Un momento del pellegrinaggio a Czestochowa (Foto Tommaso Prinetti)

Czestochowa. Un «Sì» come quello di Maria

Il pellegrinaggio al Santuario della Madonna Nera come esperienza di conversione e unità. Dentro la scoperta che meta della vita è la santità, dono da domandare con cuore semplice
Sofia Polini

«È da cinque anni che vi stavamo aspettando, ci mancava la vostra presenza, siamo felici che siate qui, oggi». Così Stanislaw Dziwisz, cardinale emerito di Cracovia e segretario di Papa Giovanni Paolo II per l’intera durata del suo papato, accoglie quasi settecento giovani di CL arrivati nella cittadina polacca per iniziare una settimana di pellegrinaggio a piedi verso il Santuario della Madonna di Czestochowa. Ma perché una tale, per me inaspettata, accoglienza? Esplicita una prima ragione: durante la sua permanenza a Roma il Cardinale aveva avuto modo di conoscere e stimare l’esperienza di Comunione e Liberazione attraverso il bene che Giovanni Paolo II nutriva per don Luigi Giussani. Ma c’è di più. Continua: «Vi accolgo come amici, e non è una parola vuota, ci trattiamo come amici, perché siamo amici», e si unisce a lui anche l’accoglienza dell’arcivescovo di Cracovia, Marek Jedraszewski, il giorno seguente: «Siamo in cammino insieme verso una meta. Siamo amici. Ci siamo chiamati fratello e sorella, senza distinzioni, perché noi siamo la Chiesa e apparteniamo a un solo Padre». C’è poi una terza ragione di questa inaspettata attesa di noi da parte del cardinale. «Preghiamo e ringraziamo per il dono che voi siete anche per la Chiesa di Cracovia». Quest’ultima ragione mi è sembrata in un primo momento incomprensibile. In che modo io dovrei essere un dono per la Chiesa polacca?

L'assemblea iniziale (Foto Tommaso Prinetti)

Quando abbiamo iniziato a camminare ho capito con stupore quello che intendeva. Durante tutto il pellegrinaggio dalle case si affacciavano bambini, anziani, operai per salutarci o anche solo guardarci con occhi stupiti, come se fosse arrivato un dono molto personale alla loro porta. Quando un’infermiera ha portato fuori da una piccola casa di riposo tutti gli anziani in carrozzina perché potessero vederci io devo dire di aver visto nei loro sorrisi un anticipo di Paradiso. Mi sono sentita grande, grande perché in qualche modo capace di donare quel sorriso. Grande, grande, per l’appartenenza a un’amicizia che mi rende dono per il mondo. Sempre prima di partire da Cracovia, don Francesco Ferrari, che ha guidato il pellegrinaggio, ha indicato a tutti lo scopo dei giorni che avremmo passato insieme: «La meta della nostra vita è una meta grande. “Grandi cose ha fatto in me l’onnipotente”. La meta della nostra vita è la santità. Il santo è l’uomo felice, realizzato».

Ora che stiamo tornando mi chiedo: cosa ha reso me e le persone intorno a me realmente felici in questi giorni? Innanzitutto ho visto persone realizzate nei gesti di carità pieni di letizia che compivano. Una mattina, uscendo dalla mia tenda alle cinque e trenta, ho visto in lontananza una ragazza che si piegava in vari punti del campo base a raccogliere i rifiuti della sera prima, senza lamentarsi con coloro che li avevano lasciati in giro. Ho pensato: deve essere felice, felice davvero. Una sera, una ragazza laureata in medicina dava una mano a curare chi aveva bisogno, si è trovata la cena preparata da un gruppo di ragazzi che avevano notato che lei mangiava sempre molto tardi perché doveva mettersi a cucinare dopo aver aiutato in infermeria.

