Una provocazione per il presente

Alla presentazione in Università Cattolica di “Una rivoluzione di sé” don Giussani parla ancora. Attraverso chi è rimasto fedele a un incontro senza eguali
Maurizio Vitali

Una rivoluzione di sé. La vita come comunione non è semplicemente l’ultimo libro di discorsi di don Luigi Giussani (quelli dal 1968 al 1970, ora pubblicati da Rizzoli a cura di Davide Prosperi). È invece una rivelazione straordinariamente coinvolgente della “polla sorgiva” da cui è nata Comunione e Liberazione. Pensare che CL sia semplicemente un prosieguo di Gioventù Studentesca, riorganizzata per estendersi agli universitari e agli adulti, sarebbe molto riduttivo e anche piuttosto equivoco.

Nel 1968 Gioventù Studentesca andava a gambe all'aria. GS era divenuta nel 1965 organizzazione “riconosciuta” (dal cardinale Colombo) come ramo di ambiente dell'Azione Cattolica, sotto la guida di don Vanni Padovani. Non più dunque di don Giussani, che insegnerà Introduzione alla Teologia all’Università Cattolica. All’esplodere del Sessantotto, metà dei giessini se ne andò scegliendo l’impegno militante nell’estrema sinistra e tagliando i ponti con gli insegnamenti e la figura di Giussani. Insomma, c’era poco da riorganizzare.

Gli unici a non tagliare quei ponti furono un gruppo di ex giessini diventati adulti, che nel 1964 avevano dato vita al Centro Culturale Péguy. È da quelle parti che si deve andare a cercare la “polla sorgiva”.

Ecco, non è stata – non poteva esserlo – semplice presentazione di un libro la serata organizzata dal Centro Culturale di Milano e da Comunione e Liberazione il 14 novembre nella grande aula Gemelli dell’Università Cattolica. L’aula dove Giussani teneva i suoi affollatissimi corsi, confluiti poi nei tre volumi del Percorso: Il senso religioso, All’origine della pretesa cristiana e Perché la Chiesa. È stato un viaggio alla riscoperta commossa di quella «polla sorgiva» (l’espressione è di Francesco Cassese, responsabile della Fraternità di CL per la diocesi di Milano, che ha moderato l'incontro), carica anche di provocazione per il presente.

Quattro gli interventi: Eugenia Scabini, testimone in prima persona di quegli eventi; due professori affermati: Onorato Grassi, che ha seguito la vita di CL, e Silvano Petrosino, entrambi affascinati dal pensiero di Giussani; e infine Alessandro Poltronieri, un giovane ricercatore che CL l’ha incontrata in anni recenti.

Eugenia Scabini, professoressa emerita di psicologia sociale, fu tra le prime giessine: aderì alla proposta di don Giussani al liceo Berchet nel 1955, fu presidente di GS nel 1961 e, anni dopo, fu nel direttivo del Centro Culturale Péguy. Eugenia si mette, per così dire, nei panni di don Giussani: «Aveva 46-48 anni, età in cui un uomo di solito ha raggiunto una solida stabilità. Lui si è trovato in una situazione precaria, allontanato da GS cui aveva dedicato la vita, abbandonato da tantissimi che l’avevano seguito, senza altri incarichi che l’insegnamento in Università. Non gli ho mai sentito dire una parola di lamento né di recriminazione, né di delusione. Anzi, nonostante il dolore, era pieno di gratitudine».



E come reagì don Giussani? «Da gigante. Da gigante della fede. Invitato da noi del Péguy, soprattutto nelle sue lezioni per gli Esercizi spirituali o per l’inizio dell’anno sociale (raccolte nel volume, ndr) rilanciò l’annuncio cristiano in modo radicale, rivolgendosi a noi come adulti (“è passato il tempo in cui il valore delle cose coincideva con la modalità con cui venivano comunicate”)». «Un gigante della fede che non arretra di fronte al compito», prosegue la Scabini, e ricorda Giussani che dichiarava «la fatica e la mortificazione di parlarvi» di una cosa più grande di lui, la necessità di «parole che devono essere buttate là, con tenacia, anche se sembrano rimbalzare indietro o scivolare via. Ma questa tenacia la dà solo una convivenza». Ecco la grande parola, comunione. La vita come comunione, ecco la rivoluzione di sé. E la comunione è «coinvolgimento della mia vita con la tua e della tua con la mia, in nome di Cristo».

