Un'Europa da costruire "cuore a cuore"

Elezioni alle porte per il Vecchio Continente chiamato a fare i conti con le fatiche del presente e con la sua sua storia. Simona Beretta, docente di Politica economica alla Cattolica, confrontandosi con il volantino CdO, spiega cosa c'è in gioco
Maria Acqua Simi

Le elezioni europee si avvicinano e la posta in gioco non è mai stata così alta. Abbiamo chiesto a Simona Beretta, collaboratrice della Commissione Affari Sociali della COMECE (Commissione delle conferenze episcopali dei Paesi UE) nell’ultimo decennio e ordinario di Politica economica nella facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, di confrontarsi con il volantino della Compagnia delle Opere sull’appuntamento dell’8 e 9 giugno, intitolato “Per la pace, un orizzonte ideale”.

«Sono grata di questa pubblicazione che parla apertamente di pace, di democrazia e di intelligenza artificiale, ma non lo fa in maniera moralistica. Mi pare che centri il punto: l’Europa è casa nostra e per questo non possiamo disinteressarcene. Il testo affronta anche le questioni aperte: non trascura che ci sia un problema di identità, di ruolo delle istituzioni, di rapporti tra i Paesi membri e non membri; ma mette a tema la pace che è la cosa culturalmente più importante, decisiva, imprescindibile». Nella pace, cioè nella possibilità di convivere fra diversi, c’è tutto.

«Concordo in pieno quando si dice che al centro del progetto europeo iniziale non c’era l’economia, ma il desiderio di costruire una pace stabile e duratura. Una certa narrazione vuole che l’Unione Europea sia nata come reazione alle ferite delle grandi tragedie della Seconda guerra mondiale. Non è così: non si costruisce come reazione alle ferite, occorre partire da una speranza certa di convivenza possibile. Abbiamo avuto la grazia di avere in quel momento storico tre grandi statisti cristiani - De Gasperi, Schuman e Adenauer - che furono capaci di dialogare con tutti: laici, comunisti, atei. E di pensare così una casa comune. L’UE è nata dalla consapevolezza che si può vivere insieme, da una speranza cristiana così credibile che poteva essere comunicata e che risuonava anche nelle speranze di altre personalità laiche come Altiero Spinelli o Paul-Henri Spaak. L’Unione Europea è stata resa possibile da quella speranza, che è stata capace di incarnarsi in una realizzazione economica e politica che, pur con tutti i limiti, è cresciuta e ha una sua storia».

Che cosa ha fatto l’Europa delle sue origini? «Oggi il rischio è quello di voler difendere un astratto “progetto europeo”», risponde la docente, «ma di scordarsi l’idea di convivenza pacifica che è all’origine di questa grande avventura. L’Europa avrà un futuro se non sarà solo un progetto tecnocratico, col suo disegno istituzionale, il suo apparato di bilancio e la sua capacità operativa. La tecnica è necessaria, come le istituzioni e le risorse per attuare azioni comuni; ma la tecnocrazia è una malattia grave. Per questo credo sia necessario trovare oggi vie di dialogo con chi davvero ha a cuore l’urgenza della pace. Perché ora che la guerra è tornata, non dobbiamo dimenticare che la pace la fanno le persone. La pace nasce dal basso». Per la Beretta, l’urgenza è che «l’Europa riscopra se stessa e la sua vocazione alla pace. Proprio come disse Giovanni Paolo II quando tenne il memorabile discorso sull’Europa il 9 novembre 1982 a Santiago de Compostela. Il mondo era ancora diviso in blocchi e il crollo del Muro di Berlino un sogno impossibile, ma lui insisteva su una sola cosa: la riscoperta delle radici europee».



Altro tema posto dal volantino CdO è la necessità di recuperare il senso di una democrazia realmente compiuta. «Torno al 1989, certamente un anno spartiacque. La fine della guerra fredda è sempre raccontata come la vittoria di un sistema su un altro, la vittoria del mercato sul collettivismo. Ma questo ci ha fatto dimenticare la dimensione culturale e umana di quella resistenza sotterranea che fu decisiva all’epoca - e che rimane decisiva anche oggi. Da questa dimenticanza viene lo svuotamento della democrazia, che si è tentato inutilmente di esportare con le armi e con il mercato e che è in affanno anche dove pareva acquisita: pensiamo per esempio alle tante votazioni (Brexit, Trump) che vengono vinte quasi per caso, per un pugno di voti. Perché - e qui sposo totalmente il giudizio della CdO - non c’è più un’idea di popolo, di comunità. Oggi gli uomini sono soli, facile preda di “occhiute rapine”; votano soli (quando lo fanno), come se si trattasse di un like sui social. Sono rari gli spazi di lavoro e di giudizio politico comune, così come gli spazi di confronto fra diversi che sappiano ascoltarsi a vicenda. La democrazia è più di una procedura formale: si attua a partire dalla certezza della centralità della persona e della sua natura relazionale, ha a che fare con la dignità trascendente della persona. Questo è il vero patrimonio europeo, che ha permesso di riconoscersi tra diversi (laici e cristiani, ad esempio) e di camminare insieme. Credo sia necessario ripartire da qui».

