Livatino, un volto amico in carcere

La mostra sul magistrato beato ha “visitato” tre carceri milanesi, presentata dagli stessi detenuti. «Rosario, tu che hai chiesto la tutela di Dio, tutela anche me per il male che ho fatto»
Giorgio Paolucci

Sub tutela Dei”. Qualcuno non sapeva neppure tradurre dal latino le tre parole che Rosario Livatino scriveva sulle pagine delle sue agende, ma tutti hanno percepito di stare davanti a qualcuno che li provocava. Un uomo che aveva tra le mani il potere di giudicare le persone e di condizionarne il futuro, sentiva tutto il peso di questa responsabilità e chiedeva a Dio l’aiuto per poterla esercitare al meglio. Era la prima volta che la mostra inaugurata al Meeting di Rimini nel 2022 e dedicata al magistrato assassinato a 37 anni nel 1990 sulla statale che collega Agrigento a Caltanissetta - proclamato beato dalla Chiesa nel 2021 - veniva allestita in un carcere. Anzi in tre: Bollate, Opera e Monza, per iniziativa dei volontari dell’associazione Incontro e Presenza, che hanno anche promosso un convegno pubblico in ciascun istituto. Agenti della Polizia penitenziaria, personale dell’amministrazione e tanti detenuti hanno risposto all’invito e la cosa ha lasciato il segno, generando non poche sorprese.

La prima è stata la disponibilità di alcuni carcerati a mettersi in gioco fino a presentare la mostra ai loro compagni facendo le guide, dopo avere studiato il catalogo e seguito un itinerario di formazione. Una cosa che non t’aspetti, specialmente in carcere: detenuti che raccontano la vita di uno che sta “dall’altra parte”.

Non ti aspetti neppure certi commenti. «Più leggo e mi immergo nel materiale che mi avete lasciato per prepararmi a fare la guida, più sono affascinato dalla scoperta di quest’uomo - ha scritto Alessio ai volontari di Bollate -. Vi sarò sempre grato di questa opportunità». Marcello ha fatto della pittura uno strumento di riscatto e di scoperta della Bellezza nei lunghi anni trascorsi in cella, e ha realizzato un ritratto di Livatino che è stato esposto in occasione del convegno promosso nella Casa di reclusione di Opera, accompagnato da queste parole: «Proprio nella situazione più estrema la salvezza mostra il suo volto. Dipingere è stato uno squarcio di luce nel buio che stavo vivendo. Dipingere il suo volto mi ha provocato una mescolanza di emozioni e portato indietro nei ricordi di un passato che anche se non mi appartiene più, mi trascino dietro come valigie appesantite dal tempo. Come dice il Salmo 38, “non c’è pace nelle mie ossa a causa del mio peccato”. Ogni uomo può partire da dove si trova e giungere a Dio».



A Monza la mostra è stata proposta anche ai “collaboratori di giustizia”, uno di loro ha lasciato scritto: «Rosario, ti ho conosciuto come un uomo coraggioso. Tu che hai chiesto la tutela di Dio, tutela anche me per il male che ho fatto». Adam, detenuto ultrà della curva interista, colpito dalla radicalità con cui il magistrato ha vissuto, ha proposto un parallelo calcistico: «Lui ha fatto come Totti con la Roma, era il migliore e poteva andare altrove, eppure ha voluto rimanere nella sua terra per servirla».

Servire la sua terra e servire la verità come qualcosa di più grande di noi, «nel solco dell’educazione ricevuta dai genitori, avendo sempre rispetto dell’umano che aveva davanti, in ogni circostanza - ha commentato Ilaria Perinu, sostituto Procuratore presso il Tribunale di Milano -. La sua eredità non è quella di un eroe dell’antimafia, ma la testimonianza della profonda unità tra l’uomo e il magistrato nata da una fede che permeava ogni aspetto dell’esistenza e diventava contagiosa. La conversione dei suoi assassini è il primo miracolo di Livatino e la domanda di perdono che emerge da alcune testimonianze della mostra è la conferma che per tutti ci può essere la possibilità del cambiamento». Così il cugino del magistrato, Salvatore Insenga, partecipando a un incontro con i detenuti ha ricordato la lezione di Livatino: «Anche la persona che ha commesso un crimine efferato è un essere abitato da Dio, solo che se l’è dimenticato». Ma può accadere il miracolo, «e il primo miracolo è il cammino di conversione intrapreso dai suoi assassini, la decisione di cambiare strada».



La domanda di perdono è risuonata anche nella viva voce di chi aveva preso parte all’omicidio del magistrato, e che dopo lunghi anni di detenzione in regime di carcere duro ha iniziato un percorso che sta lentamente cambiando la sua esistenza: «Ho sperimentato sulla mia pelle che ci sono incontri di perdizione e incontri di salvezza che possono dare alla vita una direzione nuova e aiutarti a capire che l’uomo non è il suo errore, come io non sono il reato che ho commesso. Posso dire di vedere con i miei occhi la verità delle parole di san Paolo: “Dove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia”».

Ascoltare parole come queste e dialogare con i detenuti che commentavano la mostra è stata per l’avvocato Paolo Tosoni, uno dei curatori, una conferma che «la memoria di Livatino non è il devoto ricordo di un eroe del passato, ma piuttosto una sfida per renderci conto che la fede aiuta a stare di fronte a qualsiasi circostanza e ci educa a guardare le persone come un mistero che non possiamo rinchiudere nei nostri schemi. Per questo conoscere la sua vita ha cambiato anche il mio modo di esercitare la professione forense».

Nei giorni di esposizione della mostra nelle varie carceri si sono coinvolti anche i rappresentanti delle istituzioni, compresi i vertici della Polizia penitenziaria. In occasione del convegno organizzato a Opera, il comandante Amerigo Fusco era al suo ultimo giorno prima di passare ad altro incarico dopo 17 anni di servizio, ma ha accettato di intervenire, raccontando un ricordo della sua infanzia: «Conservo nel cellulare una foto fatta ai tempi delle elementari in cui sono accanto a un mio coetaneo. Ricordo che a quei tempi tornavo a casa la sera e spesso non trovavo mio padre, agente di Polizia penitenziaria impegnato nei turni in carcere. Anche il mio amico tornava a casa e non trovava il padre perché era in galera, e la madre si prostituiva. Lui aveva molto meno di me la possibilità di scegliere e di rimanere sulla retta via, e difatti finì per seguire le orme del genitore. So che molti dei presenti sono qui perché hanno sulle spalle una storia simile, e a volte mi chiedo quanto le circostanze della vita possano determinare certe scelte e quanto possa davvero essere esercitato il libero arbitrio».

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«Sono stati giorni intensi e pieni di sorprese - commenta Fabio Romano, presidente di Incontro e Presenza -. Siamo stati spettatori del cambiamento che può generare l’incontro con persone che si sono lasciate interrogare dall’umanità e dalla fede di un uomo come Livatino, e questo ha cambiato anche noi volontari. Seguendo quello che è accaduto, è nato il desiderio che ciò di cui siamo stati testimoni non si esaurisca in quelle giornate. Nei prossimi giorni nelle tre carceri faremo un pranzo con volontari e detenuti, in alcuni casi anche con il comandante degli agenti e il direttore. Vedremo cosa accade ancora». E anche questa è una cosa “anomala”. Sembra proprio che Livatino continui a fare miracoli.