La carità è stata evidente anche in chi ha contribuito alla realizzazione del pellegrinaggio svolgendo mansioni molto faticose con gratuità. Commenta Giovanni del Clu della Bovisa: «Ho servito il pellegrinaggio aiutando i miei amici a caricare e scaricare gli zaini dai tir. Conosco bene la maggior parte di loro, nei pregi e nei limiti. In questi giorni sono stati superati da qualcosa d’altro: lavorare all’alba in letizia, sacrificarsi senza tornaconto, essere docili alle indicazioni di chi guidava. Questi fatti contrastavano con l’indole delle persone che avevo davanti. È successo qualcosa che ha cambiato il loro cuore. Davanti a questa conversione è nata la preghiera di una disponibilità a donare la mia vita, vedendo come chi lo ha fatto in questi giorni già gustava il centuplo, la letizia, la pace».

Un momento del pellegrinaggio (Foto Tommaso Prinetti)

Il momento in cui il mistero della carità e della letizia si sono rivelati nella loro massima chiarità è stato durante il momento più difficile del pellegrinaggio. Verso la fine della terza tappa è scoppiato un temporale tanto forte da rendere impossibile il montaggio delle tende una volta arrivati tutti al campo base, bagnati dalla testa ai piedi. Nessuno sapeva ancora cosa avremmo potuto fare per passare la notte all’asciutto. Mi racconta un amico di Gs: «Abbiamo cercato riparo sotto agli alberi quando ho sentito un canto alpino che saliva dal bosco. Mi sono avvicinato. Mi ha impressionato quello che ho visto: alcuni ragazzi stavano intonando dei canti in una maniera così seria, semplice e piena di gioia, per cui mi era impossibile staccarmi. Se in quel momento ci fosse stata la possibilità di andare in un posto al caldo in cui poter finalmente cambiarmi ed asciugarmi non sarei andato. E di questo sono proprio sicuro. Perché ciò che ha mosso quei ragazzi a cantare sotto il diluvio con le gambe e la schiena a pezzi, o a portare le ragazze al coperto o a recitare i vespri sotto la pioggia vale per me molto di più della comodità e della risoluzione dei problemi».

Quanto spesso, invece, penso che sia più importante risolvere i problemi una volta che si pongono, o che il compito della vita sia quello di fare sempre tutto più vicino alla perfezione possibile in modo tale da ridurre la possibilità che i problemi sorgano. Eppure, ho visto volti pieni di pace e capaci di perdonare il limite, il problema, nella certezza di un abbraccio persuasivo. Sono state poi le famiglie polacche ad accogliere quasi trecento persone, principalmente ragazze, facendo anche lunghi viaggi per venire a prenderle. Una chiesa unita sin nei bisogni più concreti. Racconta Emma di Gs Brianza: «A un certo punto mi sono accorta di non avere il sacco a pelo, di avere tutti i vestiti fradici e di avere bisogno di aiuto, dunque con umiltà ho posto ai ragazzi del politecnico la questione e loro prontamente mi hanno detto che c’era una ragazza e una famiglia che stava venendo da Cracovia apposta per noi».

Al campo base durante un giorno di pioggia (Foto Tommaso Prinetti)

Un modo di stare insieme che porta già dentro in sé la meta, quella realizzazione di cui parlavamo, eppure non ci ferma, ci fa continuare a desiderare, a camminare, perché quella meta è rapporto con Qualcuno che non smette di chiamare a sé. La certezza di essere su una strada buona, e l’adeguatezza del presente alle domande ultime della vita ci sono state testimoniate durante l’assemblea da Martina del Clu di Architettura: «Ero in tenda con un’amica che è tornata a casa il quarto giorno di cammino, dopo aver ricevuto notizia della morte di suo papà. La mattina in cui la mamma l’ha chiamata io l’ho abbracciata e poi abbiamo iniziato a prepararci, chiudere la tenda. Abbiamo fatto le stesse cose che facevamo tutti i giorni senza vivere lo scandalo che facessimo qualcosa che non c’entrava niente. Non desideravo altro che fare quello che stavamo facendo, e ho visto anche in lei come fare quelle cose era adeguato. Ho avuto la netta percezione che stava tutto dentro, il suo dolore, la notizia ricevuta, nel nostro stare insieme di quei giorni, nelle cose da fare, nelle preghiere, nei canti. Voleva addirittura rimanere fino all’arrivo al Santurario, poi ha pensato fosse meglio tornare».

