Politecnico di Milano.

Il vantaggio della crisi

Mercoledì 15 giugno, la presentazione del libro di don Julián Carrón al Politecnico. Nel luogo del «progettare e del costruire», il rettore Giovanni Azzone e il professor Emilio Faroldi hanno dialogato con l'autore
Maurizio Crippa

Il pomeriggio di mercoledì 15 giugno fa caldo a Milano, tra un temporale e l’altro. Ma nell’Aula Rogers del campus Leonardo, al Politecnico, fa anche più caldo. Non solo perché è zeppa di studenti, e anche di molti adulti, ma perché c’è “un punto infiammato”, che è la ricerca di un punto di felicità e di ragione adeguato a vivere, a studiare, a educare, che è di tutti e di ciascuno e che li ha convocati lì. L’invito è a dialogare attorno a La bellezza disarmata, il libro di don Julián Carrón.

Sul palco, assieme all’autore, ci sono il professor Giovanni Azzone, rettore del Politecnico, e il professor Emilio Faroldi, ordinario di Tecnologia dell’architettura. E poiché «una delle funzioni di questa università è di essere un luogo di discussione», come dice subito il rettore, si tratta di un dialogo, non di una conferenza. E la prima cosa che l’ha colpito del libro, dice, è proprio «il ruolo dell’esempio, del maestro». Perché «la verità non si rivela come un dogma, ma attraverso l’esempio di vita delle persone, e questo è particolarmente vero per chi insegna». E se a volte l’università sembra ridursi a trasmettere nozioni, è invece «l’esempio di una passione» per il proprio fare, il proprio applicare la ragione a tutto ciò che può rendere non soltanto l’università, ma tutta la società, un luogo di crescita comune. «Libertà e scelta» sono, infatti, un altro spunto che Azzone sottolinea del libro. E sta proprio qui «il vantaggio di ogni crisi, come quella che sta attraversando attualmente la società», come scrive Carrón citando Hannah Arendt: «Costringe a tornare alle domande, esige da noi risposte nuove o vecchie, purché scaturite da un esame diretto».

Davanti a un “crollo delle certezze” come quello che ha colpito tutta la nostra società - dall’incertezza del futuro per i giovani all’immigrazione, dalla guerra alla convivenza -, dirà Carrón riprendendo gli spunti offerti dal dialogo, spesso si ritiene che basti moltiplicare le regole, della morale o della legge, insomma «sognare sistemi perfetti», come scriveva Eliot. Invece l’unica possibilità per cui «la crisi non divenga una catastrofe», catastrofe per l’io e per tutti, è quella di «affrontare la sfida della realtà senza pregiudizi e con lealtà». Tutti, e soprattutto in un luogo come questo, che è fatto per valorizzare la massima apertura della ragione, è «un’occasione strepitosa».

L’occasione non è mai un’astrazione per intellettuali, ma la possibilità che un incontro «possa dare un contributo positivo» alla vita. Sono le parole di dedica, racconta il professor Faroldi iniziando il suo intervento, scritte sul frontespizio della copia del libro che alcuni studenti gli hanno regalato. Un invito accolto «a scavare nel mio intimo», a «fornire risposte, ma soprattutto a porre quesiti». Il crollo delle evidenze su cui tanto insiste il libro è, secondo Faroldi, una domanda posta all’esperienza della fede, e non bastano le risposte astratte. Bisogna «imparare insegnando», e imparare «da se stessi in azione», dice citando un insegnamento di don Giussani. Faroldi è un architetto, cita Platone secondo cui l’architettura è una «forma della bellezza», ricorda che se le grandi opere dell’uomo resistono alla «catastrofe» è perché sono state progettate cercando un equilibrio tra «contingenza e totalità». Oggi, soprattutto in un ambito come l’università - un’università, poi, in cui «progettare e costruire» sono la specificità, ricorda Faroldi - è chiaro che è ancora maggiore il ruolo della libertà.

Cita Cervantes, don Carrón: «La libertà è il bene più prezioso che i cieli abbiano donato agli uomini». Perché, spiega, «siamo tutti meno presuntuosi rispetto alle nostre domande, non abbiamo formule definitive». Ma ciò di cui parla il suo libro «è la possibilità per ognuno di trovare nella realtà qualcosa di realmente attraente, in grado di ridestare l’interesse per tutto ciò che facciamo. E per me questo è la persona di Cristo». Ma non ci sono risposte che sappiamo già, da imporre agli altri. Non è l’idea di un cristianesimo in ritirata, ciò di cui si parla questo pomeriggio in un’aula del Politecnico. Piuttosto un cristianesimo “in crisi”, ma esattamente nel senso che ne dà Hannah Arendt: il momento di tornare alle domande che sono di tutti. Domande che sono anche degli studenti del “Poli” che intervengono dopo gli oratori. L’ultimo a farlo è un ragazzo che non ha letto il libro, dice. Forse non è neppure cristiano. Ma è venuto per una curiosità, e con un dubbio: se però poi il cristianesimo pretende di imporre delle “verità” - sulla vita, l’amore, le libertà individuali ad esempio - non è che questo è proprio il contrario della ricerca comune, del dialogo aperto di cui il libro di don Carrón parla? Non è qui la radice del radicalismo? «Esiste il bene della libertà», gli risponde l’autore, che è ormai è un dato acquisito nella nostra storia. Ma soprattutto, «la vera sfida è che ognuno faccia la verifica fino in fondo delle scelte che fa». Nessuno ha un "a priori", ma ognuno ha «un punto infiammato» che gli indicherà la via.