Matteo Severgnini con papa Francesco

Meeting. «Tra dieci anni il cristianesimo rifiorirà»

È il direttore della Luigi Giussani High School di Kampala. Ha partecipato al Sinodo sui giovani. A fine agosto, Matteo Severgnini sarà a Rimini. Qui, il racconto del mese passato nel cuore della vita della Chiesa che aveva scritto per Tracce
Matteo Severgnini

Sono stato invitato, come uditore, a partecipare all’ultimo Sinodo su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Per me, che da alcuni anni dirigo la Luigi Giussani High School di Kampala, in Uganda, è stato come essere paracadutato nel cuore della vita della Chiesa. Per un mese ho partecipato, con Vescovi e Cardinali di tutto il mondo, a un gesto nato dalla preoccupazione di papa Francesco non solo per il futuro dei giovani, ma per quello di tutti.

Questi giorni a Roma sono stati per me un’occasione davvero unica di conversione. Ho conosciuto tantissime personalità di tutto il mondo, ho ascoltato decine e decine di interventi, ho partecipato ai circoli minori in cui si elaboravano proposte per il documento finale, ho avuto la possibilità di leggere un mio intervento nell’aula sinodale. Ho avuto, poi, il privilegio di incontrare e parlare con il Papa con una facilità che mai avrei immaginato. A lui ho portato le lettere che mi avevano consegnato alcuni miei studenti di Kampala e gli ho potuto fare le domande che più mi stavano a cuore. Ho perfino fatto visita a Benedetto XVI per un indimenticabile quarto d’ora. Così, quando un amico mi ha chiesto a bruciapelo: «Che cosa significa per te amare la Chiesa, oggi?», non ho potuto non pensare a tutti i volti incontrati. In passato avrei risposto in modo meccanico o formale. Adesso non posso più farlo. Oggi la risposta non può non avere a che fare con questa realtà fatta di carne, che è a tutti gli effetti, per via del Battesimo, carne della mia carne. È un po’ come dover rispondere alla domanda di Gesù: «Chi dite che io sia?». Per dire chi è Cristo per me non posso prescindere dal corpo fisico con cui si fa conoscere da me. La realtà della Chiesa, così come è, fatta dagli uomini di cui è fatta, non l’ho mai riconosciuta in modo così chiaro e anche drammatico.

Il Papa al Sinodo

L’altra cosa che ho rivisto, anche in un contesto così particolare e apparentemente lontano dai drammi quotidiani della gente comune, è l’impossibilità di soffocare la domanda di infinito che brucia in ogni cuore. E Cristo è l’unico in grado di rispondere lealmente a questo grido. Ogni volta che nell’aula sinodale qualcuno interveniva riferendosi alla presenza reale di Cristo nella sua vita, si generava un silenzio che prima non c’era. Penso alla testimonianza del cardinale Louis Sako, il patriarca di Baghdad, o a quella di Safa Al Abbiaun, un ragazzo iracheno. In entrambi si è vista la radicalità propria del martirio. Era un silenzio pieno della Presenza di Lui, che in quel momento ci mostrava che esistono uomini che vivono all’altezza del proprio desiderio.

In questi giorni ripensavo all’immagine con cui il Papa ha voluto chiudere questo Sinodo nell’omelia della messa conclusiva: quella del cieco di Gerico, Bartimeo. Lui urla, ma non ha nessuno che gli dia retta. Solo Gesù ascolta il grido del suo cuore e gli domanda: «Che cosa vuoi che io faccia?». Che è un po’ la domanda con cui si era aperto il Sinodo: «Che cosa cercate?». Cristo ci chiede innanzitutto che cosa desideriamo perché, ha spiegato il Papa: «La fede germoglia nella vita», dentro la situazione di ciascuno. E poi: «La fede che ha salvato Bartimeo non stava nelle sue idee chiare su Dio, ma nel cercarlo, nel volerlo incontrare». La fede è un incontro. Anche per me il Sinodo sui giovani è stato questo: il modo di vedere una nuova sfumatura del volto inconfondibile di Cristo.

Al termine dei lavori, Francesco aveva fatto un affondo che mi ha davvero colpito. Dopo un mese del genere, di discussioni, incontri, testimonianze, il Papa ha rimesso davanti a tutti la santità della Chiesa, della Madre. Non l’adeguatezza dei suoi figli, dunque anche quella di chi era seduto in quell’aula: «Siamo tutti sporchi». Che ci sia una Madre santa è garanzia che ognuno, con la sua sporcizia, possa tornare ed essere abbracciato per quello che è. Nessuno escluso. Per questo «la Madre va difesa nella sua santità».