Czestochowa 2024 (Foto Tommaso Prinetti)

Anche Pilar del Clu dell’Argentina, testimonia la scoperta di un Paradiso che già inizia qui e insieme motiva il desiderio di continuare a camminare: «Stavamo camminando. Eravamo in mezzo a un bosco, in silenzio. In quel momento mi sono detta: questa è la vita. Camminare accompagnata verso Colui che mi aspetta sempre. Un cammino nel quale il sapore di Paradiso c’è già perché comincia qui». Ad accompagnarci nel cammino e ad attenderci c’era un volto chiaro: «Durante il cammino, lo sguardo ha cominciato a fissarsi sullo stendardo raffigurante la Madonna di Czestochowa, sempre alzato di fronte a noi pellegrini, quasi come promemoria tenace della meta. Così il desiderio che c’era in me alla partenza – che la mia vita non sia mediocre o anonima ma grande e unica – è diventato domanda a Lei: “Maria, che la mia vita non sia un centimetro più piccola della tua”».

Arrivati a Czestochowa, ci siamo inginocchiati in settecento in silenzio davanti al Santuario. Poi abbiamo cantato Non nobis Domine, sed nomini tuo da gloriam. Lì ho capito con il cuore, con gli occhi e con il corpo quale sia stata la grandezza di Maria, la sua santità: il suo sì. Non l’abolizione della paura o del limite, ma il riconoscimento di un amore tanto grande sulla propria vita da dirGli sempre con coraggio di sì, da vivere per la Sua gloria, anche senza capire. E l’amicizia tra noi in questi giorni è stata sostegno a pronunciare il nostro sì. Innanzitutto perché questa compagnia ci fa una proposta continua chiara, ordinata, orientata all’ideale. Dice Stefano, un giessino della Brianza: «È impressionante pensare alla densità di proposte e occasioni che ci venivano suggerite da Fra, e ancora di più mi ha colpito come questi momenti venivano vissuti. In ogni momento in cui a prevalere potevano essere la fatica e la stanchezza vi era invece una spontanea adesione alle proposte».

L'arrivo del pellegrinaggio a Czestochowa 2024 (Foto Tommaso Prinetti)

Durante il cammino ci sono stati proposti momenti di silenzio – in cui per me era possibile riprendere coscienza di me stessa, rimettermi di fronte alla mia umanità, fino a domandare aiuto, aprendomi al rapporto con il grande interlocutore della storia d’amore che è la mia vita –, momenti di preghiera – in cui il rapporto con questo interlocutore è vissuto nell’unità con la Chiesa che sceglie per me le parole più adeguate per farlo – e momenti di sostegno alla fatica in modo più semplice tra noi. I canti ci hanno accompagnato ogni giorno perché, come mi ha detto Marta che ha servito il cammino con la sua voce, «il canto ha la capacità di rivelare l’unità della vita e l’unità tra noi, potendo esprimere ogni sfumatura dell’esistenza nella bellezza e nella non-solitudine, dalla preghiera, alla festa, al grido di dolore, al ringraziamento».

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L’ultima sera ho cenato con alcune ragazze di Gs. Sofia condivideva con le amiche la paura che la bellezza che ha visto al liceo, che definiva un “tutto” incontrato qua sulla terra, finisse una volta finito il liceo, una volta persi di vista certi volti, tramite di quel “tutto”. Una sua amica, Carlotta, le rispondeva: «Anche io avevo paura di lasciare il liceo, ma in questi giorni mi sono accorta che quello che ho visto lì non finisce, è presente non solo nel volto dei miei amici ma in tutti quelli che ho visto intorno a me, è una Presenza tra noi». Quando io sono arrivata davanti alla Madonna Nera ho pensato, in fondo, la stessa cosa: tra noi c’è una Presenza oggettiva, che ha scelto di essere tra noi, non è stata generata da noi e non dipende nemmeno dal nostro entusiasmo nel riconoscerla, dipende però – dolcezza delle dolcezze – dal «Sì» di ognuno di noi. La Presenza di Dio tra noi è dipesa duemila anni fa dal «Sì» di Maria. Io ho bisogno di Dio ma Dio, amandomi, chiede di me, ha bisogno di me, vuole il mio «Sì». Ho chiesto a Maria di sostenere il mio «Sì» per tutta la vita, con la sua stessa semplicità.