Beretta chiarisce che la sfida politica è costruire una vera realtà di popolo in Europa. L’Europa dei popoli non è però solo un affare di rapporti fra gli Stati, di disegno delle istituzioni o questione da delegare ai parlamentari. «Dobbiamo farla nel nostro condominio, nella città, nel paesello. Abbiamo possibilità che per i nostri nonni erano inimmaginabili: pensate alla mobilità dei lavoratori o degli studenti all’interno dell’Europa. Sono cose che vanno coltivate e custodite, che possono aiutarci ad uscire dalla gabbia di un individualismo solitario e a riconoscerci possibili protagonisti di una vicenda di popolo, che è “europeo” da millenni. La ricostruzione dell’Europa dei popoli e dell’uomo intero si riguadagna solo “cuore a cuore”, come diceva il cardinale Newman. Si vede da come educhi i figli, da come paghi le tasse, da come concepisci il tuo lavoro o da come tratti i vicini di casa. Da queste cose quotidiane si vede se ti concepisci parte di un popolo o no. Non è vero che dal basso non si può realizzare nulla, anzi: si può fare tutto».

Si tratta del risvolto pratico di quel multilateralismo “dal basso” di cui ha parlato papa Francesco nel recente documento Laudate Deum. «Non è un sogno, è una modalità operativa che la diplomazia vaticana mette spesso in campo e che porta frutti di pace per la comunità internazionale, attraverso la mobilitazione di Paesi “piccoli”, dotati di scarso potere sulla scena internazionale. È successo per esempio col Programma d'azione per prevenire, combattere e sradicare il commercio illegale di armi leggere e di piccolo calibro: dopo un lungo iter, le Nazioni Unite avrebbero approvato nel 2013 il Trattato sul commercio delle armi. Anche il processo di Ottawa contro l’uso, la produzione e la fabbricazione delle mine antiuomo, menzionato nella Laudate Deum, mostra che la società civile può avviare processi di cambiamento in modo più efficace delle grandi istituzioni come l’Onu, data la loro complessità».

Restando sul ruolo dell’Europa, chiosa la docente, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco hanno costantemente richiamato le istituzioni e il popolo europeo a non perdere di vista il suo ruolo prezioso per l’amicizia e la pace tra i popoli. «C’è un documento di papa Francesco molto bello: la lettera che fece leggere al cardinale Parolin nel 2020 per il 50° anniversario delle relazioni tra Santa Sede e UE. Riprendendo l’esortazione di Giovanni Paolo II “Europa, ritrova te stessa!”, la lettera dice: “Ritrova dunque i tuoi ideali che hanno radici profonde. Sii te stessa! Non avere paura della tua storia millenaria che è una finestra sul futuro più che sul passato. Non avere paura del tuo bisogno di verità che dall’antica Grecia ha abbracciato la terra, mettendo in luce gli interrogativi più profondi di ogni essere umano; del tuo bisogno di giustizia che si è sviluppato dal diritto romano ed è divenuto nel tempo rispetto per ogni essere umano e per i suoi diritti; del tuo bisogno di eternità, arricchito dall’incontro con la tradizione giudeo-cristiana, che si rispecchia nel tuo patrimonio di fede, di arte e di cultura. Oggi, mentre in Europa tanti si interrogano con sfiducia sul suo futuro, molti la guardano con speranza, convinti che essa abbia ancora qualcosa da offrire al mondo e all’umanità”».

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«Non perdiamo il senso e lo scopo di questo voto», ammonisce Beretta. «Lo hanno richiamato anche il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Matteo Zuppi, e il presidente della COMECE, Mariano Crociata, in una recente lettera indirizzata direttamente alla “Cara Unione Europea”, che riecheggia anche nei toni il testo di Francesco del 2020: “Europa dove sei? Che direzione vuoi prendere?”. In realtà è una lettera scritta per fare appello a tutti, candidati e cittadini, perché sentano quanto sia importante compiere questo gesto.

Se è vero che tutti noi, nessuno escluso, abbiamo bisogno di verità, di giustizia e senso di eternità, dobbiamo anche avere il coraggio di dire che vogliamo custodire questa nostra casa, con la sua storia millenaria che è una finestra di speranza sul futuro. Che vogliamo l’Unione Europea - la quale non è certo perfetta: è vero che in essa si litiga come in tutte le case, ma almeno si può litigare in santa pace! La UE rimane un luogo dove abbiamo visto che una convivenza dei popoli e per i popoli è possibile, attivando processi di coesione e di inclusione. Certo: la UE soffre di un gap democratico, dirà qualcuno; e ha ragione. Qualcun altro parlerà dei limiti del funzionamento burocratico delle istituzioni: certo, sono perfettibili come tutti i tentativi umani. Ma non dimentichiamoci che in questa casa europea c’è spazio per una creatività personale e di popolo che è più che mai necessario coltivare a tutti i livelli».