C’è stato poi un incontro che mi ha molto colpito. Quello con monsignor Frank Caggiano, vescovo di Bridgeport, nel Connecticut. In uno dei circoli minori ha preso la parola e ha detto: «Io non nego che tutti questi giovani abbiano tanti desideri, domande, drammi. Ma perché la Chiesa?». Cioè: perché dovrebbero venire da noi per trovare risposta? Era una domanda che lui poneva sul serio, senza dare per scontata la risposta. E poi quella formulazione, “perché la Chiesa?”, così simile al titolo del libro di don Giussani…

Alla fine del suo intervento sono andato dal Vescovo americano e l’ho ringraziato per le sue parole, perché non erano affatto mosse da pessimismo. Gli ho raccontato una frase che un universitario del movimento ha detto davanti a monsignor Mario Delpini durante una cena a cui ho partecipato in quei giorni: «Eccellenza, tra dieci anni il cristianesimo rifiorirà». L’Arcivescovo di Milano, abbastanza sorpreso, come me del resto, ha chiesto da che cosa nascesse un’affermazione così perentoria. E il ragazzo ha raccontato di aver organizzato una vacanza per le matricole incontrate in università. La maggior parte, diceva, non sapeva neanche farsi il segno di croce. Alla fine di quei giorni, alcuni hanno chiesto: «Ma voi chi siete? Come fate a guardarci così? A stare con noi in questo modo?». E concludeva: «Noi abbiamo detto: questo è il cristianesimo, questa è la Chiesa». Monsignor Caggiano ha spalancato gli occhi e mi ha risposto: «Eh, sì, è come la Chiesa delle origini, la gente era colpita perché i cristiani vivevano in modo diverso e incontravano le persone una ad una». E ha aggiunto: «Ma che cosa devono aver visto, tanto che a decine erano disposti a morire per la loro fede?».

Il sabato delle votazioni conclusive, quelle che hanno approvato il documento finale, sono andato a cena con monsignor Paolo Pezzi e padre Mauro Lepori. È stato un momento semplice e meraviglioso. Eravamo tutti e tre lieti e grati per quanto ci era capitato. Era un trio abbastanza variegato: l’Arcivescovo cattolico di Mosca, l’Abate generale dell’Ordine cistercense e il povero direttore di una piccola scuola in Uganda. Eppure, soprattutto nell’ultima settimana, mi faceva notare Pezzi, senza averlo programmato, ci siamo ritrovati insieme. Sono stati i volti più familiari che mi hanno aiutato a capire, conoscere e domandare. Tanto che qualcuno si è accorto di questo rapporto di preferenza e ci veniva a cercare durante le pause e prendeva il caffè con noi. Alla fine eravamo diventati, nel nostro piccolo, una “realtà identificabile”.

In riferimento a questo aspetto, padre Lepori diceva: «Durante il Sinodo l’appartenenza alla vita di CL non è stata riconosciuta in modo formale, ma è stata riconosciuta attraverso le nostre persone, attraverso le nostre vite. Il contributo del movimento alla Chiesa sta nell’esperienza dei singoli, generata dalla sequela al movimento, e nella possibilità di incontrare tutti». Io capisco che questa particolarità viene tutta dall’esperienza reale che Cristo è nella mia vita, che accade, succede, e alla quale io mi converto.

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Il giorno in cui sono rientrato a scuola è venuta a trovarci una benefattrice americana. Si occupa di finanziare progetti che promuovano l’istruzione delle bambine. Non avevo molto tempo, ma le ho mostrato la nostra scuola, le ho spiegato chi siamo e come proviamo a educare. Alla fine la signora era visibilmente commossa. Mi è venuto da pensare che l’origine di quella commozione è la stessa che mi ha fatto commuovere per le parole di papa Francesco ed è l’origine della grande “macchina” del Sinodo. Anche questa signora diceva: «Non ho mai visto una cosa del genere». Quel che ha visto è ciò che hanno visto gli universitari della Roma di oggi e i martiri della Roma dei primi cristiani. Il cristianesimo.

(da Tracce, dicembre 2018)

Matteo Severgnini. Nato a Treviglio (Bergamo) nel 1981, si è laureato in Filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Dal 2012 dirige la Luigi Giussani High School di Kampala, in Uganda.