Fotografie di Roberto Masi

«Una promessa di pienezza umana»

In 22mila per gli annuali Esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione, predicati da don Julián Carrón. Il tema: «Il mio cuore è lieto perché Tu, Cristo, vivi». La cronaca, per flash, dei tre giorni a Rimini
Alessandro Banfi

La cronaca di un gesto vissuto è fatta di impressioni, flash, sottolineature. E così questo primo racconto degli Esercizi a Rimini mette in fila alcune parole chiave, ma soprattutto vuole descrivere un clima, dare un’idea. Per chi c’era e per chi non c’era.
All’arrivo dalle città, la sera del venerdì, i pensieri sono sulla storia che abbiamo vissuto e su come sia difficile strapparci dal mondo delle nostre abitudini quotidiane, staccare e staccarci. Pensieri sollecitati anche dal nuovo sito di CL, appena lanciato, che raccoglie fra l’altro tutti i numeri di Tracce fin dalla mitica copertina di quel primo numero datato 1974. «Io c’ero», viene da dire, e la cosa è insieme spunto di gratitudine ma anche di giudizio su come sia passato il tempo… che bello esserci, che commozione a rivedere quelle pagine tanto studiate e forse così poco capite. Quante parole vere ascoltate e che freschezza in quell’inizio!

Ma poi c’è anche l’altro flusso di pensieri: sembra sempre più difficile fare silenzio, davvero. Il che significa oggi, arrivati a Rimini nella fatica dei pullman “nominativi” con l’appello ad ogni viaggio, non guardare lo smartphone durante i tempi morti. Costringersi a mantenere un raccoglimento vero: apparentemente è più difficile staccarsi dalla vita sempre più vuota di tutti i giorni.
Entrati nel salone della Fiera la prima parola che colpisce è “lontano”. Viene da un canto che da tempo non si sentiva, Il viaggio di Claudio Chieffo (quest’anno ci dicono riprenderemo alcuni canti dimenticati della nostra storia) ed è contenuta in un magnifico canto popolare sulle stelle, Luntane, chiù luntane. La lontananza qui si tocca, è giustamente messa a tema: dal gesto, dai canti, dalla malinconia che tutto suscita. Lontananza fatta anche di “giorno sprecato”, citazione da La guerra, un’altra grande canzone di Chieffo. Dal 1974 quanti giorni sprecati? Nell’ultimo mese? Nell’ultima settimana?

Don Julián Carrón

Don Julián Carrón sembra prendere le mosse da tutto ciò. Fa un richiamo al nuovo libro di Luigi Giussani, Una strana compagnia, che raccoglie proprio il testo dei primi Esercizi della Fraternità, 1982 (assieme a quelli del 1983 e del 1984). Il tema della storia, di ciò che abbiamo vissuto, il tema del tempo, nel senso di che cosa serva davvero poi alla fine il tempo, il tema della lontananza. «La lontananza da Cristo è possibile rispetto all’emozione di tanti anni fa»: questa, spiega Carrón, era la preoccupazione di don Luigi Giussani in quei primi Esercizi, che pure avrebbero potuto festeggiare il riconoscimento ufficiale della Chiesa. La lontananza del nostro cuore da Cristo rende lontani da tutto, dalla realtà, dalla umanità, questa è la preoccupazione.
Si parte da qui. E da Péguy. Charles Péguy, così importante per la nostra storia. Il Péguy che potremmo chiamare «lui, il cuore» come dicevano di Franz Schubert i primi musicisti romantici, tanto è incardinato nelle “viscere” (altra parola tanto usata in questi Esercizi) di ciò che ci siamo detti trent’anni fa o anche solo ieri. Una temperie umana, un tipo d’uomo che ancora ci insegna tanto. Della stessa pasta di cui vorremmo essere anche noi. La frase chiave scovata da Carrón riguarda la salvezza cristiana che è legata alla libertà. Una salvezza che non venisse da un uomo libero non ci direbbe più nulla. È il Mistero cristiano dell’incarnazione: Dio non ha voluto imporre Suo Figlio. Lui, Gesù Cristo, la salvezza, si propone alla nostra libertà. Sempre. E Péguy dice: a chi interesserebbe una salvezza che non fosse libera?

