Quelle cene tra colleghi
Gli uomini vivi si incontrano. Persino all’ombra delle Tre Torri, nel cuore frenetico del quartiere City Life di Milano. E può capitare che scoprano di appartenere alla medesima storia e che nasca qualcosa di nuovo, il germe di un’amicizia non scontata né dovuta che diventa punto di lavoro, di aiuto a vivere il compito di costruire la Chiesa. È successo a un piccolo gruppo di tre, quattro persone, che hanno cominciato dandosi appuntamento tra una pausa caffè e qualche pranzo, poi sono aumentati: oggi sono una trentina, da più d’una società di quelle che hanno ridisegnato lo skyline milanese o da aziende vicine. Si vedono periodicamente, anche a cena, e per loro la Giornata d’inizio anno di CL è stata l’ennesima provocazione su come vivere quella «fedeltà creativa» – per dirla con papa Francesco – all’«incontro umano» che, come ha ricordato il presidente della Fraternità Davide Prosperi, «ci ha immesso nella vita del Corpo di Cristo».
«I miei colleghi sanno che sono credente e del movimento», racconta Francesco, classe 1976, manager in una grande compagnia assicurativa. «Personalmente ho sempre avvertito l’urgenza di vivere l’originalità e l’intelligenza della fede nell’ambiente di lavoro», confida al termine di una giornata impegnativa. «Non che io abbia provato a inventare chissà cosa…», puntualizza, lui che di formazione è ingegnere, ma «ho cercato di mettermi in gioco con semplicità di fronte a gesti e iniziative del movimento, come la Colletta alimentare, invitando i colleghi». Oppure portando i tradizionali calendari di Avvento della comunità di Varese, da dove proviene.
Poi ha incontrato altri amici del movimento e hanno iniziato a frequentarsi. C’è chi ha più esperienza e chi si è da poco affacciato sul mondo del lavoro, un «gruppo piuttosto eterogeneo, dove ognuno vive già la comunità dove abita. Con alcuni abbiamo iniziato a riprendere il testo di Scuola di comunità in pausa pranzo, con altri questa amicizia si è rivelata d’aiuto a giudicare le esperienze che, nella quotidianità, tutti viviamo». Nel frattempo, il passaparola ha contribuito a far crescere il gruppo, che pure continua a vivere di una certa informalità. Non c’è fretta di inquadrarlo in una forma.
A cena, dove qualcuno ha invitato moglie o marito, c’è più tempo per approfondire gli spunti emersi. Nel frattempo, la Giornata d’inizio ha spalancato l’orizzonte. Lui è rimasto colpito da un passaggio sulla missione come dimensione della vita e da una frase di don Giussani tratta da Il senso di Dio e l’uomo moderno: «La genialità radicale di un soggetto sta nella forza della coscienza di appartenenza». «Mi colpisce», sottolinea il manager, «quanto possa essere “carnale” questa appartenenza, per cui – come ci ha ricordato Prosperi – se fossi da solo a vivere l’esperienza cristiana in un certo luogo cercherei, con una telefonata, anche dall’altra parte del mondo, un riferimento che mi tenga legato a questa comunione».
Mentre parla gli torna in mente quanto detto dal cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, al Meeting di Rimini, ripreso alla Giornata d’inizio: «Devo portare questa esperienza dell’incarnazione, dell’umanità di Cristo, dell’incontro con Cristo, dentro la realtà che vivo oggi […]. E ogni valutazione, ogni decisione, ogni scelta, ogni parola da dire deve essere compatibile con quell’esperienza, con quella relazione, con quell’amicizia». Osserva Francesco: «Sono rimasto colpito perché non è dall’intelligenza del singolo, fosse anche il più acuto tra noi, che può nascere una posizione originale, ma dalla sequela all’esperienza del movimento per come lo incontro oggi».
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Il primo frutto generato da questa vicenda, conclude, «è che siamo ancora più presenti e vivi, ciascuno nel posto dove opera, con un’ipotesi costruttiva, creativa, e una possibilità di bene per tutti, anche in situazioni difficili». Un’ipotesi che «introduce un criterio e un gusto nuovi sia nell’affrontare le decisioni piccole e grandi della quotidianità lavorativa, dalla revisione di un contratto al lancio di un nuovo servizio, sia nella gestione di una criticità che può insorgere, senza che imperversi il lamento». Ma soprattutto «apre a un’attenzione e una tensione valorizzatrice dell’altro, inclusiva di tutti i colleghi e colleghe dell’ufficio e delle tante persone che si incontrano».