E lei, Eugenia, perché è rimasta? «Sentivo come una forza che mi teneva attaccata, non era nostalgia, aiutata da amici e figli. Sono rimasta nel profondo fedele, senza impegni di responsabilità. La pazienza e la fedeltà mi hanno salvata. Sono andata avanti perché i legami sono sacri».

Onorato Grassi è stato docente di Filosofia medievale. Ha avuto in mano «le carte» prima che fossero pubblicate nel libro, avendo collaborato alla redazione del testo. Cassese lo invita a raccontare i contraccolpi che ha avuto dalla lettura. «Ho cominciato a leggere un venerdì: non riuscivo più a smettere, per tutto il week end e il lunedì. Sono rimasto colpitissimo, perché quanto si trova nel libro non mi era tutto ignoto, eppure ho trovato novità sorprendenti. Innanzitutto ero convinto che il movimento fosse sostanzialmente continuato, invece bisogna dire che è rinato per un salto di qualità. In secondo luogo mi ha colpito di figura di lottatore di Giussani: lottatore per Cristo e perciò per l’umano, anche quando non era rimasto pressoché nulla e diceva “noi non sappiamo dove arriveremo”».

Il «resto» che è rimasto e che non sa dove arriverà: ecco il terzo contraccolpo, la consapevolezza di Giussani che il resto di Israele è il metodo di Dio. «Lo stesso discorso di Giussani si formulava non per una concatenazione di ragionamenti, ma vedendo cosa c’era in quel gruppo, vedendo cioè il Mistero che si incarna in un particolare».

Giussani considera molto bene le istanze di quegli anni, comprende il desiderio di cambiamento, ma esorta a non disattendere innanzitutto al cambiamento dell’io, senza cui ogni realizzazione sociale e politica si corrompe. Grassi ha sottolineato che il discorso di Giussani si formula osservando cosa accade in quel gruppo del Péguy.



Silvano Petrosino, professore di Antropologia filosofica, nota l’autenticità del discorso di Giussani: «Lui non è esterno al discorso, come fa ogni accademico che espone delle tesi, ma è dentro il discorso stesso». Il professore nota poi che per Giussani, come per Ratzinger, occorre proporre il Cristo reale. Un Cristo solo storico, infatti, non sarebbe incontrabile. Così come non è più incontrabile per tradizione, teoria o dottrina. «Tradizione e teoria non possono più muovere l’uomo di oggi... la cristianità è un solco socio-storico, è fatta di forme, ma il cristianesimo è un Avvenimento, parola che oggi dicono in tanti», nota il professore, «ma che Giussani aveva già detto nel ‘68!». Parole dette da un vero «padre della Chiesa per quel suo riportare tutto a quel punto sorgivo che è l’avvenimento di Cristo, perciò anche grande educatore».

Alessandro Poltronieri, dottorando in filosofia teoretica, ha l’età più o meno di quelli del Péguy nel ‘68. Non gli è difficile sentirli vicini. Testimonia come Cristo-Avvenimento si è reso incontrabile nella vita di comunione. «Non conosciamo Cristo se non per un fatto che ci è accaduto». Per lui la comunità del Clu (Comunione e Liberazione universitari, ndr). «L’amicizia nel Clu è stata decisiva per il formarsi della mia autocoscienza, la coscienza che un Altro vive in me e gli appartengo, Questa è la rivoluzione di sé: riconoscere che la salvezza è già avvenuta».

Tante altre belle cose sono state dette nell’Aula Gemelli l’altra sera, e qui non può essere detto tutto. Una cosa però si può fare: seguire l’invito della Scabini: «Questo libro è un testo speciale che va letto, mettendosi nell’atteggiamento di chi vuol fare un’esperienza di amore a Cristo e alla comunione. Sconsigliato farlo nei ritagli di tempo. Occorre leggerlo, rileggerlo, sottolineare con la matita, meditarci, tornare a riprenderlo».