E allora la questione in questa prima sera dove già un’umanità piegata e stanca, distratta e lontana, sembra cominciare a dilatarsi nell’abbraccio di una moltitudine in silenzio è: ci interessa ancora questa salvezza? Ci interessa, come all’inizio? Come in quella vibrazione dell’inizio? E ancora, una domanda sul tempo: diventare grandi ci ha reso più familiare Cristo? Spiega Carrón che occorre un impegno per tenere aperta, spalancata, la nostra umanità a Cristo che accade e riaccade, ostinatamente. E c’è un pericolo che si chiama formalismo: ripetere parole e gesti senza che la mia umanità, la mia libertà entrino davvero in gioco. Il pericolo per cui è nato il Movimento: evitare che i cristiani vengano staccati dalla vita. Dalla umanità. Dalla esperienza. L’invito d’ora in poi è a un silenzio pieno. È quello che chiede don Pino alla fine della Messa. «Chiediamo a Sua madre di essere di nuovo afferrati da Lui».



È la pioggia sabato mattina a segnare l’ingresso in Salone. E dentro, umidi, si canta: «Quando noi vedremo tutto, quando tutto sarà chiaro…». Errore di prospettiva, sempre di Chieffo, con quell’accenno agli «occhi di un bambino». Gli occhi, cioè di cui avremmo bisogno anche oggi, qui. Se “lontananza”, “salvezza” e “libertà” sono state le prime parole, la parola chiave di sabato mattina è “povertà”. Parte stavolta da papa Francesco, Carrón, dalla lettera che ci ha scritto per ringraziarci della donazione in occasione del Giubileo della Misericordia. E con le parole del Papa e di don Giussani ci guida a guardare all’esperienza della povertà. Occorre riscoprire la nostra povertà costitutiva. La povertà è il riconoscimento di ciò di cui è fatto il nostro cuore. E di che cos’è fatto il nostro cuore? Non sono i discorsi, gli schemi, gli slogan a dircelo. È la vita a dircelo, se ci paragoniamo davvero con essa. A dircelo è la realtà, che è testarda e continua a bussare alla nostra porta. Il grande poeta e scrittore argentino Ernesto Sabato ha detto una volta che un bisogno di Assoluto attraversa i suoi personaggi. Una nostalgia, uno struggimento mai soddisfatto. Questa nostalgia ora sembra di toccarla nei saloni della Fiera. Emerge come un’onda nel nostro cuore e conferma quanto ci sta descrivendo Carrón: l’esperienza della delusione esaspera questa sete di Assoluto. Il povero non ha nulla da difendere se non la propria natura. Gesù lo chiama beato.

L'abbraccio tra don Carrón e il cardinale Edoardo Menichelli

E c’è un altro bisogno, il bisogno di perdono. La sete di uno sguardo che ci faccia ripartire. Sul palco di Rimini sale per un attimo un altro grande uomo che abbiamo amato e che tanto ha amato: il don Giovanni storico, il Miguel Mañara. Il dramma di un uomo che non riesce a strapparsi di dosso il proprio peccato. Non ce la fa ad accettare il perdono e quindi non sa più amare davvero. Occorre una mossa della nostra libertà per accettare il perdono. Una piccola mossa, un accento, un salire sull’albero, come capitò a Zaccheo. Invece spesso noi come il Mañara non accettiamo la Sua mano che ci prende. Eppure, ed è l’ultima riflessione della mattina, è la Sua Presenza che ci cambia. La Fraternità è il luogo dove siamo educati alla nostra umanità.
La messa del sabato mattina viene celebrata dall’arcivescovo di Ancona, il cardinale Edoardo Menichelli, che nella bella e sentita omelia commenta il mistero pasquale, nel giorno di santa Caterina da Siena. Un pastore affettuoso, segno evidente di una Chiesa che guarda con gratitudine e speranza al carisma di don Giussani, non perché resti un “fossile” ma affinché stimoli il mondo e la comunità ecclesiale.



