sofferenza dei popoli indigeni del Canada? Il nostro caro amico Dave Frank, un anziano nativo Ahousaht, ci ricorda che le vere scuse sono possibili solo all’interno di un rapporto. Solo se siamo disposti a camminare con le persone a cui abbiamo fatto del male, a entrare nel loro mondo, a soffrire con loro, possiamo incominciare a chiedere scusa. Delle scuse sincere richiedono un incontro, non una dichiarazione generica a un gruppo di persone, ma un messaggio faccia a faccia. Il vero dolore e il rammarico sono possibili solo di fronte a una presenza. Un’altra cara amica, Christine Jones, che lavora con dei nativi Stó:lō, ci ha ricordato che il vero cambiamento può iniziare solo a livello locale, «faccia a faccia, in un incontro molto umano». Dave Frank ha detto che il nostro principale impedimento alla riconciliazione è la mancanza di fede. Pensiamo di avere qualcosa da difendere e in qualche modo il rischio di chiedere scusa potrebbe esporci a ogni sorta di pericolo. Ma cosa c’è da temere? Cosa c’è da difendere? Perché dovremmo temere la verità? «Se avete fede», dice Dave Frank, «ci sarà chi si prende cura di voi». Infatti, proprio perché sono consapevoli del loro bisogno e si aggrappano a Cristo, i cristiani non temono di riconoscere il loro peccato e i loro sbagli davanti a tutti, non esitano a chiedere perdono.

Delle vere scuse non possono mai essere un atto formale, perché pongono la loro speranza nell’inatteso, nella possibilità del perdono, nella prospettiva di una novità che non possiamo darci da soli.

C’è una lunga strada verso la riconciliazione con i nostri fratelli e sorelle nativi, ma c’è una strada altrettanto lunga per i canadesi di qualsiasi origine. Il nostro orgoglio e la fretta di accusare gli altri nel passato e nel presente, e di cercare capri espiatori, la nostra dimenticanza e indifferenza verso i nostri popoli indigeni che soffrono e sono trascurati dalla società, il nostro disprezzo per l’umanità degli altri, devono essere risanati.

Indipendentemente dal nostro legame con questa vicenda complessa, possiamo quanto meno testimoniare il fatto che siamo tutti feriti in un modo o nell’altro. Possiamo riconoscere la nostra comune umanità, desiderare una nuova unità e tendere una mano ai nostri amici nativi. Non possiamo partire da delle «scuse sincere», come suggerisce Dave Frank? Significa ammettere gli errori del passato e quelli di oggi, provare rammarico, desiderare di accompagnare ed essere accompagnati dall’altro, affidarsi e non temere le conseguenze. Le scuse sincere sono un rischio, perché ci abbandoniamo a un nuovo, sconosciuto cammino con la persona che abbiamo offeso o che ci ha offeso. Ma, come aggiunge Dave, «sono sempre un inizio, e Cristo mostrerà la strada».

Comunione e Liberazione Canada