Julián Carrón all'incontro con Gianluca Vago e Marilisa D'Amico

Diversi, ma con «troppe cose in comune»

Giovedì 5 ottobre l'incontro alla Statale di Milano su La bellezza disarmata. Un dialogo intenso tra il rettore Gianluca Vago, la professoressa di Diritto costituzionale Marilisa D'Amico e Julián Carrón. Il racconto di uno studente
Bernardo Cedone

Sono le quattro del pomeriggio quando in via Sant’Antonio, in un’aula della Statale di Milano, il rettore, Gianluca Vago, e l’ordinario di Diritto costituzionale Marilisa D’Amico si apprestano a iniziare un dialogo su La bellezza disarmata, assieme all’autore, Julián Carrón.

In sala, docenti e studenti di via Festa del Perdono, curiosi di vedere il proprio Rettore in un faccia a faccia inaspettato e così diverso dalle occasioni istituzionali. Il primo a confermare quanto sia raro un confronto come questo è il Rettore stesso: «Questo libro rimanda a questioni fondanti, che forse non siamo più abituati ad affrontare». Tuttavia non si tira indietro, e parte proprio da sé: «Condivido uno dei temi del libro, e cioè la difficoltà che abbiamo a evocare l’interesse e la curiosità dei più giovani. C’è una difficoltà a generare una curiosità del mondo. Ancor più che nell’insegnamento, lo vivo da genitore con i miei figli, e capisco bene che lo smartphone è l’epifenomeno di un problema più profondo». La questione che però gli sta a cuore è ancora un’altra: «All’interno di una comunità accademica estremamente eterogenea, come davvero si può trovare un fattore che accomuni esperienze educative così diverse tra di loro? È qualcosa che sento come una mia responsabilità». Su questo punto si sofferma la professoressa D’Amico: «Questa rincorsa senza fine alla soddisfazione dei desideri, che secondo Carrón è all’origine del proliferare dei nuovi diritti, è un tema che richiede una presa di responsabilità da parte di noi educatori. Da dove ripartire? Credo che un aspetto fondante sia la relazione: io non posso fare né la madre né l’insegnante senza accettare di mettermi in rapporto con qualcun altro, ed è su una relazione che va ricostruita la civiltà. Ma da qui in poi, il campo è aperto».

Raccogliendo le loro provocazioni, Carrón parte: «Siamo tornati a guardare al desiderio come nell’antichità, a tentare di ingabbiarlo. Ma da dove nasce questa sfiducia verso il desiderio? Io lancio la sfida sul tavolo». Il suo è un inno al desiderio e una denuncia della paura che ne abbiamo, dei “paletti” che continuamente mettiamo alla sua “dismisura”. Non si tratta di addomesticare il desiderio, ma di chiedersi che cosa lo desta e lo compie. «Tutti noi, volenti o nolenti, dovremo farci i conti, perché è una questione di fisica: la goccia non riempie il bicchiere».

Da sinistra, Gianluca Vago, Lorenza Violini, Marilisa D'Amico e Julián Carrón

Carrón a questo punto, come dimentico della sala, si rivolge verso il Rettore. «L’emergenza educativa non è etica. Il punto è se esiste qualcosa in grado di interessare i ragazzi fino a sfidare la loro libertà». Il dialogo si fa intenso, il ritmo cresce: sorgono delle domande. Vago: «A questo punto non si tratta più di una questione culturale, ma il tema della tensione riguarda il nucleo profondo dell’io. Però esistono tante strade differenti per arrivare a definirlo, e la mia non è forse quella di Carrón. In cosa sta allora l’identità di questo nucleo fondamentale?». Il Rettore si interroga: «Esiste o meno un punto di paragone unico per tutti gli uomini?». E di nuovo: «Come possiamo distinguere una proposta dall’altra, il cristianesimo da un’altra religione? Non possiamo basarci soltanto sulla soddisfazione che noi proviamo, perché ognuno trova la sua in quello che afferma e che fa, anche quando si tratta di cose o gesti discutibili». Carrón: «A parole tutto sembra uguale a tutto, ma c’è un modo di vivere che è più umano, in cui c’è più ragione, più affezione, più libertà, più crescita dell’io, più apertura all’altro. Il bello di una società come la nostra è che non si può imporre niente a nessuno. Il cristianesimo ha una proposta da offrire, e dove c’è libertà, dove c’è pluralità, si trova a suo agio, perché è lì che può mostrare la sua originalità. A ognuno spetta prendere posizione».

Al termine del dialogo di quasi due ore, i protagonisti si salutano calorosamente. Vago osserva sorpreso: «Abbiamo “pericolosamente” troppe cose in comune…». In sala è avvenuto ciò che nessuno dei relatori poteva prepararsi, e cioè un incontro, il sorgere di una simpatia dell’uno per la persona dell’altro. L’incontro si è mostrato come un fattore di conoscenza, di scoperta, di spalancamento della vita e della comprensione delle cose. È significativo che il tutto si sia svolto qui, perché proprio questa è anzitutto l’università, come esperienza della ricerca condivisa del vero, come senso dell’istituzione che porta questo nome.