Il tono del pomeriggio di sabato è dato da due canti inaspettati. Il primo è Placido. Canto semplice e quasi scherzoso, abbastanza desueto, e che però descrive bene che cosa sia essenzialmente la santità e la vera povertà. «Placido si chiamava, altro io non so, era un buono a nulla e santo diventò». E poi uno strepitoso canto gospel, realizzato “a cappella” (cioè senza accompagnamento di strumenti) da una decina di giovani del Coro: Jesus gave me water. Tema l’incontro evangelico fra Gesù e la Samaritana. Introduzione ideale per un pomeriggio dedicato al Vangelo. L’esperienza dell’incontro con Cristo, ad esempio, di Zaccheo. «Zaccheo, scendi oggi vengo a casa tua». E poi: «È arrivata la salvezza in questa casa». E ancora Giovanni e Andrea, e quel loro incontro e tutta la vita che diventa un’altra, con le stesse fatiche, gli stessi attori, gli stessi luoghi, ma un’altra. Non è un passato, non è un ricordo. «Il presente più presente è stato il presente di quel giorno». Cristo ti chiama, ci chiama, bussa alla tua libertà e genera un cambiamento, che è uno sviluppo della tua umanità. Un’amplificazione positiva della tua umanità, della realtà. Un’acqua che toglie per sempre la sete, Jesus gave me water. Che storia.
Nasce così la virtù della povertà. Non sono più definito da quello che possiedo (e che può sparire in un soffio) ma da quello che mi è capitato, un Avvenimento che mi ha preso e che mi rende libero da tutto, allo stesso tempo non censura nulla ma dà valore a ogni cosa. La povertà è madre, genera vita di santità, vita apostolica. Si rivela come libertà dalle cose e la letizia è il suo segno distintivo, il suo tratto rivelatore. Ecco emergere carico di significato il titolo degli Esercizi, quello scritto sui cartellini: «Il mio cuore è lieto perché Tu, Cristo, vivi».



Flash, accenni che lasciano la voglia di leggere e studiare ordinatamente gli appunti. E una grande impressione finale lasciata dall’ultima Assemblea della domenica mattina con Davide Prosperi. Don Carrón che dice ad un certo punto: «Solo da don Giussani ho capito quanto è umana la mia umanità». E ancora: «Non è mai venuta meno la mia stima per l’umanità».
La radice del carisma, la diversità del Movimento è in una promessa di pienezza umana, di realizzazione dell’io, di compimento del cuore dell’uomo. Questo ha commosso e convertito molti, questo ha aperto la strada a Gesù Cristo, alla possibilità della salvezza. «Il santo è un vero uomo», scriveva Giussani nell’introduzione al libro di Martindale sui santi. E viene in mente la prima fulminante sentenza della Summa Theologica di san Tommaso d’Aquino nella parte in cui parla di Gesù: «L’umanità di Cristo è la nostra felicità». Per quanti di noi, che pure hanno fatto incontri con uomini eccezionali, don Luigi Giussani è stato l’uomo che più di tutti ha creduto nella nostra personale e singolare umanità, nella nostra libertà? Posso umilmente aggiungere che anche per me, e per tanti altri, è stato come per Carrón. Quello sguardo costituito da quella fiducia nel nostro cuore, nella nostra aspirazione all’Infinito, non è mai venuto meno. E ancora oggi vive. E grida, come una povera voce che, per Grazia di Dio, ancora risuona nel mondo e nella storia.